Se
i rapporti ufficiali vanno creduti, l’ultima visita del presidente
degli Stati Uniti Barack Obama in Europa ha riguardato tutto tranne ciò
che in realtà era al centro delle discussioni, il partenariato
transatlantico di scambio ed investimenti (TTIP). Per Obama, i cui
successi in politica estera appaiono patetici anche rispetto a quelli
del predecessore George W. Bush, è di vitale importanza finire la
presidenza col botto, soprattutto perché, per sua stessa ammissione, le
prospettive sul futuro del TTIP saranno estremamente incerte, una volta
che la Casa bianca passerà di mano. E non solo nel caso in cui Donald
Trump, apertamente critico delle ambizioni globali dell’attuale élite
statunitense, possa diventare presidente.
Ci saranno problemi anche con
Hillary Clinton presidente, pur, come Obama, rappresentando gli
interessi delle multinazionali ed essere grande sostenitrice dell’idea
del dominio globale degli Stati Uniti. La campagna elettorale negli
Stati Uniti ha già dimostrato che l’elettorato è disposto a mettere gli
interessi nazionali degli Stati Uniti al di sopra delle ambizioni
imperiali delle élite e delle grandi corporazioni. Trump non è l’unico
ad aver espresso tale tendenza, c’è anche Bernie Sanders e, in una certa
misura, il numero due nella corsa repubblicana, Ted Cruz.
Anche se
vincesse, Hillary Clinton sarà costretta a prendere tale punto di vista
in considerazione, in particolare se ne guadagnerà i sostenitori nel
tempo. I capi europei (con l’eccezione della cancelliera tedesca Angela
Merkel e del primo ministro inglese David Cameron, forse) non sono molto
entusiasti alla prospettiva che i loro Paesi divengano appendici
coloniali dei monopoli degli Stati Uniti, tanto più che nella maggior
parte dei Paesi europei vi saranno presto le elezioni. Quindi, se Obama
riesce effettivamente a concludere il TTIP, potrà sentirsi un vincitore.
Insieme al partenariato (Trans-Pacifico TPP ) firmato tra Stati Uniti e
11 Paesi della regione Asia-Pacifico nell’ottobre 2015, il presidente
degli Stati Uniti uscente potrà prendersi il merito della creazione di
un enorme e potente sistema USA-centrico avvolgente l’Eurasia da
occidente ad Oriente subordinando numerose economie nazionali,
sviluppate o in via di sviluppo, al capitale statunitense (o meglio
multinazionale), al fine di strangolare o poi subordinare i Paesi
esclusi da TTIP e TPP, in primo luogo Cina, Russia, India e numerosi
altri. Inoltre, i tentativi statunitensi di creare TPP e TTIP, volti a
rompere l’equilibrio degli interessi in Eurasia, sono attuti contro il
rafforzamento dei processi d’integrazione nell’Eurasia.
La dichiarazione
congiunta del Presidente russo Vladimir Putin e del Presidente cinese
Xi Jinping nel maggio 2015, al 70° anniversario delle celebrazioni della
Vittoria nella Seconda Guerra Mondiale, sull’integrazione dell’Unione
eurasiatica economica (EEU) e della Cintura economica della Via della
Seta, apre enormi possibilità di riunire le economie dei Paesi della
Grande Eurasia. E il processo di adesione alla Shanghai Cooperation
Organization (SCO) di India e Pakistan a membri a pieno titolo (con la
possibilità dell’Iran di unirsi alla SCO nel prossimo futuro), iniziato
nel luglio dello stesso anno, completa questi processi d’integrazione.
Inoltre, le iniziative d’integrazione in Eurasia non si limitano a UEE,
Cintura economica della Via della Seta e SCO.
In questo contesto, l’iniziativa eurasiatica della presidentessa sudcoreana Park Geun-hye, il programma ‘Nurly Zhol’ del Kazakistan e il progetto Strada nella Steppa della Mongolia sono degni di nota. La differenza fondamentale tra questi progetti e i TTP e TTIP promossi e finanziati dagli Stati Uniti è la seguente. L’obiettivo principale di TPP e TTIP (oltre a subordinare le economie dei Paesi membri) è impedire la crescita economica dei principali Paesi eurasiatici, in primo luogo Cina e Russia, ed impedire l’integrazione della regione Asia-Pacifico e dell’Eurasia.
Così le iniziative TPP e
TTIP sono esclusive, escludendo deliberatamente i principali avversari
politici ed economici degli Stati Uniti. Al contrario, UEE, Cintura
economica Via della Seta, SCO e altri progetti e iniziative simili sono
per definizione inclusivi. Non sono aperti solo alla partecipazione di
tutti i Paesi della regione, ma sono semplicemente irrealizzabili se
solo uno dei Paesi nella regione in cui sono attuati gli importanti
progetti infrastrutturali, non può, per qualsiasi motivo, parteciparvi. E
qui si ha il seguente quadro.
Oltre a creare strutture sotto il
completo dominio degli Stati Uniti (e che operano in tal modo allo scopo
vano di preservare l’ordine mondiale unipolare), le forze che non hanno
alcun interesse ai processi d’integrazione inclusiva in Eurasia tentano
direttamente di silurarli. Se dovessimo confrontare la mappa dei punti
caldi in Eurasia con quella degli itinerari proposti dalla Via della
Seta, per esempio, vedremmo che la maggior parte dei focolai di crisi si
trovano lungo queste rotte (insieme a quelle volte a sviluppare altri
progetti d’integrazione), così come giunzioni e snodi.
Ciò riguarda
dispute territoriali (tra la Cina e i vicini nell’est e sud-est
asiatico, per esempio, o tra India e Pakistan), i conflitti etnici
(Myanmar, Nepal e provincia pakistana del Belucistan), guerre civili
(Siria o Ucraina) e intervento militare diretto straniero (in
Afghanistan e Iraq) che ha portato questi Paesi sull’orlo del collasso,
la pirateria nello stretto di Malacca e nel Corno d’Africa, e molto
altro.
Difficilmente può considerarsi un caso che il conflitto nel
Nagorno-Karabakh (senza dubbio orchestrata da forze esterne), ancora una
volta scoppiasse proprio quando la situazione presso l’Iran (che fino a
poco tempo prima era uno dei principali ostacoli all’integrazione
eurasiatica) cominciava più o meno a normalizzarsi. Da ricordare anche
gli enormi sforzi delle ONG straniere (soprattutto statunitensi) in Asia
centrale, dove numerosi conflitti e potenziali conflitti sono latenti o
attivi. E così si ha il quadro completo di come, oltre ad inghiottire
l’Eurasia nei propri piani, gli Stati Uniti cercano d’indebolire l’unità
del continente a favore del vecchio principio del ‘divide et impera’.
Boris Volkhovonskij, Strategic Culture Foundation 02/05/2016
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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