venerdì 11 novembre 2016

IL RITRATTO DI TRUMP – CHE LA BOTTERI NON HA MAI DATO (ma cosa fa a New York?)


Lo ha scritto, mesi fa – dunque  in tempi non sospetti, quando ancora la vittoria di Trump sembrava incredibile – il corrispondente del Figaro per gli Usa, Laure de Mandeville. Un pari grado della Botteri,  la corrispondente che noi contribuenti paghiamo con 200 mila euro annui, e “buca” le informazioni utili.

Attenzione, avvertiva il francese: Trump è una caricatura, e lui stesso gioca molto bene col suo lato caricaturale: la voglia di potere, la grossolanità, l’ego, le ossessioni, l’esibizione dei suoi  successi…..
La macchina mediatica ha bisogno di sempre nuovi scandali. E Donald, il commerciale, lo sa meglio di chiunque, come creatore e animatore di un tele-reality show durato anni”.
 “Intelligente, scaltro e accorto”
Ma “dietro l’immagine televisiva semplificatrice, si nasconde un uomo intelligente, scaltro ed accorto, che gestisce un impero miliardario dando lavoro a decine di migliaia di persone”. Che “rifletteva a una candidatura presidenziale da vari anni, ed ha saputo cogliere l’aria del tempi, la collera profonda che traversa l’America, e l’ha espressa e cavalcata. Con i suoi istinti politici eccezionali, ha visto arrivare l’ondata gigantesca di un paese in cerca di protezione contro gli effetti devastanti della globalizzazione, dell’immigrazione di massa e del terrorismo islamico, un paese spaventato anche del proprio declino; e si è proposto al paese come lo sceriffo dalla spalle larghe che lo protegge”.
C’è il personaggio pubblico, fiammeggiante, egoista, eccessivo, che non vuol mai ammettere le sue debolezze perché  deve “vendere la sua mercanzia” e perpetuare il suo mito – e un personaggio privato molto più sfumato, più moderato e pragmatico, che sa ascoltare gli altri e non sceglie sempre l’opinione più estrema”.
Quando aveva 13 anni, suo padre lo ha mandato all’Accademia militare di New York per disciplinarlo,  perché, ispirato da West Side Story, Donald era stato colto a preparare con la sua banda giovanile una discesa a Manhattan  con  lame di rasoio!”.
Accademia militare
Accademia militare
Andava male a scuola? No, studiava con profitto ma insieme “era un leader e un ribelle, che lanciava le  gomme agli insegnanti e tirava i capelli alle ragazzine”.  Gli è rimasta “una personalità indipendente, un lato indomabile che è quello che adorano i suoi fans”.

Il rapporto col padre Fred, un palazzinaro che aveva fatto fortuna da zero costruendo abitazioni per operai a Brooklyn, autoritario e intransigente, “ha avuto un influsso decisivo su Donald”. Questo padre duro e punitivo l’ha allevato “ad una dura etica del lavoro e disciplina, non come i figli dei ricchi”, e l’ha poi incoronato erede, diseredando il figlio maggiore, Fred jr.  che non aveva voluto fare il promotore immobiliare e aveva scelto di essere pilota di linea, e ha finito per morire di alcolismo. Una tragedia che ha segnato Donald e l’ha deciso a “non mostrare mai le sue debolezze e fragilità come il suo fratello Fred”.
Grazie ai giornalisti inadempienti e ai media falsificanti, per noi italiani Trump è piombato sulla scena come un enigma, un fenomeno nuovo, strano e inaudito. I giornalisti falsificatori non ci hanno detto che, per gli americani, Donald è una vecchissima conoscenza.
Quando al Time piaceva 
Quando al Time piaceva
Gli americani lo conoscono dagli anni ’80 – da oltre trent’anni –  da quando Trump ha cominciato a pubblicare  le sue opere di successo, vendute a milioni di esemplari. “The Donald” è uno di famiglia per loro. Sapete che a fine anni ’80 Time Magazine gli ha dedicato la copertina, come l’uomo più sexy dell’America? Già a quel tempo, nei sondaggi, risultava come una delle persone più popolari del paese, a livello degli ex presidenti viventi e… del Papa!

Poi c’è stato il successo gigantesco della sua  trasmissione, il tele reality “The Apprentice” (L’Apprendista, una “isola dei famosi” dove due squadre concorrono nel dimostrare le loro qualità in affari, e di cui lo stesso Donald è stato “giudice ed ospite del gioco” per le prime sedici puntate). Al suo culmine “The Apprentice ha avuto 30 milioni di telespettatori – un enorme vantaggio di notorietà di cui  Trump ha goduto sulla linea di partenza delle primarie repubblicane”, quando ha sbaragliato tutti i candidati del partito, figure artificiali , leccate  e piccine  in confronto a lui.

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Le elites si sono completamente fatte cogliere di sorpresa dal “fenomeno Trump perché sono sempre più separate dal popolo e dalle sue preoccupazioni; vivono tra di loro, si cooptano tra di loro, si arricchiscono tra di loro, e difendono una versione di “progresso” del tutta staccata dalle preoccupazioni della maggioranza degli americani. Il popolo si sente fuori gioco. Ammettiamolo, se Trump è esasperante, c’è qualcosa di marcio e un’aria terminale nel regno di Washington “.

“Miliardario del popolo”


Ma lui stesso, il miliardario, non è parte di quella elite? No, è questo il punto: le elite non l’ha mai accettato. E quindi oggi può giocare la parte del “miliardario del popolo”: e “fa’ delle sua conoscenza del sistema corrotto una forza, dicendo che lui conosce così bene i modi con cui le lobbies comprano i politici, che è il solo a poter rimediare alla cosa”. Un discorso poco convincente. Come ha fatto a  convincere?

Non va dimenticato che Donald Trump è cresciuto nei cantieri edili, dove suo padre lo portava fin da piccolo perché imparasse il mestiere, e ciò l’ha messo in contatto con le classi popolari. Parla esattamente come loro! Quando ho chiesto ai suoi elettori in giro per l’America, era questo che li stupiva: “”Parla come noi, pensa come noi – è come noi!”. Il fatto che sia ricco non è un ostacolo, perché gli americani amano la ricchezza e il successo”.

Una delle migliori carte di Trump è di “essere politicamente scorretto in un paese che è divenuto politicamente corretto all’eccesso”. Dove Obama non vuole nemmeno nominare insieme “Islam” e “che ci minaccia”, dove si è dibattuto sui media in quali toilettes deve entrare un trans, e uno di “genere fluido”, che non è ne signore né signora. Dove non si deve augurare più “Buon Natale” ma  buone feste, per non offendere qualche minoranza religiosa.

Dove, per fare un esempio, il Washington Post scrive il nome della più popolare squadra di calcio americano, i “Red Skins” (Pellerossa), così: R***, perché una tribù indiana trovava il nome razzista e insultante. Si noti: la questione dei R*** ha occupato mesi di dibattito al Congresso e nell’Amministrazione Obama, discussione poi chiusa da un’inchiesta-sondaggio, da cui è risultato che la maggioranza schiacciante delle veri pellerossa amavano di essere chiamati “Red Skin” ed erano ovviamente tifosi dei Red Skins – come lo sono i popolari elettori di Trump.

La gente di buon senso “si allarma perché le aule universitarie, luogo presunto della libertà di pensiero, sono oggi sorvegliati da una psico-polizia orwelliana dove gli studenti chiedono conto ai professori ogni volta che pronuncia una frase per cui uno studente si stima “offeso nella sua identità”. In questo contesto, Trump è sentito dai suoi elettori come un liberatore”.

La domanda che nasce dopo ciò è: Trump è il tipico demagogo senza visione? Un Berlusconi in formato maxi che cavalca opportunisticamente la protesta profonda, ma superficiale, senza  un vero programma, che non saprà realizzare le promesse? Risponde il giornalista francese:
“Trump non è un ideologo. E’ stato a lungo democratico prima di essere repubblicano e trasgredisce le frontiere politiche classiche. Favorisce una forma di protezionismo e rimette in discussione gli accordi di commercio sfavorevoli al paese; è a sinistra sulla questione del libero scambio, sulla protezione sociale dei poveri, che vuole rinforzare, sulle questioni della società in cui riflette il lato “liberal” dei newyorkesi –  è un post-reaganiano. Ma chiaramente a destra sulla immigrazione illegale, sulle frontiere, sul  fisco. Al fondo è un commerciante e nazionalista, che si vede come un pragmatico, uno che farà “buoni affari” per l’America.
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Il suo Mein Kampf
Buoni affari, good deals, è una  parola chiave del trumpismo: laddove Hitler ha scritto “Mein Kampf”, Trump ha scritto un libro che ha come titolo “L’arte del Deal”: e Deal significa “contratto d’affari”, ed anche “accordo” ma anche “riforma” (il New Deal di Roosevelt); è il Mein Kampf di Trump, il suo primo libro, con la pubblicazione del quale già pensava di candidarsi alla presidenza prendendo nel suo ticket  Oprah Winfrey, la star televisiva negra e democratica – non è affatto un razzista e un misogino.

Il giornalista francese non è affatto un fan di “The Donald”. Infatti si preoccupa di come “quest’uomo d’affari che dirige un impero edilizio piramidale di cui è il solo timoniere” potrà reagire se “non riuscisse a mantenere le sue promesse una volta alla Casa Bianca, ostacolato dalla complessità di un sistema democratico estremamente costrittivo” (sic).  “Tenterà di aggirare il sistema, con l’aiuto dei personaggi sulfurei che l’hanno accompagnato negli affari? Come si comporterà con gli avversari politici e della stampa, visto l’accanimento di cui dà prova contro quelli che gli mettono i bastoni fra le ruote’”.

Soprattutto: “Sarà disposto a sacrificare l’indipendenza di certi alleati europei per trovare un accordo col Cremlino sui temi che stanno a cuore a questo, specie in Siria? Potrebbe accettare una sorta di Yalta bis [spartizione dell’Europa, ndr.] e rimettere in causa il ruolo dell’America nella difesa della democrazia e dell’ordine liberal-democratico”.
http://www.lefigaro.fr/vox/monde/2016/11/09/31002-20161109ARTFIG00029-trump-en-tete-l-interview-de-laure-mandeville-qui-annoncait-l-ouragan.php

Insomma, orrore orrore, la fine della guerra fredda. Non più  nuove Maidan! Nessun’altra primavera  colorata! Magari la pace in Siria, e la reintegrazione della Russia in Europa! E’ quel che nella loro lingua orwelliana i neocon chiamano l’ordine liberal-democratico”: e una neocon sfegatata, Anne Applebaum (j), infatti si domanda sul Washington Post: “L’America è ancora il leader del mondo libero?

Più ridicolmente, se lo domandano gli oligarchi della UE, che non devono il loro posto al popolo.

Martin Schulz ha addirittura aperto le ostilità: “Sarà difficile lavorare con lui”, su Siria e Ucraina, Irak e Libia “La politica globale richiede l’impegno costante degli Stati Uniti per rendere il mondo un posto migliore da lasciare ai nostri figli” (sic). 

Mogherini, bontà sua: “La UE continuerà a lavorare con gli Usa anche dopo la vittoria di Trump”, il mostro. La Merkel ha calcato la voce sui “valori” che Trump, secondo la propaganda mediatica, avrebbe in schifo: “Stato di diritto, dignità dell’individuo senza differenze per origine, colore della pelle [sappiamo che odi i negri e latinos], credo, genere, orientamento sessuale [beccati questa lezione, tu che disprezzi le donne e probabilmente i finocchi] e idee politiche [che devono essere anti-Mosca].

Sulla base di questi valori, offro una stretta cooperazione al futuro Presidente degli Stati Uniti”:  che generosità, che degnazione.

Sigmar Gabriel, il leader dl SPD, meno diplomatico, ha chiamato il vincitore della Casa Bianca “il pioniere di una svolta autoritaria e maschilista internazionale”. A Berlino non si son rimessi dallo shock, e così a Bruxelles, ed anche a Londra (Trump non ha ancora telefonato a Teresa May).

Molto indicativo l’ex presidente della repubblica Napolitano: “Siamo innanzi ad uno degli eventi più sconvolgenti della storia della democrazia, uno degli eventi più sconvolgenti del suffragio universale, non dobbiamo sottovalutare tutto questo. A lui il suffragio universale  non è mai piaciuto.


A  tutti i caporioni europeidi andava meglio, evidentemente, un’America guidata in politica estera dai Fratelli Musulmani e dai milioni dell’Arabia Saudita.

Per fortuna, tutti questi sono prossimi a scomparire. Qui si vede il fitto futuro di elezioni e votazioni che ci attende: entro un anno e mezzo, Merkel, Renzi, Hollande, Padoan, Gentiloni e Boldrini, sperabilmente anche Juncker, spariranno. 
elezioni-europa

Chi andrà a loro posto dipende da noi. Specie noi italiani. Che sempre ci aspettiamo la liberazione dagli stranieri. Gli americani “bianchi senza laurea” stanno scotendo il giogo globalista; sono solo all’inizio, l’oligarchia è ancora lì, e secondo Craig Roberts, “Trump può fare l’errore di tenere i neoconservatori nel suo governo…. In un paese le cui istituzioni sono così completamente corrotte dall’Oligarchia,  è difficile ottenere un vero cambiamento senza spargere sangue”.

La nuova America, dopo la lotta a sangue, libererà anche noi? Sì, andiamoci a rileggere il Coro dell’Adelchi, quello che comincia:
Dagli atrii muscosi, dai fori cadenti,
Dai boschi, dall’arse fucine stridenti,
Dai solchi bagnati di servo sudor,
Un volgo disperso repente si desta;
Intende l’orecchio, solleva la testa

Andate alla fine:
E il premio sperato, promesso a quei forti,
Sarebbe, o delusi, rivolger le sorti,
D’un volgo straniero por fine al dolor?
Tornate alle vostre superbe ruine,
All’opere imbelli dell’arse officine,
Ai solchi bagnati di servo sudor.
Il forte si mesce col vinto nemico,
Col novo signore rimane l’antico;
L’un popolo e l’altro sul collo vi sta.
Dividono i servi, dividon gli armenti;
Si posano insieme sui campi cruenti
D’un volgo disperso che nome non ha”.

Maurizio Blondet

fonte: http://www.maurizioblondet.it/ritratto-trump-la-botteri-non-mai-dato-cosa-new-york/

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