Le minacce del presidente Donald Trump e del Pentagono di “distruggere
il popolo nordcoreano”, dette con fervida freddezza, dimostrano che la
classe dirigente statunitense non è inconsapevole di commettere il
crimine supremo di genocidio di civili inermi. Le minacce alla Corea
democratica, nella stessa settimana in cui il mondo celebrava il 72°
anniversario del bombardamento atomico statunitense delle città
giapponesi di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, uccidendo oltre 200000
persone, sono profondamente connesse.
Comprenderlo è essenziale per
avere una soluzione pacifica della crisi attuale ed evitare una guerra
catastrofica. Parlando dal suo golf club privato di New Jersey, Trump
spiegava che la potenza che gli Stati Uniti avrebbero scatenato contro
la Corea democratica sarebbe “qualcosa che il mondo non ha mai visto
prima”.
Tale arroganza nel compiere una simile devastazione dimostra la
mentalità genocida dei governanti statunitensi. Le parole di Trump
furono ripetute dal capo del Pentagono James Mattis che avvertiva il
popolo nord-coreano di un’imminente “distruzione”. Una qualsiasi
equivalenza tra Stato comunista nordcoreano e governanti statunitensi è
assurda.
I grandi arsenali nucleari sproporzionati sono un problema, per
iniziare. Anche la differenza nella postura geografica: le forze
statunitensi in Corea del Sud sono al confine con la Corea democratica, e
non viceversa. Anche la retorica: Kim Jong-un può usarla trasformando
gli Stati Uniti “in cenere”, ma la politica nordcoreana è sempre nel
contesto dell’autodifesa e della risposta a ciò che vede come
aggressione statunitense.
La retorica di Washington, d’altra parte, è
offensiva, e da decenni. “Avere tutte le opzioni sul tavolo” è il codice
del diritto esplicito di lanciare un attacco preventivo, anche usando
armi nucleari. Non solo la mentalità genocida dei governanti
statunitensi è coerente con l’orribile crimine contro il Giappone di 72
anni fa e con la geopolitica. Il vero motivo per cui Washington sganciò
le bombe atomiche il 6 e il 9 agosto 1945 era impedire la caduta del
Giappone e della penisola coreana per mano dell’Unione Sovietica che
avanzava.
Gli statunitensi già pensavano alla divisione globale del
dopoguerra ed erano decisi ad impedire al comunismo di trarre vantaggio
territoriale dalla sconfitta del nazismo e del fascismo giapponese.
Come
Martin Hart-Landsberg racconta nel suo superbo libro di storia coreana,
lo scopo del primo bombardamento nucleare statunitense del Giappone era
terrorizzare la regione e fermare l’avanzata delle forze sovietiche nel
Pacifico. Soprattutto impedire la totale liberazione della Corea
tramite l’alleanza delle guerriglie della resistenza comunista coreana
che combattevano per rovesciare l’occupazione coloniale giapponese.
Dal
genocidio nucleare in Giappone sorse l’inevitabile divisione della Corea
con un Nord comunista e un sud filo-occidentale, ricostruito da
quisling usciti dall’occupazione imperiale giapponese (1910-45).
Sebbene
la politica democratica progressista abbia acquisito forza e potere
governativo nella Corea del Sud negli ultimi due decenni, lo Stato
sudcoreano fu segnato nei primi quattro decenni del dopoguerra da
un’eredità politica colonialista giapponese, autoritaria, fascista e
ovviamente filo-statunitense.
Durante la guerra di Corea (1950-53), l’esercito statunitense che
sostenne il Sud contemplò l’uso di armi nucleari contro il Nord
comunista e l’alleato cinese. I bombardieri nucleari statunitensi
sorvolarono il territorio settentrionale per deliberati atti di
terrorismo. Le persone furono costrette a vivere in grotte perché gli
statunitensi avevano distrutto ogni città con le armi convenzionali,
uccidendo due milioni di civili.
Quando le forze statunitensi oggi fanno
volare bombardieri nucleari B-1 sulla penisola coreana, come hanno
fatto questa settimana proprio mentre Trump rilasciava la sua diatriba
su “fuoco e furia”, il popolo della Corea democratica ha tutte le
ragioni di temere l’Armageddon dai cieli. Se lo ricorda e fin dalla fine
della guerra ha dovuto vivere nell’ombra del genocidio statunitense.
Gli statunitensi si rifiutarono di firmare il trattato di pace alla fine
della guerra coreana nel 1953.
Tecnicamente, quindi, gli Stati Uniti
sono ancora in guerra nella penisola. La presenza perenne di forze
militari statunitensi in Corea del Sud e le manovre di guerra multiple
condotte ogni anno, ricordano chiaramente al Nord che le ostilità
potrebbero riprendere in qualsiasi momento. Mettiamo ciò in una
prospettiva adeguata, invece di farsi avvelenare dalla distorsione dei
media occidentali.
La Corea democratica è uno Stato chiuso soprattutto
perché ha subito l’assedio illegale delle forze statunitensi per 64
anni. Ciò che il pubblico occidentale sa della Corea democratica è una
caricatura della propaganda statunitense che mira a demonizzare il
nemico. Ma da ciò che possiamo dire dai frammenti d’informazione, il
popolo è soddisfatto del proprio sistema politico. Allora perché non li
lasciamo vivere in pace?
Dopo tutto, la Corea democratica non ha
attaccato nessuno dei vicini, né interferisce nella regione.
Tutto ciò
che vuole è il diritto di esistere in modo pacifico e non sotto la
continua minaccia dell’annientamento nucleare dagli Stati Uniti. Quindi,
dedica gran parte delle risorse nazionali al programma di armi
nucleari.
Lawrence Wilkerson, che lavorò nel dipartimento di Stato degli Stati Uniti durante la presidenza GW Bush, ammette candidamente che i negoziati con la Corea democratica non sono mai stati onorati da Washington. Wilkerson lavorò con i nordcoreani sul precedente accordo nucleare del 2000, in cui Pyongyang s’impegnò ad abbandonare il programma di armi nucleari in cambio degli aiuti occidentali per sviluppare l’energia atomica civile. Ma, dice, l’amministrazione Bush rinunciò all’accordo, definendo la Corea democratica “asse del male”.
Ragionevolmente, Pyongyang riprese a costruire le difese nucleari.
Quando il Presidente Trump questa settimana ha disprezzato “i
fallimenti” delle precedenti amministrazioni Clinton, Bush e Obama nel
trattare con la Corea democratica, mentiva o ignorava, più probabilmente
quest’ultima. Il “fallimento” della politica statunitense in Corea è
impedire alla diplomazia di avere successo.
Questo perché la geopolitica
statunitense è fondamentalmente basata sulle ambizioni di dominio
egemonico, non solo in Asia-Pacifico ma in ogni altra regione del mondo.
È parte essenziale del capitalismo statunitense. Tale dominio è
sostenuto dall’aggressione militare statunitense, e in particolare dal
diritto di fare la guerra a chiunque sfidi l’ordine globale
statunitense, anche usando per primi le armi nucleari sui civili.
L’ex-ministro degli Esteri inglese Malcolm Rifkind, in un articolo per
il forum di Valdai in Russia, affermava: “Non esiste una soluzione
semplice per questa crisi”. Perché gli intelligenti russi si sentono
obbligati ad ascoltare uno come Rifkind è un mistero. In ogni caso,
Rifkind sbaglia.
Può sembrare che non ci sia una soluzione semplice per
gente dalla mentalità di Rifkind, imbevuta di propaganda imperialista
USA e che senza dubbio considera la Corea democratica “il problema”.
(Proprio come costoro considerano Iran, Russia, Venezuela, Siria, Cuba e
così via dei problemi). Ma in realtà c’è una soluzione diretta e
precisa al conflitto continuo in Corea. Cioè, gli Stati Uniti ritirino i
loro militari e le continue minacce d’aggressione alla Corea
democratica. Gli Stati Uniti devono sedersi con la Corea democratica e
le altre nazioni della regione, tra cui Cina e Russia e discutere da
pari sui requisiti per una convivenza pacifica.
Per cominciare, gli
Stati Uniti dovrebbero essere obbligati a firmare un trattato di pace
con la Corea democratica e dichiarare apertamente il rifiuto dell’uso
della violenza a scopi politici. Una soluzione a portata di mano.
Richiede semplicemente che gli Stati Uniti cominciano a rispettare il
diritto internazionale e a rinunciare alla loro prerogativa genocida di
distruggere altri popoli. Le maggiori potenze della regione, Russia e
Cina, devono insistere su questo requisito fondamentale. Devono
affermare chiaramente che i colloqui con tutti dovrebbero essere
convocati immediatamente e che tutte le parti devono impegnarsi a un
accordo pacifico. Senza eccezioni e scuse.
Ciò che è in ultima analisi problematico, e il mondo lo vedrà, è che gli Stati Uniti come li conosciamo col loro sistema dirigente, non potranno e non possono rispettare questa semplice soluzione. Perché sono intrinsecamente un aggressivo regime canaglia che “eccezionalmente” s’arroga il “diritto” di minacciare l’annientamento del resto del mondo.
Finian Cunningham SCF 13.08.2017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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