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Chi è l'uomo
La domanda: "Chi è l'uomo", porta immediatamente al nocciolo d'ogni problematica. Se infatti l'uomo fosse una cosa si potrebbe domandare che cosa è, li
si potrebbe definire come si fa con un oggetto naturale o un prodotto
industriale. Ma l'uomo non è una cosa, né può essere definito come tale,
anche se molto spesso come tale viene visto.
Di
lui si dice che è operaio, direttore, medico, eccetera, ma così facendo
ci si limita a indicarne la funzione sociale; in altre parole, l'uomo
viene definito sulla scorta della sua posizione in seno alla società.
L'uomo
però non è una cosa, bensì un essere vivente coinvolto in un perenne
processo di sviluppo. E in ogni istante della sua esistenza non è ciò
che potrebbe essere e magari diventerà.
L'uomo
non può essere definito come un tavolo o un orologio; e dall'altro
canto, non è del tutto indefinibile. Di lui si può dire qualcosa di più
del fatto che non è una cosa bensì un processo vivente. L'aspetto
fondamentale, ai fini di una definizione, è che l'uomo può spingersi col
pensiero al di là del soddisfacimento dei propri bisogni.
Per
lui il pensiero, al contrario di quanto accade nell'animale, non è solo
il mezzo per procacciarsi i beni desiderati, ma anche un mezzo per
scoprire la realtà del proprio essere e del mondo circostante,
indipendentemente da predilezioni e ripugnanze.
In
altre parole, l'uomo non è dotato solo di intelligenza, come l'animale,
bensì anche della ragione la quale gli permette di riconoscere la
verità. E se l'uomo si lascia guidare dalla propria ragione, opera per
il proprio bene sia in senso materiale che spirituale.
L'esperienza
insegna tuttavia che molti, accecati da brama e vanità, nella loro
esistenza privata non agiscono secondo ragione. Peggio: le nazioni
agiscono ancor meno secondo ragione perché i demagoghi hanno buon gioco
con i cittadini e riescono a far loro dimenticare che, se ne seguono i
consigli, condannano alla distruzione la polis e il mondo tutto quanto.
Molti
popoli sono andati in perdizione perché non sono stati capaci di
sbarazzarsi di passioni irrazionali che ne condizionavano il fare e
perché si sono dimostrati incapaci di lasciarsi guidare dalla ragione. E
in questo consisteva il grande compito dei profeti veterotestamentari.
Essi
non prevedevano il futuro, come comunemente si ritiene facciano i
profeti, ma proclamavano la verità, e quindi indirettamente richiamavano
l'attenzione sulle conseguenze future dell'agire presente del popolo.
Non
essendo l'uomo una cosa che possa essere descritta in un certo senso
dal di fuori, lo si può definire solo a partire dall'esperienza
personale del suo essere. Sicché la domanda: "Chi è l'uomo?" porta
subito all'altra: "Chi sono io?". E se non voglio cadere nell'errore di
trattare l'uomo come cosa, la risposta può suonare soltanto: sono un
uomo.
Ma
la maggior parte dei nostri simili non hanno sperimentato questa
identità: si fanno mille immagini illusorie di se stessi, delle loro
qualità, della loro identità. E a volte capita che rispondano: "Sono un
insegnante", "Sono un operaio", "Sono un medico"; ma questa informazione
sull'attività di un individuo nulla ci dice circa lui stesso, e non comporta risposta alcuna alla domanda: "Chi è lui?", "Cgi sono io?".
E
qui sorge un'altra difficoltà. Ciascuno segue, sotto il profilo
sociale, morale, psicologico, eccetera, un preciso indirizzo. Quando e
come posso sapere se l'indirizzo che l'altro ha fatto proprio
costituisce un orientamento definitivo, o che l'altro può cambiare
strada sotto l'influsso di esperienze determinanti?
C'è
nell'uomo un punto fisso, tale per cui sia lecito affermare, a ragion
veduta che è quale è e mai sarà diverso? In termini statistici, è forse
possibile affermarlo a proposito di molti individui: ma si può dire di
ciascuno, e ciascuno dirlo a se stesso, il giorno della morte, che
avrebbe potuto essere diverso se avesse vissuto più a lungo?
L'uomo
può essere definito anche in altra maniera. A condizionarlo sono due
tipi di passioni e impulsi, l'uomo di origine biologica e
sostanzialmente uguale a tutti gli individui. Esso comprende il bisogno
di sopravvivenza, e dunque quello di placare fame e sete, di protezione,
di qualche forma di struttura sociale e, sia pure in misura meno
impellente, di sessualità.
Le
passioni dell'altro tipo non hanno ragioni biologiche e non sono le
stesse in tutti gli individui. Derivano da strutture sociali di vario
genere, e tra esse vanno annoverate l'amore, l'amicizia, la solidarietà,
l'invidia, l'odio, la gelosia, la competitività, la brama di possesso,
eccetera.
Quanto
all'odio, dobbiamo distinguere tra odio reattivo ed endogeno, concetti
in cui ci si serve nell'esempio della depressione endogena in
contrapposizione alla depressione reattiva. L'odio reattivo è la
reazione a un'aggressione o a una minaccia contro il proprio io o il
proprio gruppo, e per lo più scompare una volta cessato il pericolo.
L'odio endogeno è un tratto caratteriale: un individuo animato da un
odio del genere è continuamente alla ricerca della possibilità di
sfogarlo.
In
contrapposizione alle passioni di origine biologica, quelle che hanno
origine sociale sono un prodotto della struttura sociale del momento. In
una società in cui una minoranza sfruttatrice eserciti il dominio su
una maggioranza misera e ribelle, ci sarà odio da tutte e due le parti.
Che
gli sfruttati odino, è ovvio; quanto alla minoranza dominante, essa
odia per paura della vendetta degli oppressi, ma anche perché deve odiare le masse per soffocare il proprio sentimento di colpa e comprovare la legittimista del proprio comportamento oppressivo.
L'odio
non può scomparire finché manchino giustizia e uguaglianza; e allo
stesso modo non c'è verità finché si debba mentire per giustificare la
violenza dei principi di uguaglianza e giustizia.
Tratto dalle mie letture: "L'amore per la vita" di Erich Fromm
fonte: http://ningizhzidda.blogspot.it/2015/09/luomo-e-lodio-reattivoendogeno.html
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