venerdì 4 settembre 2015

L’alleanza russo-cinese cambierà il mondo

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Il viaggio di Vladimir Putin a Pechino per celebrare il 70° anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale sarà la sua 14.ma visita in Cina. Le relazioni tra i due Paesi sono costantemente migliorate nei 15 anni di governo di Putin, ma negli ultimi due anni la convergenza delle nostre nazioni diventa un importante evento geopolitico. La storia dei nostri due Paesi li vuole garanti della pace in Eurasia e quindi nel mondo.
Data la storia, russi e han s’incontrarono nel vasto spazio eurasiatico non molto tempo fa. I cinesi, il popolo più antico ad aver conservato la sovranità, cominciarono ad entrare in contatto con la Russia in un momento difficile per la civiltà han. Fatta eccezione per un breve periodo in cui furono sotto un unico Stato (alla fine del 13° secolo russi e cinesi erano soggetti a ciò che si chiamava governo mongolo, l’Orda, poi impero yuan), i primi contatti si ebbero solo quattro secoli dopo quando la Russia iniziò la conquista della Siberia. Il primo trattato fu firmato 325 anni fa, e più o meno regolari contatti iniziarono dopo la visita a Pechino di una missione spirituale russa, nel 1712. All’epoca la Russia si era già notevolmente sviluppata verso est, senza però arrivare all’Oceano Pacifico, e i nostri Paesi divennero confinanti. Tuttavia solo i confini dell’impero, dove generalmente non vivevano i rappresentanti della nazione, erano in contatto. Ma questo non fu il principale ostacolo al riavvicinamento reciproco, non più del carattere chiuso ed autosufficiente dello Stato cinese. 

C’erano due ragioni soggettive legate alle peculiarità dello sviluppo dei nostri Paesi. Una era il fatto che all’epoca l’attenzione del potere russo si concentrava sui confini occidentali e meridionali del Paese. La parte orientale del Paese, distante e non sviluppata, era veramente di difficile accesso e quindi la scelta a favore dell’europeizzazione del Paese di Pietro il Grande fu decisiva. La seconda ragione fu che la Cina si avvicinava al periodo di crisi della sua storia. Dalla fine del 18° secolo, la Cina cominciava ad indebolirsi, e la sua ricchezza era ambita dall’occidente, che già spadroneggiava e sottometteva quasi tutto il mondo. Nel 19° secolo la Cina fu costretta ad aprirsi forzatamente a commercio e sfruttamento anche diffondendo l’oppio tra la popolazione. I principali “esploratori” erano naturalmente inglesi, ma altri Paesi occidentali non si fecero pregare per avere la loro parte. Fu l’inizio di un secolo di umiliazione nazionale e caos. 
La Cina perse il controllo sul commercio, il potere s’indebolì ed iniziarono disordini interni e ribellioni. La Russia nel 19° secolo si estese fino alle coste del Pacifico, firmando con la Cina lo stesso tipo di trattati ineguali dei Paesi occidentali. Prendemmo il Primorie (già nota come Manciuria esterna), che però era praticamente disabitato e era piuttosto visto come territorio vassallo della Cina che parte dell’impero, allora “affittammo” un certo numero di città in Manciuria sul cui territorio iniziammo a costruire la ferrovia da Vladivostok alla base navale di Port Arthur ricevuta in concessione dai cinesi. Nel 1900, quando in Cina esplose la rivolta contro gli stranieri, truppe russe nell’ambito di una coalizione di potenze occidentali presero Pechino. 
Sembrava che la Cina divenisse definitivamente un’enorme semi-colonia di occidente e Russia. In effetti, se la Russia entrò in Cina, vedendovi i Paesi occidentali dominare, non era tanto per la paura di essere in ritardo quanto dal desiderio di creare un contrappeso alla presenza geopolitica e militare degli europei sulle frontiere orientali. Ma presto tutto cambiò. Dopo la rivoluzione bolscevica, la Russia iniziò ad avvicinarsi alla Cina immersa da 30 anni in una serie di guerre civili e di disordini. Le idee di uguaglianza sociale e l’antimperialismo dell’Unione Sovietica ne fecero un Paese attraente per i cinesi, ideologicamente e geopoliticamente. In primo luogo, il nazionalista Kuomintang di Sun Yat-sen e il Partito comunista di Mao Zedong, che combatté il successore Chiang Kai-shek, ritenevano Mosca un importante alleata. Inoltre, la Russia fornì assistenza militare alla Cina, non per la guerra civile ma per proteggerne la sovranità. Infatti nel 1931 oltre alla guerra civile la Cina fu colpita da un aggressore estero. Il Giappone invase e annesse il nord-est del Paese formando lo Stato vassallo del Manchukuo guidato dall’ex-imperatore cinese. 
La guerra civile, tuttavia, continuò e si fermò solo nel 1937, ma nello stesso anno i giapponesi penetrarono in profondità in Cina prendendo Pechino. L’URSS portò il suo aiuto nella guerra contro i giapponesi di Kuomintang e Partito comunista, ma i cinesi non riuscirono a sconfiggere i samurai. Dopo l’entrata in guerra dell’URSS e l’offensiva del nostro esercito in Manciuria, il Giappone si arrese e la Cina fu liberata. Anche se nel nuovo ordine mondiale fondato dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Cina fu riconosciuta grande potenza e divenne uno dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il Paese non uscì dal periodo del caos, la guerra civile riprese fino alla vittoria del Partito Comunista quattro anni dopo. L’URSS in quel periodo aiutò i comunisti, ma in segreto perché doveva mantenere i rapporti con le autorità che anche se erano apertamente filo-occidentali, ci permisero di affittare nuovamente la base navale di Port Arthur e le Ferrovie Orientali Cinesi. La vittoria del PCC fu la svolta nella storia cinese e dei rapporti di forza nel mondo.

main-qimg-11985156453001af5e9524c0576c6ffdMao Zedong non solo vinse la guerra, unificò la Cina arrivando al livello di Qin Shi Huang e Kublai, nipote di Gengis Khan. Per l’occidente la rivoluzione comunista in Cina, che i supponenti statunitensi credevano già loro dato che Chiang Kai-shek era loro alleato, fu uno shock. Per alcuni anni negli Stati Uniti divampò il dibattito su come i politici statunitensi avessero “perso la Cina”. L’occidente non sapeva cosa fare con la vittoria dell’Unione Sovietica, dopo la guerra divenuta superpotenza che controllava mezza Europa, e ora un enorme impero rosso occupava la maggior parte dell’Eurasia. Chi controlla l’Eurasia controlla il mondo è la prima legge della geopolitica formulata dagli strateghi anglosassoni e che gli atlantisti non dimenticheranno mai. Inoltre, il blocco sino-sovietico non fu solo geopolitico ma anche ideologico: l’idea comunista aveva sempre più sostenitori, non solo in Europa occidentale, ma anche nel Terzo Mondo che l’occidente fu costretto a liberare dal dominio coloniale. Gli appelli antimperialisti da Mosca e Pechino furono ripresi in Africa, Asia e anche America Latina. 
Affrontare il blocco sino-russo sembrava impossibile: né la guerra USA-Cina, sotto la copertura della guerra di Corea del 1950-1953, o la privazione di Pechino del seggio delle Nazioni Unite (gli Stati Uniti bloccarono il trasferimento della rappresentanza da Taiwan alla Repubblica popolare cinese fino al 1972) non riuscì a fermare l’ascesa della Cina. L’URSS fornì assistenza sostanziale per gli equipaggiamenti dell’esercito cinese e la costruzione della nuova economia, la prima industrializzazione cinese. Inoltre, tutte le acquisizioni ingiuste dell'”umiliazione nazionale”, dalle Ferrovie a Port Arthur, furono restituite a Pechino al più presto. Sembrava che l’eterna amicizia fosse forte e incrollabile, ma non si contava il fattore personale. Le relazioni tra Mao Zedong e Nikita Khrushjov, soprattutto da quando era diventato nel 1957 l’unico leader dell’Unione Sovietica erano, per usare un eufemismo, insoddisfacenti; non c’era comprensione reciproca. 
Mao pensava male della lotta al “culto della personalità” di Stalin, che i cinesi apprezzavano come marxista e alleato geo-politico, soprattutto quando la lotta si rivelò addirittura distruttiva per il campo socialista e la teoria comunista. Mao era deciso a condurre una lotta feroce contro imperialismo e capitalismo mondiale e chiese maggiore pressione sugli Stati Uniti nel mondo, guidando tutti i partiti comunisti e le forze di sinistra del Terzo Mondo. Da parte sua, Khrushjov oscillava tra confronto diretto e provocazioni verso gli Stati Uniti, da un lato, e dialogo e compromesso con essi, suscitando in Mao dubbi circa suoi ideologia e principi. Mao fu anche preoccupato dalla visita di Krushjov negli Stati Uniti nel 1959, da cui il Primo ministro giunse il giorno dopo a Pechino per celebrare il 10° anniversario della Repubblica popolare cinese, e ancor più per la proposta di stanziare la flotta sovietica nei porti cinesi. 
Khrushjov si giustificò sinceramente con la necessità di proteggere la Cina dalle basi statunitensi a Taiwan, Giappone e Corea, ma allo stesso tempo propose a Mao di trasferire ai sovietici il comando operativo della nuova Marina cinese che veniva creata con il suo aiuto. Mao vi vide un segno del colonialismo, un tentativo di sottomettere la Cina che contrastava con la posizione di Stalin e lo convinse del “revisionismo” (cioè del tradimento del marxismo-leninismo e della sua lotta antimperialista) di Khrushjov. L’insoddisfazione reciproca e disaccordi su questioni pratiche e teoriche del mondo comunista si accumularono. Il risultato è stato il rientro della maggior parte degli esperti sovietici, un grave conflitto ideologico, primo riservato, poi dichiarato dal 1961, portando poco a poco alla rottura dei rapporti tra gli Stati. Khrushjov divenne un revisionista per i cinesi, e anche la sua rimozione dalla carica nell’autunno del 1964 non sanò la situazione, anche se il conflitto con la Cina fu uno dei motivi principali che imposero le dimissioni al “volontarista” impenitente.
L’unione delle due grandi potenze eurasiatiche crollò e le conseguenze del crollo del blocco sino-sovietico furono negative per entrambi i Paesi. Ben presto, nel 1966, la Cina entrò in un periodo di lotte intestine nel partito e di lotta di classe, “la Rivoluzione Culturale”, e il Paese fu completamente isolato dal mondo, limitando i contatti a diversi Paesi di Africa e Asia e ai simpatizzanti del maoismo rivoluzionario. La Cina si pone come pilastro della rivoluzione mondiale, questa volta rivolgendosi non solo al Terzo Mondo ma anche ai Paesi occidentali. Mao divenne l’idolo della sinistra nei tumulti in Europa del 1968 e delle “Black Panther” negli Stati Uniti, ma nel 1971 Kissinger andò a Pechino e il triangolo URSS – USA – Cina attuò cambiamenti rivoluzionari. 
Mao ancora temeva l’Unione Sovietica, a torto considerando i successori di Krushjov, Brezhnev e Kossighin, degli “egemoni sovietici” (un sinonimo marxista del termine “imperialista”) e decise di riconciliarsi con Washington, con cui non aveva contatti da oltre due decenni. Fu l’occasione per gli Stati Uniti di giocare la “carta cinese” contro l’Unione Sovietica e la “carta sovietica” contro la Cina e di approfittare dell’assenza di comunicazione e della disputa tra Mosca e Pechino, per costruire relazioni con i due Paesi e avere una posizione geopolitica vincente. Con il tempo l’Unione Sovietica e la Cina furono pronte a cercare la via della riconciliazione, e ciò accadde a metà degli anni ’80, prima ancora dell’avvento al potere di Gorbaciov, ma era troppo tardi per ripristinare i vecchi rapporti o costruirne di nuovi. 
La Cina aveva già lanciato le riforme economiche per attrarre investimenti esteri (inizialmente dai cinesi huaqiao, cinesi d’oltremare), e l’URSS e le goffe riforme in politica estera dell’ingenuo Gorbaciov gettarono il Paese in crisi. La visita di Gorbaciov a Pechino, nel maggio 1989, non fu un successo: il primo incontro al vertice in trent’anni si concluse con una replica di Deng Xiaoping, che in una conversazione con il vicesegretario generale, trattò l’omologo russo da “imbecille”. Non per il suo “sciovinismo han da grande potenza”, ma dopo aver ascoltato il discorso del Segretario generale sulle riforme dell’Unione Sovietica e del suo “nuovo pensiero per tutto il mondo”. Sempre nel 1989, la Cina fu colpita dalle sanzioni statunitensi e l’Unione Sovietica cominciò a perdere l’Europa orientale e due anni dopo si sciolse. Negli anni ’90 la Cina si rafforzò non per sfidare gli Stati Uniti, ma per rafforzare il suo potere interno e iniziare l’espansione economica nei Paesi in via di sviluppo (in cerca di materie prime). 
Le élite russe cercavano di far parte del mondo occidentale, mentre la Cina vide il nostro Paese solo come partner commerciale, cercando di trarre le lezioni dal rapido crollo del comunismo nella sua ex-roccaforte. Anche se avevamo l’interesse comune d’impedire l’ingresso degli Stati Uniti in Asia centrale, i nostri Paesi non poterono allearsi per la diffidenza di Pechino verso l’assenza d’indipendenza delle autorità russe e per gli orientamenti geopolitici filo-occidentali della classe dirigente russa, che non lasciavano spazio a relazioni strategiche. Pertanto anche Evgenij Primakov, con il suo concetto sull’asse Mosca – Delhi – Pechino, e Boris Eltsin con il suo famoso “sarà come abbiamo detto Jiang Zemin e io, non è Bill Clinton che lo deciderà”, a Pechino tre settimane prima delle sue dimissioni da presidente, erano allusioni al fatto che le relazioni tra i due Paesi potevano svilupparsi diversamente.
Putin ha costruito nei primi anni un rapporto puramente economico con la Cina. Inoltre non era ancora pronto ad annunciare apertamente le sue ambizioni globali. Hu Qingtao, alla guida del Paese negli anni 2000, era un leader prudente, come richiesto dal momento di consolidamento delle forze. Salito al potere nel 2012, Xi Jinping è di ben diverso avviso, è il più potente leader cinese da Mao e Deng. E cosa più importante, la Cina è entrata in una fase di ascesa a potenza, l’anno del “sogno cinese” è stato fissato per il 2020. Il ritorno di Putin al Cremlino e l’elezione del presidente cinese Xi coincisero, ma il peggioramento delle relazioni di Russia e la Cina con gli Stati Uniti era del tutto naturale. Putin annunciava ufficialmente la svolta a Oriente dopo il conflitto con l’occidente sull’Ucraina, ma il rapporto strategico con la Cina e la priorità dello sviluppo dell’Estremo Oriente furono già annunciati nei suoi articoli pre-elettorali all’inizio del 2012. 
L’istituzione di un partenariato strategico era predeterminato da obiettivi geopolitici comuni ai due Stati: la necessità non solo di resistere alla politica di contenimento che gli Stati Uniti attuano tanto verso la Cina (finora in forma lieve) che verso la Russia (in modo brutale), ma anche d’iniziare a lavorare per creare una nuova architettura globale finanziaria, economica e geopolitica, volta a sostituire il mondo americanista fatiscente, la cui demolizione, che si spera sia la più agevole possibile, è essenziale per l’ulteriore sviluppo di Russia e Cina. Ma non sono solo gli interessi pragmatici hanno cementato l’unione di due grandi vicini, siamo uniti anche dall’etica simile alla base dei codici spirituali delle nostre civiltà (che, per inciso, si manifesta nella mania cinese per i film di guerra sovietici come “L’alba qui è tranquilla”). 
Naturalmente, per la maggior parte di russi e cinesi è convinta che sia necessario superare gli stereotipi imposti dalla matrice globale ed aumentare gli sforzi per il riconoscimento reciproco. Sui rapporti tra i due leader, non solo le loro qualità personali ma anche la loro comprensione dell’esperienza dell’unione degli anni ’50, e anche delle ragioni oggettive e soggettive del suo crollo, gli consentiranno di costruire una base migliore per le relazioni tra i due Paesi. Se Putin e Xi riescono a rafforzare l’alleanza geopolitica con lo slancio della simpatia reciproca tra le due civiltà che mettono i valori spirituali avanti a quelli materiali, tale alleanza può essere non solo sostenibile ma anche molto più forte di quella degli anni ’50. In altre parole, il perno che cambierà realmente il mondo.
Pjotr Akopov VZ 3 settembre – Histoire et Societé
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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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