Si può conciliare la vita sociale, familiare,
professionale, e non-dualità? Se no, come uscire dal dilemma?
Eric Baret affronta anche crudamente ma con
simpatia, delle domande essenziali.
D: Cosa intendete per spirito libero?
E.B.: Questo si riferisce a una mente libera dal passato e dal futuro.
Non c’è intenzione, nessuna parte dove andare, nessun dinamismo. Il dinamismo è
ciò che ci separa dall’ambiente. E’ una personalità che vuole arrivare da
qualche parte. Nell’apertura, non c’è più dinamismo. E’ una sensibilità
rispetto all’ambiente, e , poi, azione: ma non è più un’azione personale.
Uno spirito libero si riferisce
specificatamente a questo stato senza attore, solamente azione. Gli avvenimenti
accadono, ma non c’è più centro nell’azione.
D: Allora, non c’è più intenzione
nell’azione?
E.B.:No.
D: Se non c’è più intenzione, com’è
possibile vivere nella non-dualità, nella verticalità, e di adempiere anche
alle proprie funzioni, di lavorare, occuparsi della famiglia, tutto ciò che,
nella dualità, richiede intenzione, proiezione e realizzazione di cose
materiali e concrete?
E.B: E’ il contrario. Se si vive
nell’intenzione, non ci si può occupare della propria famiglia. Ci si occupa unicamente
di se stessi. Ci si serve della famiglia per rassicurarsi. Si utilizza la
propria moglie per avere piacere, si utilizzano i figli per sentirsi felici, si
utilizza il proprio lavoro per darsi un’identità. Non si compie l’attività di
cui ha bisogno il paese: si occupa la posizione che ci conviene. Non si fa ciò
che è giusto per la propria moglie: si fa ciò che abbisogna perché la nostra
donna faccia ciò che ci piace. Non si fa ciò che giusto per i nostri figli, ma eventualmente
si spinge perché abbiamo successo perché questo ci soddisfa personalmente.
L’azione che scaturisce da una personalità,
da un dinamismo non è mai funzionale. Ci si serve degli altri, non si fa che
prendere, domandare. Gli altri diventano uno strumento per soddisfare l’ego,
per creare la sicurezza. Ci si sposa per paura di vivere soli, per paura
dell’insicurezza. Ci si serve del coniuge e, quando non ci da abbastanza
sicurezza o apprezzamento, lo si getta via e se ne trova un altro, ecc. E’ un
modo totalmente egoistico di pensare e di
vivere. E’ impossibile, da quel punto di vista, compiere una qualunque
azione positiva per chi ci circonda.
Solo il presentimento del silenzio al di là
dell’attività, può condurre all’ascolto degli altri senza aspettarsi alcunché.
Non si domanda più ai propri figli di diventare questo o quello, si ascoltano
le loro capacità. Si fa ciò che è appropriato per la propria donna, senza
domandarle di stimolare le nostre fantasie o di fare qualcosa per rassicurarci.
A quel punto si può davvero diventare un buon cittadino, lavorare per il
proprio paese o, se occorre, dare la propria vita per esso, occuparsi della
propria famiglia ed essere funzionale in tutte le situazioni. Ma, da un punto
di vista egoico, è impossibile. L’ego prende, utilizza e getta.
D: Come potrebbe un uomo d’affari
conciliare questi punti i vista? Come fare Yoga al mattino e vivere la
non-dualità, quando si vive nel mondo? Voi come fate?
E.B: Abbiamo parlato delle arti marziali.
La base delle arti marziali è stimolare in noi la capacità di affrontare la
situazione senza commento psicologico. Se qualcuno vi mette un coltello sotto
la gola e c’è paura psicologica, voi vi metterete forse a correre inseguito da
un attaccante che corre più veloce di voi. L’addestramento nelle arti marziali
non consiste nel dirvi che cosa fare, che gesto compiere, ma come affrontare
una situazione senza residuo affettivo; in quel momento il corpo, secondo le
sue capacità, reagirà in modo chiaro. Molte persone si ritirano per vivere la
vita monastica, dove ci sono poche perturbazioni esteriori. Là, si deve
meditare e compiere un mucchio di strane attività che mirano a preservare il
nostro piccolo confort psicologico. Ma quando un desiderio, una paura o
un’emozione sorge, questo stato è turbato dall’emozione. Parliamo qui di un
non-stato. Di ciò che è al di là di tutti i nostri stati percepiti, di un
presentimento del silenzio, costantemente presente.
E’ la base della danza, della musica, di
tutte le arti, di tutte le espressioni. Se un musicista non sentisse il silenzio,
non potrebbe comporre. La base di tutta la musica e la danza, è questo
presentimento, reso attuale, del silenzio. E’ questa tranquillità che permette
all’espressione di manifestarsi. E’ questa assenza di paura che ci permette di
combattere.
Per tornare al nostro esempio particolare:
che al mattino pratichiate o no lo Yoga, non ha e non avrà mai nessuna
importanza per quanto riguarda l’attuare la vostra libertà. Il presentimento
del silenzio è con voi al mattino, con o sena meditazione e, prima o poi,
questo resta con voi in tutte le attività della giornata. E di là che viene la
chiarezza.
Se prendere un binocolo al contrario e
guardate i vostri piedi, li vedrete molto chiaramente e molto lontano. Nello
stesso modo, quando siete liberi da una situazione, lo vedete chiaramente. E
questa sensazione di libertà, vi fa sentire indipendenti dalla situazione. In
questa indipendenza, la vedete totalmente, l’assimilante. Se ci si perde nella
situazione, la chiarezza scompare. Non se ne vede che l’aspetto esteriore.
Quando avevate quindici anni e la vostra amichetta vi ha lasciato, fu un
dramma, perché eravate totalmente identificato con la situazione. Ora, quando
ci ripensate, vedete in modo totalmente diverso quel fatto. Siccome non vi
interessa più, non vi emoziona più, vedete veramente quel che è successo. Lo
vedete solo ora perché non c’è più un legame affettivo. Finché c’è un dinamismo
personale, non si vede la totalità di un avvenimento. E’ il sentimento di
libertà che viene dal presentimento del silenzio, che, solo, porta al chiarezza
nell’azione.
E’ come un chirurgo che opera: non può
nello stesso tempo soffrire e operare. E’ la sua libertà di fronte al destino
del paziente – vita o morte – che gli permette di assolvere al suo compito correttamente; se non siete libero da una situazione, non potete agire
correttamente.
D: Nelle nostre società moderne, ci sono
molte pressioni, leggi, convenzioni. Come un giovane potrebbe sapere cosa deve
fare?
E.B: Esatto; può essere difficile trovare
la propria identità in una società il cui scopo è avere di più, diventare di
più. E’ normale che, per qualche momento, si creda che una donna, dei figli, la
salute e una grossa automobile ci daranno la sicurezza o la gioia.
D: In India ci sono le caste ed è ciò che
decide; non ha niente a che fare con la persona.
E.B: Esattamente. Ci sono famiglie di preti
e famiglie di musicisti. C’è una corrente. Non parliamo di reincarnazione, ma,
a parte questo, è certo che il cervello e il processo d’apprendimento
degenerano molto presto. Più apprendete presto qualcosa, più l’integrate.
Quando vedete vostro padre esercitarsi nelle arti marziali o nelle arti della
medicina, imparate il ritmo. Ora la vista, la competenza, non sono che il
ritmo. Il resto non è che l’espressione. I ballerini, i musicisti devono
imparare molto presto. Si apprende per mimetismo.
Quando si apprende per mimetismo, c’è
sempre competenza. Quando si fa qualcosa bene, ci si sente felici e,
generalmente, si può sopravvivere finanziariamente. Forse avreste preferito
qualcosa più alla moda, essere avvocato,per esempio, o prete. Ma se siete
mercante di tè, questo può bastare a una vita funzionale.
In una società dove si impara tardi un
lavoro, le capacità restano generalmente concettuali. Se siete incapace di fare
qualcosa di creativo, diventare agente immobiliare, terapeuta, uomo politico o
guru.
D: Non siamo in India, ma in occidente.
E.B: La difficoltà, nei nostri paesi, se si
vuole restare sul piano sociologico, è l’assenza d’esempio dato dalla famiglia.
Su un certo piano, nelle nostre società, per molta gente lo scopo del lavoro è
di guadagnarsi da vivere e dobbiamo accettare questa forma d’inettitudine. Poca
gente ha la fortuna di avere un lavoro che sente. Ma il problema è soprattutto
psicologico. In uno spirito libero da pregiudizi, se siete un musicista e
dovete lavorare in una officina, restate un musicista nel cuore e lavorate come
un operaio: non c’è nessun problema. Praticamente, più siete liberi da una
qualunque idea di esser qualcosa, più sarà facile adattarsi ad una situazione
particolare.
Non domandate al vostro lavoro di essere
gradevole. Lo vedete in modo funzionale. In quel momento, vi rilassate. E
poiché vi rilassate, la complessità, la bellezza, la giustificazione del vostro
lavoro – che fino a questo momento trovavate mediocre e non interessante per
pregiudizio – si presenta. A quel punto, potete sopravvivere felicemente in
qualsiasi attività. Il vostro corpo potrebbe preferire coricarsi più presto,
lavorare meno, ma non è un problema. Così come il vostro corpo può sentirsi più
in accordo con certi cibi più che con altri, se non c’è che del cadavere da
mangiare, non ci sarà problema psicologico, forse solo una costipazione. Il
conflitto viene solo da un punto di vista patologico. Possono esserci conflitti
funzionali, ma sono totalmente senza
ramificazioni psicologiche: non esistono che nell’istante e non lasciano
tracce nella piche. Non potete più sentirvi a disagio in nessun ambiente.
Non dovete sentire psicologicamente il
vostro lavoro, né vostra moglie; non dovete sentire nulla.
Quando non sentite
più niente psicologicamente, voi sentite veramente.
Eric Baret
(3mè Millenarie n. 54) - Traduzione di Luciana
Scalabrini
Nessun commento:
Posta un commento