venerdì 15 aprile 2016

Tra poco tutta l'Africa sarà "made in China"

© AP Photo/ Denis Farrell

Gli operatori economici italiani che han partecipato a gare pubbliche in qualche Paese africano e si sono scontrati con concorrenti cinesi, quasi sempre hanno perso la partita. A prima vista, si potrebbe immaginare che la causa vada cercata nei prezzi più bassi offerti dalle aziende cinesi, ma chi opera su quei Paesi sa che la ragione è ben altra.

Davanti a gare per materiali o servizi di un valore x, molto spesso i cinesi hanno presentato offerte per un x moltiplicato anche trenta o quaranta volte, comprendendo un finanziamento garantito dal Governo di Pechino. Il prestito in oggetto non copriva solo la fornitura richiesta ma vi aggiungeva anche la realizzazione di infrastrutture necessarie al Paese africano. Si trattasse di ammodernamento o di nuove costruzioni di strade, porti, ospedali, edifici pubblici o telecomunicazioni, milioni di dollari erano messi a disposizione del Governo locale e si garantiva la loro realizzazione in tempi rapidi.

Solitamente, le offerte prevedono che questi finanziamenti possano essere restituiti a tassi più che ragionevoli nell'arco di trent'anni. Diventano, quindi, eccezionalmente allettanti per Presidenti e Primi Ministri desiderosi di mostrare ai loro cittadini realizzazioni che le casse locali, spesso vuote o esauste a causa di corruzione e inefficienze, non potrebbero mai permettersi. Se, in aggiunta, il Paese coinvolto non riceve finanziamenti privati o pubblici dall'occidente a causa di una evidente instabilità politica o di mancato rispetto dei diritti umani, le offerte di Pechino diventano irrinunciabili. 

Solo al momento della firma dei contratti, a gara gia' chiusa e vincitore stabilito, si scopre che la generosità cinese pretende garanzie sovrane dai Governi locali e, nel caso che i pagamenti dovuti non potranno essere mantenuti, la proprietà a tutti gli effetti delle opere realizzate.

Xi investe in Africa
Xi investe in Africa -  © Sputnik. Vitaly Podvitsky

Poiché' l'instabilità politica in Africa e' molto diffusa e le gestioni finanziarie dei Governi non sono mai da manuale, la probabilità che, allo scadere del finanziamento, gli impegni assunti non saranno mantenuti è altissima. Risultato?  Tra poche decine di anni la Cina si troverà direttamente a possedere le maggiori infrastrutture strategiche del Continente e, talvolta, le miniere o i pozzi oggetto dei generosi "prestiti". Lo stesso avviene con frequenza anche in Sud America.

Qualcuno nel mondo sembra non accorgersi di quel che ciò significa e pensa che l'invadenza cinese sia puramente commerciale, quindi non pericolosa strategicamente. Sono gli stessi che sostengono che, nella sua storia, la Cina non sia mai stata particolarmente aggressiva al di fuori dei propri confini e che il suo esercito e la sua marina militare non sono, ne' saranno, in grado di fronteggiare la potenza militare degli Stati Uniti.

Non ricordano, costoro, che il colonialismo moderno è più economico che militare e che il sobbarcarsi la gestione di popoli geograficamente lontani e' più costoso e più difficile che condizionarli economicamente. I tradizionali imperi coloniali sono finiti ed è impossibile che ritornino ma, come dimostrarono gli olandesi nel ‘600, non e' necessario "occupare" l'India o la Cina per diventare determinanti in alcune aeree del mondo: basta controllarne i commerci e gli snodi vitali.

D'altronde, gli stessi cinesi gia' lo praticavano ancora prima degli olandesi e nel ‘400 i loro traffici commerciali imponevano le regole senza mai occupare territori ma imponendo condizioni, moneta e riscuotendo tributi da ogni città importante tra il mar Cinese Meridionale e la costa est dell'Africa.

I pagamenti internazionali vedono la valuta cinese ancora al quarto posto, dopo il dollaro, l'euro e la sterlina, ma il suo trend crescente è evidente. Perché' Pechino teneva così tanto a far sì che lo Yuan fosse ammesso ufficialmente tra le valute ufficiali del mondo? Per intanto, lo Zimbawe (ex Rhodesia), soffocato da un'inflazione enorme, ha rinunciato ad avere una valuta locale ed ha adottato, dallo scorso gennaio, lo yuan quale moneta ufficiale del Paese in cambio della cancellazione di un debito verso Pechino di 40 milioni di dollari.

E' evidente che la Cina nutra particolari attenzioni per Paesi e territori che possono garantire materie prime e alimentari indispensabili per nutrire lo sviluppo economico e la numerosa popolazione. Così come è altrettanto scontato che, a quello scopo, è necessario mettere in sicurezza tutte le vie di comunicazione relative e i maggiori porti su queste vie. Lo si vede fisicamente con la politica aggressiva condotta da Pechino nel Mar Cinese Meridionale. Ma la loro politica non si ferma lì. 

Gli investimenti cinesi in settori strategici e ricchi di know-how si espandono in tutto il mondo e, mentre mirano ad assicurarsi le importazioni, si muovono anche nella direzione opposta, quella delle esportazioni. Ben quindici sono i contratti con vari Paesi per la creazione di zone di "Cooperazione commerciale" e sviluppo industriale e vanno dal Venezuela a Mauritius, dall'Indonesia alla Russia, dalla Nigeria al Pakistan e via dicendo. Si tratta sempre di investimenti finanziati dal Governo di
Pechino con le clausole di cui sopra e molti di loro sono gia' operativi dal 2006. A tutt'oggi la Cina è già il primo partner commerciale con ben 124 Stati, mentre la "superpotenza" statunitense si deve fermare a 52.

Invero, qualcuno ha cominciato a capire che le "donazioni" cinesi non sono del tutto disinteressate e che la apparente generosità del momento nasconde ambizioni di futuro controllo, anche politico. E' per questa intuizione che qualcuno di questi progetti, approvato in un primo tempo, e' stato poi cancellato o sospeso con pretesti vari. Sono i casi del Marocco, dell'Algeria e della Corea del Sud, ma anche altri Paesi cominciano a porsi le giuste domande.

L’accordo trentennale di acquisto di gas russo per una valore di 400 miliardi di dollari è da “regolarsi” non più  in valuta americana ma nelle monete nazionali.
© AFP 2016/ Str
 
L’accordo trentennale di acquisto di gas russo per una valore di 400 miliardi di dollari è da “regolarsi” non più in valuta americana ma nelle monete nazionali.

Stranamente, chi continua a sottovalutare le mosse dell'"Impero di mezzo" è soltanto l'Occidente, ignara vittima del furbo understatement cinese.

La ragione di questa cecità sta nel fatto che i politici nostrani pensano sempre a breve termine, alle prossime e frequenti scadenze elettorali, al consenso immediato. Al contrario, la saggia dirigenza cinese e' abituata da secoli a guardare su tempi lunghi, almeno sull'arco di cinquanta o cento anni.

Sapranno mai i leader del nostro mondo trasformarsi da "politici" in veri "statisti"?
 
 
Mario Sommossa
 

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