Gli scavi archeologici di Sir Leonard Wooley (1920) misero in luce l'esistenza di un antico sistema di transazioni e pagamenti tra mercanti basato sulle tavolette d'argilla. L'importanza di questo fenomeno tra l'altro e' preannunciato dalla posizione di rilievo che ha nell'antico codice di leggi Hammurabi (3° sec. a.C) all'articolo 7, il divieto per i mercanti non autorizzati di creare ricevute di argilla che entrano nella massa monetaria circolante.
Cerchiamo di capire cosa significa “mercanti non autorizzati”. In
occasione delle grandi fiere tra i mercanti sumeri (1) fu creato un
sistema interno di pagamenti che aveva l'obiettivo di generare un volume
di commercio enorme con uno spostamento minimo di preziosi o monete. In particolare, si costituì un banco della fiera, che assegnava in prestito somme di valuta d'argilla ai mercanti che ne facevano richiesta.
Le tavolette in argilla erano promesse di pagamento
che perdevano in larga parte la natura di riscossione dalla fonte di
emissione e garantivano piuttosto il fluire di cifre di denaro da un
acconto ad un altro. All'inizio e alla fine delle fiere dei mercanti,
ognuno portava il suo ‘libro contabile’ su cui comparivano tutte le
lettere di pagamento in entrata o in uscita.
L'obiettivo era quello di cancellare voci
attive e passive di tutti per quanto possibile, spostando cifre tra i
vari depositi dei partecipanti. Con questo metodo i mercanti erano al
riparo da furti del mezzo monetario, perché il pezzo d'argilla
era valido solo in questo contesto estremamente controllato. Come fa
notare anche Mei Kohn (1999), alla fine di tutto il processo di
appianamento, molto poco rimaneva da essere saldato in contanti, e
comunque in un clima di fiducia verso il banco di fiera, l'appianamento
con preziosi poteva essere rimandato nel tempo. L'importante era la
partecipazione al “gioco”.
La massa monetaria in argilla era creabile solo dal banco di fiera. Per mantenere una tale massa monetaria in argilla i mercanti dovevano pagare un interesse nei confronti dell'ufficio di emissione.
Nonostante ciò e nonostante il banco di fiera non garantisse in modo
automatico la rimborsabilità in 'preziosi' di tali tavolette d'argilla,
la tentazione ad accettare il sistema stava nel privilegio immenso di
entrare a far parte del business. Per
la prima volta nella storia dunque si verificava che chi riceveva una
massa monetaria in uso, lo faceva riconoscendo a chi emetteva il diritto
di creare massa monetaria nel momento del prestito e dunque di poterci
fare sopra una cresta. La massa monetaria d'argilla del
banco di fiera consentiva a persone che si consideravano privilegiate di
svolgere la funzione di scambio senza dover movimentare (con grande
rischio) i “preziosi”, che erano estremamente costosi da usare come
mezzo di scambio. Pero' si doveva accettare il diritto di quei qualcuno
al di sopra dell'economia reale di creare e prestare la moneta virtuale
ufficiale.
Più che un 'aggio del signore', ai tempi dei babilonesi era una cresta del banco di fiera. Non
si volevano usare preziosi o monete per il flusso di scambi tra pezzi
grossi della economia (i mercanti). Il banco di fiera si faceva carico
di regolare gli appianamenti dei partecipanti nel breve e nel lungo
termine.
L'arricchimento dei mercanti beneficiari di queste emissioni di
moneta-prestito era garantita dal continuo svolgersi dei loro affari di
grossisti e quindi dall'interfacciarsi dei mercanti con l'intera società
e collettività. Dunque chi era
proprietario di queste tavolette d'argilla era ben felice di tenerle
senza convertirle in "preziosi", che avevano sia il prezzo della
custodia che quello del trasporto.
Il sistema basato sull'appianamento di acconti e di assegni è
incredibilmente efficiente oggi nel minimizzare la necessità di
transazioni 'in contanti', ma abbiamo prove che lo fosse già nel XV secolo:
tra il 1456 e il 1459, una banca a Genova ricevette dall'estero 160.000
lire in ricevute (lettere di credito) e il 92.5% di tale quantità fu
saldata con spostamenti sui conti correnti interni, e solo il restante
7.5% fu pagato in contanti (Spufford, 1986). All'epoca
dei babilonesi le ricevute in argilla erano un sistema di appianamento
equiparabile ad assegni bancari in cui uno non sente mai la necessita'
di spostare preziosi.
In breve i creatori del banco di fiera e i
loro associati diventarono così potenti che al re-sacerdote non restava
che assegnare loro un posto al proprio fianco in veste di custodi delle
ricchezze del Tempio. Pensate al controllo a distanza che questa
elite di mercanti aveva sulla produzione e distribuzione di armi,
oppure sugli accordi tra grossisti di beni di prima necessità, e vedrete
immediatamente che il loro potere era superiore a quello del regnante.
Questa confraternita di banchieri
internazionali aveva un particolare interesse affinché i regni che
cadevano sotto la sua influenza trasformassero il loro sistema monetario
in uno basato su argento e oro.
Come è possibile ciò, direte voi, visto che i grandi commerci dei
mercanti si basavano proprio sul principio di minimizzare i pagamenti
con monete metalliche?
Il dilemma è solo apparente. I mercanti
dell'elite vollero tenere per se le conoscenze delle tecniche di
appianamento bancarie e di emissione di lettere di credito. Infatti
avendone capito le potenzialità e la potenza, pianificavano di trarre
vantaggi personali da questo meccanismo.
D'altro canto vennero proposti come strumenti di scambio oro e argento,
ben sapendo che l'uso di questo tipo di contanti non era né facile né
economico. Il sistema dei metalli preziosi come base monetaria, dietro l'apparenza di logicità, costituiva invece uno strumento di instabilità economica.
L'adozione di questo sistema monetario basato su oro e argento costrinse i governanti di tutto il mondo ad una corsa affannosa all'approvvigionamento di metalli preziosi, che già nel VI secolo a.C.
viene testimoniata dall'agitazione con la quale Xenofonte chiede al
governo di Atene di acquistare 10.000 schiavi, da dare in affitto ai
proprietari delle miniere di Laureion, dove però sembra che il filone di
argento si fosse già da tempo avviato all'esaurimento.
Le numerose tavolette in argilla che sono state ritrovate in Atene pochi anni dopo mostrano che l'esportazione
di argento ad Oriente stava man mano causando nella città-stato greca
dei vuoti di contanti che venivano con successo riempiti dalle ricevute
in argilla create dai banchieri e accreditate sui loro acconti e su quelli dei loro più utili agenti greci.
Il potere economico che si è attribuito a
un'alleanza di potenti banchieri babilonesi iniziò appena possibile a
costituire delle filiali sulla costa della Grecia e nelle piccole isole
del Mediterraneo. Individui che "scrivevano in aramaico",
emissari dell'elite di mercanti internazionali, raggiunsero le coste e
le isole della Grecia mescolandosi tra i mercanti o i rifugiati
provenienti dalla Siria e da Aram dopo le sconfitte inflitte dagli
Assiri. Questi emissari avevano straordinarie capacità di procurarsi
qualsiasi oggetto o somma di denaro,. Dietro di essi compariva sempre il
mercante di schiavi. Alcuni greci presto capirono che era nel loro
interesse personale fare affari con essi, persino se ciò significava
accettare il sistema di denaro dei mercanti orientali. La
loro ricchezza era sostenuta dalla loro abilità di ottenere qualsiasi
risorsa fosse richiesta, grazie alle loro connessioni internazionali. E
in breve tempo questi uomini avevano iniziato a trattare anche nella
terra ospitante mediante oro, argento e ricevute in tavolette di argilla
create da loro stessi come mezzo di scambio.
L'isola di Delo, sebbene
praticamente improduttiva e senza speciali vantaggi, divenne molto
ricca; un potente centro di commercio e di attività bancaria, e
soprattutto un centro d'intenso commercio di schiavi.
Lo straordinario commercio all'ingrosso a Delo non avrebbe potuto
essere originato da nient'altro se non l'accettazione dei prestiti del
Tempio da parte di quei forestieri-banchieri. Tali persone erano competenti cambia-valute, nati e formati tra le braccia dei maestri di sofisticazione finanziaria delle città di Babilonia, Aram, Fenicia, etc.
Il Professor Rostovtsev riferisce di un acquisto di grano a Delo da
parte di un certo Sinotes di Isticea (una città del regno che era in
Macedonia) nel quale egli osserva che l'acquisto fu effettuato con denaro anticipato da un banchiere di Rodi. Ciò
suggerisce che le operazioni bancarie di Rodi erano interconnesse con
quelle di Delo e che le riserve di argento del tempio di Apollo a Delo
funzionavano anche come riserve per gli emissari di Rodi. Delo, la cui
santità era rispettatissima, avrebbe costituito un deposito di metalli
preziosi molto più sicuro rispetto a Rodi. Oskar Seyffert nel Dictionary
of Classical Antiquities scrive: "Delfi, Delo, Efeso e Samo erano usate correntemente come banche per prestiti e depositi, sia da individui che da governi".
Tale flusso di 'credito' e metalli preziosi a Delo permise alla piccola
isola di rimpiazzare parzialmente Atene come nuovo centro da cui il
"controllo monetario internazionale" e i suoi emissari arrivarono per
controllare le finanze di quell'area di Mediterraneo.
I cambiavalute, che costituivano la base di questa piramide di profitto, erano chiamati nell'antica Grecia trapezitae, perché si servivano di un banchetto a quattro gambe detto tetra peza.
Seffert scrive:
"I trapezitae sedevano ai loro banchetti nelle piazze del mercato, il centro di tutte le transazioni di affari. Essi ricevevano denaro in deposito per custodirlo, facevano da cambia-valuta e prestavano anche il denaro. I banchieri tenevano un accurato resoconto delle ricchezze da loro gestite. Se una persona faceva un pagamento ad un'altra che anch'essa aveva un deposito alla stessa banca, il banchiere semplicemente trasferiva la somma in questione da un acconto ad un altro. Questo tipo di business era di solito in mano a forestieri che avevano acquisito la residenza".
Il prof. Humphrey Michell (The Economics of Ancient Greece, p334) scrive che fu Fidone, il progressista Re
di Argo, che per primo permise, nel 680 B.C., l'introduzione del
sistema monetario del tipo babilonese, basato sulle valute in oro e in
argento. 'Progressista' naturalmente significava un re pronto a dare
ascolto alle lusinghe del "controllo monetario internazionale" e dei
suoi emissari, e che desse loro carta bianca in cambio dell'appoggio ottenuto per la sua ascesa al trono.
Il prof. Ure, in Tyranny of Athens, mostra che l'ascesa alla
tirannia di Pisistrato fu strettamente correlata con l'argento
proveniente dalle miniere della Tracia ed egli sottolinea che può
difficilmente essere considerata una coincidenza che la cacciata dei
discendenti del tiranno Pisistrato (510 a.C.) avvenne quasi
immediatamente dopo aver perso le miniere della regione della Tracia,
rifornimento monetario molto importante. Il che equivale a dire che se
si dissolveva la fonte di metalli preziosi sui quali si fondava il
potere del locale banchiere, il regnante che egli aveva promosso
diventava obsoleto e inutile e poteva essere buttato via come uno
straccio vecchio. Lo stesso accadde per i tiranni Trasibulo a
Mileto, Ortagora a Sicione, Cipselo a Corinto, Procle a Epidauro,
Teagene a Megara, Panezio a Leontini, Cleandro a Gela, Falaride ad
Agrigento, e così via.
Vediamo un altro esempio d'interazione tra potere politico e mercanti. Creso, figlio primogenito del re Aliatte di Lidia (610-561 a.C.). Sapendo delle ambizioni del padre di conquistare la Caria, Creso si accinse a chiedere un prestito per imbastire l'azione militare. Nicola di Damasco scrive:
"Con questo suo proposito in mente si recò da Sadiatte, il più ricco
mercante della Lidia. Costui, occupato nelle sue abluzioni mattutine,
prima fece aspettare un Creso impaziente alla porta. Poi gli accordò di
entrare, ma ciò fu solo per comunicargli che rifiutava di concedergli il
denaro: "Se devo prestare denaro a tutti i figli di Aliatte," egli gridò, "non ce ne sarebbe abbastanza". Respinto,
Creso si recò ad Efeso. Lì un amico di origine Ionica, Pamfeas, dopo
aver saputo della ragione della sua visita, ottenne una somma di mille
stateri d'oro da suo padre, Teocaride, che era in possesso di una
considerevole fortuna, che egli si affrettò a portare al principe che ne
aveva bisogno. Grazie a questi aiuti finanziari, Creso, rifornitosi di
truppe, fu il primo a unirsi all'esercito del padre, di cui riguadagnò
il favore, e che lo ebbe come alleato nella spedizione che avrebbe
conquistato la Caria. Creso più tardi si vendicò di Sadiatte, che lo aveva cacciato via, confiscandogli l'intero suo tesoro".
L'episodio illustra un chiaro esempio dello sforzo dell'elite dei mercanti di controllare la successione politica.
Infatti la vera ragione del rifiuto del prestito a Creso, era che il
potente mercante Sadiatte si era già impegnato ad appoggiare Pantaleone,
fratellastro di Creso, che era visto chiaramente come più adatto,
condiscendente e "non tutto d'un pezzo" rispetto al determinato Creso.
Sebbene la condotta oltraggiosa di Sadiatte nei confronti di Creso
suggerisca che il banchiere considerasse la sua posizione inviolabile,
quest'ultimo preferiva scegliersi i regnanti che con meno probabilità avrebbero creato problemi.
La sua rude arroganza nel far aspettare a lungo Creso alla porta, per
poi riceverlo e rifiutargli senza mezzi termini il prestito di denaro
richiesto, sicuramente costituì uno stimolo che portò Creso a voler
capire di più sul raggiro del sistema del denaro basato sulle misure di
metalli preziosi. Un imbroglio questo che permetteva alla gente della peggior specie (come Sadiatte) di beffarsi dell'autorità del re.
I risultati della sua indagine sicuramente
lo portarono a capire che, affinché il suo status di regnante avesse
davvero un senso, sopra ogni altra cosa era necessario che l'emissione
di massa monetaria fosse rimossa dal controllo di persone private, e ciò
lo indusse ad effettuare una riforma monetaria nel suo regno.
Allora, l'elite internazionale dei banchieri diede rifornimenti di soldati mercenari e il meglio delle armi a Ciro. Creso
li aveva offesi, non solo sottraendo il loro tesoro tenuto
dall'emissario Sadiatte, ma anche eliminando i conii dei mercanti e
facendo tornare al regnante il suo potere essenziale, cioè il controllo
dell'emissione monetaria. Bisognava fare
di questa vicenda un esempio che potesse funzionare da deterrente di
simili azioni da parte di altri principi, e per operare fu scelto
l'ambizioso Ciro, che non era altro che un insignificante
principe persiano. La ferocia dell'annientamento da parte di Ciro dello
sventurato Creso, che fu scuoiato vivo, senza dubbio fu effettuata allo
scopo di ricordare ad altri re che mentre il loro potere era nazionale,
c'era un altro potere internazionale, al di sopra e oltre quello di un
qualsiasi regnante locale.
Dopo la totale umiliazione di Creso, avendo Ciro dato prova della sua
sollecitudine nel promuovere i piani dei suoi sostenitori finanziari, il passo successivo fu la conquista relativamente facile di Babilonia, che fu organizzata per lui 14 anni dopo. Ciro fu da allora in poi nominato Il Grande.
Il giovane principe di Anzan nella Susiana divenne il regnante di un
impero esteso dal Caucaso all'Oceano indiano, dal Mediterraneo all'Asia
centrale. Egli restaurò e allargò i poteri dei Guardiani del Tempio di
Babilonia, come testimoniano le inusuali circostanze dei sacerdoti del
Tempio che osannano l'invasore e che ricevono privilegi e speciali
concessioni da lui.
Della stessa pasta erano i tiranni che erano saliti al trono nel 7° secolo a.C., come
re Fidone di Argo, che abbiamo già detto e che appena insediatosi
inventò la prima moneta di argento ad Egina, e ritirò dalla circolazione
le precedenti sbarre di ferro che erano servite come denaro.
In questo modo, nel giro di poco tempo i
banchieri internazionali si sarebbero insediati in tutte le città-stato
greche e di lì sarebbero stati in grado di finanziare l'opposizione a
qualunque potere, interno o esterno, che sperava di distruggere o anche ritirare le forme di finanziamento da quei poteri di cui organizzavano la distruzione.
Quei 'banchieri riconosciuti', avendo la
facoltà di regolare i volumi di valuta e di emettere il denaro, potevano
letteralmente ridere in faccia ai re e a qualsiasi altro potere
politico. È stato un banchiere, il famoso Amschel Rothschild (primo della lunga dinastia dei banchieri Rothschild), a proferire la seguente famosa frase: "Lasciatemi
emettere e controllare il denaro di una nazione, e mi sarà indifferente
chi vada ad occupare la funzione di scrivere le leggi".
La scoperta della pietra filosofale
dell'economia (appianamento delle transizioni tramite un sistema
pre-bancario) e il suo uso a vantaggio strettamente privato permise
dunque ad un'elite di mercanti-banchieri di usurpare al regnante il
potere essenziale del Tempio: cioè la creazione e la distribuzione
dell'unità di scambio, il che originariamente era il potere del loro Dio
di garantire il benessere e il buon vivere, nello stato, dei suoi
abitanti.
Le sventurate masse dell'Antico Oriente non immaginavano neppure
lontanamente che il regnante che essi vedevano era tutt'altro che un
essere divino sulla Terra, e che si trattava invece di un burattino
manipolato dalle forze segrete esercitate dall'elite dei banchieri che
cospiravano per diventare i controllori privati della invisibile
emissione di denaro.
Dei nuovi tiranni della Grecia, tra il 650 e il 500 a.C , il
Professor Heichelheim scrisse: "Questi tiranni erano per lo più membri
della nobiltà essi stessi, che avevano guadagnato tale titolo usando le
nuove possibilità politiche ed economiche del loro tempo per rovesciare i
loro stessi pari e soggiogare temporaneamente la città-stato".
La possibilità di armare eserciti non
veniva negata ai tiranni condiscendenti con l'elite che manipolava la
vita finanziaria delle nazioni.
Alessandro Magno istituì molte nuove
zecche, ognuna posta sotto il controllo di ricchi mercanti-banchieri, e
questi sicuramente lo ricompensarono non facendogli mancare armi ed
eserciti.
In corrispondenza di questo periodo storico, che aveva visto la
transizione delle città-stato greche al sistema monetario basato sui
metalli preziosi, con una resistenza più straordinaria del solito di Sparta con le leggi di Licurgo (che magari vedremo in un altro articolo), alcuni storici segnalano anche la "singolare iniziativa" nel V secolo
a Clazomene (nel Golfo di Smirne): una piccola crisi era scoppiata
perché il debito di 20 talenti di argento contratto per pagare delle
truppe mercenarie aveva imposto per molti anni l'incombenza del
pagamento di 4 talenti di interessi annui, senza che i clazomenei
fossero riusciti ad ammortizzare tale debito. I regnanti pensarono
allora di emettere 'denaro rappresentativo' in ferro del valore nominale
totale di 20 talenti, che i cittadini furono obbligati a prendere in
cambio delle monete di argento. L'argento così ottenuto fu usato per
estinguere immediatamente il debito, e ne avanzò per essi una rendita
annua di 4 talenti, precedentemente assorbita dal pagamento degli
interessi sul debito, che fu usata per risarcire in pochi anni il denaro
rappresentativo emesso.
Il passaggio dal sistema monetario basato
su argento e oro a quello delle ricevute-denaro create dai banchieri è
stata una costante nella storia dell'umanità.
Un esempio per tutti, quello del Regno di Napoli nel XVI secolo,
a dimostrazione dell'instabilità intrinseca del sistema monetario
basato sull'argento; a dimostrazione del fatto che, dopo la sua
introduzione, una crescente carenza di metalli preziosi fosse un
pericolo continuo per uno stato, e del fatto che il
passaggio alla legalizzazione delle ricevute dei banchieri è una tappa
obbligata in seguito alle inevitabili crisi di liquidità.
Nel Regno di Napoli, all'epoca di Filippo II di Spagna (1543-1598), c'era un'enorme fuoriuscita di fondi, sia
a beneficio del Regno Papale (grazie agli istituti religiosi operanti
nel Regno di Napoli), sia a beneficio di Fiorentini e Genovesi (cioè i
banchieri che operavano nel Regno e inviavano i profitti alle loro terre
natìe). Un'altra causa di fuoriuscita di argento era che il Regno
dipendeva dall'importazione della maggior parte delle materie prime e
prodotti industriali (Serra, 1994). Per ultimo, ma certo non in
importanza, la madre-patria spagnola operava un ulteriore prosciugamento
sul budget del Regno di Napoli, soprattutto per le guerre che
finanziava senza sosta (più di 2 milioni di ducati delle finanze del
regno furono inviate all'estero tra il settembre 1564 e il febbraio 1569
come pagamenti per gli eserciti, in munizioni, vitti e stipendi) (De
Rosa 1987).
Queste fuoriuscite impoverivano la circolazione monetaria del Regno, che
era basata sul ducato d'argento e quindi essenzialmente denaro
metallico.
Come rimedio per la carenza di moneta il governo era spesso obbligato ad importare argento per coniare monete. Riscontriamo
comunicazioni con carattere di estrema urgenza, come nel 1556, quando
il Fiduciario della Zecca, Gio. Batt. Ravaschiero, viene spronato dal
viceré a procedere “quanto prima possibile, dato l'urgente bisogno di
pagare i mercanti che avevano fatto dei prestiti alla Corte" (Archivio
Generale de Simanca, Visitas de Italia, fascio 348, fasc.n.7). Per
inciso, indovinate un po' chi erano i Ravaschiero? Essi erano i potenti
banchieri di Genova aventi una filiale in quel tempo anche a Napoli !! Cioè la zecca era sotto il controllo del banchiere privato.
Nuovi fondi erano necessari per sostenere le guerre spagnole contro
olandesi e turchi e, poiché in una situazione di cattivi raccolti non
era possibile incrementare il carico fiscale, terre demaniali e fortezze
del Regno (come quelle di Montecorvino e Olevano nel Principato citra),
dovevano essere vendute (Palermo 1846). Quando
ciò non era possibile, il governo era una volta ancora obbligato a
chiedere a mercanti e banchieri nuovi prestiti e, in vista dell'urgenza,
ad accettare di pagare interessi fino al 15%. (Camera della Sommaria, 1576).
Nel luglio 1582, il viceré dovette riconoscere che il denaro
circolante nel Regno era scarso e impose nuovamente il divieto di
esportare denaro d'argento, sotto pena di severe sanzioni (Vario 1772).
Eppure i provvedimenti ebbero scarso effetto, anche quando il viceré
stabilì la pena di morte per coloro che effettuavano tale
contrabbando. Due anni dopo, nel 1584, era chiaro che la scarsità di
moneta stava compromettendo il commercio e l'economia.
Il viceré tentò un altro approccio per ottenere una certa quantità di denaro circolante. Il 27 ottobre 1594 fu
stipulato un accordo con il banchiere Antonio Belmosto, che garantì il
trasferimento entro 2 anni al regno di Napoli di 1 milione di scudi (in
moneta sonante e in lingotti di argento), in cambio di certi benefici
finanziari (De Rosa 1987).
A peggiorare e complicare il disastro economico ci furono gli errori
commessi in materia monetaria: il rapporto tra valore intrinseco della
moneta napoletana e valore nominale fu mantenuto alto, in un tempo in
cui le altre nazioni vicine, tutti gli stati europei tra cui la Sicilia,
avevano ridotto il contenuto di argento nelle loro monete (Turbolo
1626). I sovrani del Regno di Napoli, involontariamente e forse mal
consigliati, avevano creato una situazione in cui era vantaggioso
esportare metalli preziosi, sia in monete che in lingotti, perché il
ducato aveva un valore maggiore delle valute straniere.
Assaliti dalla necessità di fornire denaro per il commercio e non
potendo più continuare ad acquistare metalli preziosi da inviare alla
zecca, intorno al 1570 il governo iniziò a permettere la circolazione dei certificati di credito, "fedi di credito", emesse dai Monte di Pietà
che erano stati istituiti a Napoli nel 1539, autorizzando le casse
dello stato ad accettarli come pagamenti delle tasse e per altri
pagamenti. Poco tempo dopo, nel 1597, Girolamo Ramusio riferisce
che “nel Regno di Napoli ci sono ora lettere di credito per il valore di
mezzo milione di monete d'oro, che appartengono a gentlemen napoletani
ed altre persone che cercano titoli nobiliari e cariche, offrendo molto
denaro, alcuni di essi per acquistare tali riconoscimenti nobiliari,
altri per non perderli. Questi desideri e ambizioni sono molto utili al
Re, perché Sua Maestà vende il titolo di principe a 20.000 scudi, di
duca a 15.000, di marchese a 10.000, e di conte a 5.000…”. (Relazioni,
1992).
Certificati di credito non erano nuovi nel Regno di Napoli. Ora però le
fedi non solo erano prova di depositi (allo stesso modo dei depositi
notarili), non solo esse venivano emesse come prestiti, ma soprattutto
esse erano trasferibili per girata, così che esse diventavano il mezzo di scambio del popolo.
Concedendo ad un certo numero di istituzioni lo status di banche, il governo aveva raggiunto due scopi:
1) quello di rimpiazzare parte della moneta metallica del regno
(che era diventata sempre più costosa a causa della necessità di
importare argento) con denaro a prezzo zero per il re;
2) quello di assicurare per il regnante dei prestatori, poiché
tali banche potevano dare prestiti al governo e alla città di Napoli a
tassi di interesse inferiori a quelli di mercato.
Per dare a tali istituti di prestito un'autorevolezza maggiore, i regnanti gradualmente trasferirono nelle loro casse i fondi del Regno.
Un altro vantaggio era che le banche, per
le transazioni tra i loro clienti, semplicemente registravano e
trasferivano le cifre su acconti, cioè vigeva l'appianamento dei crediti
per intermediazione bancaria (venne adottato il sistema bancario del registro a partita doppia).
Entro l'inizio del 17° secolo si era innestata una tendenza sempre
maggiore contro i pagamenti in contanti, come sottolinea Marc'Antonio De
Santis, "mentre in passato i banchieri consideravano un affronto il non
pagare tutti quelli che si presentavano per monetizzare le ricevute”, le
banche ora consideravano un grande affronto il fatto che qualcuno si
presentasse da loro e domandasse di essere pagato in contanti, per
lettere di credito fino a 200 scudi” (De Santis 1997).
Pietro Colletta descriverà, nel capitolo IX della Storia del Reame di Napoli (edita da G. Capponi, 1834), le vicende disastrose tra il 1791 e il 1799, quando i Napoletani scoprirono a loro spese che il volume di fedi di credito superava di gran lunga i depositi di tali istituti di credito (massa monetaria creata dunque moltiplicando riserve):
"I pubblici officii, i privati, la stessa casa del re, depositavano al banco il proprio danaro, là tenuto sicuro perché guardato o guarentito. Una carta detta fede di credito, accertava il deposito. Le fedi circolavano come danaro, nulla perdevano al cambio, guadagnavano ai tempi delle maggiori fiere del regno per il comodo e la sicurezza di portare in un foglio somme grandissime.
Milioni di ducati stavano in quelle casse. I pagamenti dei legati e molto danaro del regno si facevano per carte di banco. Il credito le sosteneva: ma il loro abuso fu svelato: le fedi già soperchiavano di decine e decine di milioni la moneta. (..) I depositari, traendo in folla ed a furia i loro crediti, fecero vóte le casse; e, trattenuti gli ultimi pagamenti, fu distrutto il prestigio della fedeltà. Essendo grande il danno perché infinite le relazioni coi banchi, divenne unanime nella popolazione il grido e lo spavento contro i reali. Il governo svergognò e punì molti uffiziali di banco per frodi vere o apposte. E non però migliorando le condizioni, e vedendo le polizze rifiutate nel commercio, comandò che valessero nelle private contrattazioni antiche o presenti: così, offendendo e nuocendo alle ragioni dell'universale.
Nacque allora nei fogli di cambio la indicazione di moneta fuori banco, la quale regge ancora, e forse, scordata la origine (perciò ne parlo) starà in eterno" (Colletta 1834).
Colletta intende dire che l'emissione di
banconote da parte di privati aveva senso fin tanto che erano promesse
di qualcosa, l'oro, ma oggi ci si dimentica di questa origine del
denaro, di questa promessa del controvalore (eventualmente tenuta
in deposito dall'emettitore), e si consente ai privati di creare masse
monetarie senza contropartita o deposito alcuno, e con danno per la
popolazione.
L'obiettivo era raggiunto.
Il passaggio da questi metalli preziosi al pagamento con ricevute non
era né casuale né una novità. Era già avvenuto nell'antica Mesopotamia e
avverrà inevitabilmente in ogni altra parte del mondo ed in ogni epoca
come conseguenza delle distorsioni e stress enormi che venivano
procurati naturalmente e artificialmente alle popolazioni che se ne
servivano.
Era proprio per questo motivo che l'elite
internazionale di mercanti-banchieri teneva tanto che fosse introdotto
il sistema monetario basato sull'argento. Si contava di poter usare il
suo potere destabilizzante a proprio vantaggio più e più volte nel corso
della storia. Di lì il passo era breve a che i governi delle nazioni
fossero costretti a far nascere la massa monetaria di interi popoli come
debito verso una classe privilegiata di banchieri internazionali.
Le Banche Centrali
Storicamente si fa risalire il “baco” della creazione delle Banche centrali alla Bank of England.
Essa inizierà a creare banconote, a dare prestiti, e in breve ad
esercitare il solito vecchio abuso: la creazione del mezzo di pagamento,
gravato di un interesse, a vantaggio di una banca privata che non aveva
in deposito tutto il valore delle ricevute.
William III ed i suoi successori non
s'interesseranno più della natura matematica o dell'origine dei prestiti
fatti dai "banchieri riconosciuti".
La storia della civiltà, da questo punto di vista, ha visto silenziosamente sconfitti quasi tutti i 'grandi.' Anche per Napoleone fu impossibile resistere alla pressione dei poteri addetti all'emissione di denaro.
Nell'aprile del 1800 il grande generale francese permise l'istituzione della National Bank of France, una banca privata che emetteva banconote dal nulla, o meglio dal privilegio concessogli di moltiplicare riserve.
Non avrebbe Napoleone potuto decidere di far emettere il denaro dallo
Stato stesso invece che da banchieri privati? La risposta la troviamo
nelle sue contingenti necessità militari. Essendo un gruppo
interconnesso di potenti mercanti-banchieri di diversi stati divenuti
fedeli tra di loro, essi avevano
guadagnato una posizione tale da poter negare, a coloro che meno
rendevano loro omaggio e privilegi, sia approvvigionamenti di monete che
delle armi del tempo. Un generale di un esercito si muoveva in
quello che era un terreno ideale per l'affermarsi dei banchieri, la
necessità di diventare forte militarmente lo obbligava a dover chiedere
il loro appoggio.
Lo sapeva Napoleone cosa stava facendo istituendo (nel 1800) tra i suoi
sudditi un sistema economico dove l'emissione di denaro era
impacchettata e regalata ai banchieri emissari dell'elite
internazionale?
Si, lo sapeva. La questione dell'emissione del denaro da parte di questi
tizi non era a lui ignota, come testimoniano alcuni passaggi nelle sue Memorie:
"Quando una nazione dipende dal denaro di banchieri privati, sono questi e non i leader di governo a controllare la situazione, poiché la mano che dà sta sopra quella che prende. Il denaro non ha fazione, i finanzieri non hanno né patriottismo né decenza; il loro unico scopo è il guadagno".
Sta di fatto che egli permise ad "alcuni sostenitori del colpo di stato
del 18 brumaio di fondare la National Banque of France, a cui venne
concesso il monopolio privato dell'emissione di banconote francesi
(Ferguson 2001).
Nel 1806 Napoleone dirà: "La Banque National non appartiene solo ai suoi
azionisti; appartiene anche allo stato che le ha concesso il privilegio
di creare denaro" (Crouzet 1999). Se l'elite dei banchieri
avesse avuto la possibilità di rispondergli pubblicamente avrebbe
gridato: "E noi ti abbiamo concesso il privilegio di diventare Napoleone
I" (il 2 dicembre 1804 egli assume su proposta del senato la corona di
Imperatore).
A questo punto l'imperatore, in questo dialogo semi-segreto con i
banchieri, avrebbe concluso ribadendo con fermezza: "L'Etat c'est moi"
(lo Stato sono io), cioè sono io come regnante a dover garantire al mio
popolo la sorgente del mezzo di scambio, la moneta, e non voi!".
Ma con i creatori del denaro dal nulla Napoleone dovette convivere.
Non gli fu possibile resistere alle pressioni e dunque creare una
realtà che non concedesse anche in Francia il monopolio privato
dell'emissione di denaro ai banchieri internazionali.
Egli comunque pretese di acquisire delle quote della Banca Nazionale
(Koerner 1995), e ciò gli fu consentito anche perché portava sempre
nuove riserve d'oro alla Banca stessa. Infatti nel 1803, Napoleone
vendette il territorio ad ovest del Mississippi al terzo presidente
degli Stati Uniti, Thomas Jefferson, per 3 milioni di dollari in oro
("Louisiana Purchase"). Successivamente avrebbe cercato di svuotare le
Banche degli stati conquistati (a volte senza successo, come testimonia
il famoso l'episodio in cui scoprì che le camere di sicurezza della Bank
of Amsterdam erano assolutamente vuote).
L'ombra dei banchieri internazionali fu su di lui durante tutto il periodo dell'impero (durante cui costruì e armò eserciti con somme ingenti di denaro), finanche nel 1815 quando, dopo il ritorno dall'isola d'Elba, fu un prestito della Eubard Banking House di Parigi che permise l'equipaggiamento dell'esercito napoleonico dei "100 giorni".
Goethe scrive: "La storia di Napoleone produce in me un'impressione come
quella procuratami dalla lettura dell'Apocalisse nella Bibbia. Tutti
noi abbiamo la sensazione che ci deve essere qualcosa di più in essa, ma
non abbiamo idea di cosa sia."
Quel qualcosa così mirabilmente intuito e descritto da Goethe, e che la
gran parte delle popolazioni e degli storici non sono riusciti a
vedere: l'esistenza di forze
internazionali molto ricche che dietro le quinte possono dare poteri
enormi a regnanti ambiziosi e a favore di guerre (da Ciro il Grande ad Alessandro il Grande, a Cesare, etc. etc., vedi capitolo II), e che in cambio chiedono solo di poter controllare l'emissione di denaro.
A quel tempo c'era la dinastia dei Rothschild, banchieri internazionali,
di cui Carmack (1998) scrive: "Mayer Rothschild aveva cinque figli: il
primo, Amschel, rimase nella città natale Francoforte, il secondo
Salomon fu spedito a Vienna, il terzo Nathan fu mandato a Londra, il
quarto, Karl, si recò a Napoli, il quinto, Jakob, andò a Parigi." (v.
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Le banche dei Rothschild,
cooperando all'interno della famiglia e utilizzando le tecniche di
riserva frazionale bancaria, diventano incredibilmente ricche, tanto che
lo scrittore Ignatius Balla nel 1913 stimerà che la loro ricchezza
personale ammonti ad oltre due miliardi di dollari (di allora). Già nel 1818 il
segretario del principe austriaco Metternich, scrivendo dei Rothschild,
affermava che "essi sono le persone più ricche d'Europa", e in effetti
già allora avevano quasi completamente assunto il controllo azionario
della Banca centrale d'Inghilterra. Con essi erano indebitati la
Prussia, l'Austria e la Russia, avendo accettato grosse somme per armare
gli eserciti contro Napoleone. Fu il
giovane Nathan Rothschild (il volto dell'elite dei banchieri a Londra) a
far pervenire al Duca di Wellington l'oro necessario per organizzare
l'attacco di Waterloo!
Aveva ragione Napoleone, scrivendo che di
queste persone non ci si poteva fidare. L'imperatore aveva, è vero,
messo alcuni suoi parenti nel Consiglio della Banca di Francia, ma non
aveva potuto impedire che, contemporaneamente a lui, i Rothschild
finanziassero anche i suoi nemici.
In generale, coloro tra i sovrani ai quali poteva sembrare che le loro
azioni e piani più sordidi fossero finalizzati al semplice gioco
dell'imperialismo o del dominio di uno contro l'altro, non si rendevano
conto che per il vertice della piramide di potere tutto ciò fosse
funzionale al progredire del controllo monetario internazionale.
David Rockefeller, presidente della Chase Manhattan bank, ha spiegato nel 1991 al Congresso di Baden Baden: “Siamo
riconoscenti al Washington Post, al New York Times, al Time Magazine ed
altre eccezionali riviste i cui direttori hanno partecipato alle nostre
riunioni ed hanno rispettato le loro promesse di mantenere la
discrezione per quasi 40 anni (sul piano "neo-liberale" di bypassare la volontà delle singole nazioni, ideando e finanziando istituti quali FMI e WTO, N.d.A.). Non
ci sarebbe stato possibile sviluppare tale piano per il mondo se
fossimo stati esposti alle luci dei riflettori dei mass-media e della
pubblicità durante questi anni” (Bilderberger Meeting, giugno 1991).
E aggiungeva:
“Il mondo è pronto a marciare verso un governo mondiale. La sovranità sovra-nazionale di un'elite di controllo di banchieri internazionali è sicuramente molto più auspicabile della auto-determinazione nazionale praticata nei secoli scorsi”.
Più volte nella storia della civiltà, erano fioriti (quasi
istantaneamente e dal nulla) potenti mercanti-banchieri, nonostante un
generale stato di assenza di contanti; a Londra, Amsterdam, Venezia,
Firenze, persino nell'antica Atene e nelle città-stato dei Sumeri.
L'attività dei mercanti-banchieri di Londra nel XVIII secolo sarà così descritta da Jevons: "Una
piccola stanza fa da ufficio, ricevute di prestiti e debiti ammontanti
in media a 20 milioni di sterline al giorno sono liquidati dagli
operatori senza l'uso di un sola moneta o banconota. E di ciò il
pubblico non sa nulla, si usa questo meccanismo tenendolo in assoluta
segretezza". Ignoto alle masse era soprattutto il fatto che
grazie a questo tipo di appianamento dei pagamenti e grazie alla
confidenza del pubblico nel denaro-cambiale bancario, tali istituti
venissero messi nella condizione di moltiplicare riserve.
L. Acerra
Parte dell'articolo è tratto dal saggio The Babylonian Woe, di David Astle
Link al documento (lingua inglese)
https://archive.org/details/TheBabylonianWoeByDavidAstle
fonte: http://www.anticorpi.info/2014/05/storia-della-moneta-prestito-sistema.html
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