Nella bassa valle dell’Omo, in Etiopia, vivono circa 200.000 indigeni. Una vita difficile la loro, visto che spesso subiscono repressioni brutali e reinsediamenti forzati per far posto alle piantagioni industriali e alle grandi opere.
Secondo i
rapporti, pubblicati questa settimana, da due gruppi di diplomatici UE
inglesi, americani e che hanno visitato le aree di reinsediamento nella
Bassa Valle dell'Omo in Etiopia meridionale lo scorso anno, la vita di
Mursi, Bodi e altre tribù semi-nomadi sono stata stravolte dalla diga
Gibe III.
“Forse moriremo. Il fiume ci tiene in vita. Dove andremo a vivere se portano via l’acqua dal letto del fiume? Se non ci saranno più pesci, cosa daremo da mangiare ai bambini?” aveva detto un uomo Kwegu nel 2012, quando erano iniziate le operazioni per spianare la loro terra.
La diga Gibe III da 5
miliardi di dollari, alta 243 metri, genererà 1.870 megawatt (MW) di
energia elettrica una volta completata entro la fine dell'anno e
utilizzerà 175.000 ettari di terreni precedentemente usati da pastori e
piccoli agricoltori.
Secondo Survival International,
il governo britannico ha cercato di nascondere le violazioni dei
diritti umani subite dalla popolazione di quest'area da parte del
governo etiope come il reinsediamento forzato dei Bodi e di altre tribù.
Per compiacere il governo, infatti, la Gran Bretagna avrebbe tentato di non mostrare le gravi violazioni dei diritti umani subite dagli indigeni.
Facciamo un passo indietro.
Nell’agosto 2014, i principali donatori di aiuti all’Etiopia – tra cui
il Dipartimento britannico per lo Sviluppo Internazionale (DFID),
l’USAID, l’Unione Europea e l’Italia – avevano inviato due missioni
nella bassa valle dell’Omo.
L'obiettivo? Sapere se le tribù fossero state realmente costrette a lasciare le loro terre per far spazio alle piantagioni industriali.
Nonostante gli obblighi imposti dal
Freedom of Information Act, le autorità britanniche non hanno resi
pubblici i due documenti, motivando la loro decisione in questo modo: la
loro divulgazione avrebbe messo a rischio le relazioni internazionali.
Survival, che ne aveva fatto richiesta, si è quindi appellata alla
Commissione Europea, che li ha resi noti.
Secondo quanto emerso dai due dossier, il governo etiope non ha ottenuto il consenso delle tribù della bassa valle dell’Omo al reinsediamento.
Inoltre esse sono state costrette anche ad abbandonare le loro terre a
seguito di minacce e pressioni da parte del governo stesso.
Addirittura, un gruppo indigeno
avrebbe detto ai donatori: “Prima che possiate tornare l’anno prossimo,
il governo verrà a ucciderci e a finirci”.
Come se non bastasse, il land grabbing
nega alle tribù l’accesso alle rive del fiume, di cui hanno bisogno per
le loro coltivazioni. Le piantagioni industriali privano le tribù anche
dei pascoli e delle loro antiche terre da cui dipendono per
sopravvivere.
Anche la vita nei villaggi
per questi gruppi è diventata molto dura: Racconta il rapporto: “La
loro situazione durante la nostra visita era deplorevole; a causa
dell’assenza di servizi igienici, gli abitanti dei villaggi soffrono di
malattie come diarrea emorragica, malaria e mal di testa aspecifici…
Nonostante le terribili circostanze riscontrate a ‘X’ [nome del
villaggio cancellato], i residenti affermano che il governo non permette
a questo gruppo impoverito e vulnerabile di andarsene”.
Sull'orlo di una catastrofe umanitaria dunque.
Tutto questo finora era stato celato. Nella lettera ufficiale
inviata al governo etiope, e pubblicata nel febbraio scorso, i
donatori, secondo Survival, avevano omesso i risultati più importanti
delle loro missioni sul campo spiegando che essi
“non hanno trovato prove di persone costrette ad andarsene per essere reinsediate o per [far spazio] ai progetti agricoli nelle aree che hanno visitato”, e che non hanno “riscontrato nessuno dei problemi di cui parlano Survival International, Human Rights Watch e altri…”
Ma a marzo 2015 Survival ha ricevuto
rapporti preoccupanti secondo cui gran parte della piccola tribù dei
Kwegu è già ridotta alla fame a causa della distruzione della foresta e
della morte del loro fiume, seguiti alla costruzione della diga Gibe III e ai progetti di irrigazione ad essa collegati.
Clicca qui per leggere i rapporti di South Omo e Bench Maji
Cosa possiamo fare? Scrivi una lettera al primo ministro dell'Etiopia per le popolazioni della Valle dell'Omo, clicca qui
Francesca Mancuso
fonte: http://www.greenme.it/informarsi/ambiente/17510-indegeni-etiopia-sfratti-piantagioni-industriali
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