lunedì 2 maggio 2016

Giordano Bruno: Il superamento dei Dualismi


Stabilito che Bruno é più panteista di tutti gli altri filosofi esaminati e che di Plotino accentua soprattutto l'immanenza della realtà, dobbiamo ora vedere il rapporto tra Dio e cose, tra l' infinito e il finito: é il classico problema presente fin dalle origini della filosofia del rapporto uno - molti. In Bruno uno e molti finiscono per essere la stessa cosa perchè il principio é tutto interno al mondo; ma allora che rapporto intercorre tra il principio e le cose che da esso si articolano? 

Per capirlo possiamo fare riferimento ad un' immagine che propriamente é di Spinoza, il quale é un filosofo che si richiama palesemente al panteismo bruniano; si capisce che non é un' immagine di Bruno perchè é "matematica" e in fin dei conti l'uso che fa Bruno della matematica é puramente "magico": non a caso il suo processo comincia con l'accusa da parte del nobile veneziano che lo ospitava e pare che egli lo abbia denunciato per dispetto, in quanto Bruno gli aveva promesso di insegnargli la magia - matematica, ma lui era insoddisfatto degli insegnamenti.
 
Al di là di questa vicenda personale , é interessante notare l' interessamento di Bruno per la magia, ossia la capacità di trasformare la realtà. Nel De Monade numero et figura tra numeri e figure si stabilisce un nesso organico che permette di conoscere la realtà trasformandola: tramite caratteri immagini e sigilli, tramite le strutture che regolano il ritmo. Conoscere i rapporti numerici e le figure geometriche significa individuare le proprietà delle cose, capire il loro significato nell’ordine del mondo, poter agire (e agire effettivamente) sulle cose. 

Però da un passo di Bruno emerge che cosa egli effettivamente intendesse per magia; il passo dice: "grande magia sarebbe quella di uno che fosse in grado di passare dall'unità alla molteplicità e dalla molteplicità all'unità". La magia é da lui intesa come capacità di cogliere i meccanismi secondo i quali l'unità si articola nella molteplicità, e la molteplicità é tutta "ricomposta" nell'unità. Si tratta del vecchissimo problema che risale alle origini della filosofia: già Talete diceva che il principio fosse l'acqua e in qualche modo doveva spiegare in che senso essa poteva diventare tutte le cose e in che senso tutte le cose erano acqua: come possono l'uno e il molteplice collegarsi tra loro? 

Bruno affrontava la questione sfruttando teorie pitagoriche, ma questo non riusulta particolarmente interessante. Torniamo ora all'immagine di Spinoza che ben spiega la questione: é un' uso metamatematico, alla Cusano: "il mondo e tutte le sue articolazioni (i modi) derivano dall'unica sostanza divina come le proprietà del triangolo derivano dall'essenza del triangolo": questa immagine che di non bruniano ha solo l'uso metamatematico é particolarmente significativa perchè fa capire come il passaggio dall'uno al molteplice non implichi un "uscir fuori" del molteplice dall'uno: il passaggio dall'uno ai molti era sempre stato visto come un esteriorizzarsi dell'uno: per esempio, in Plotino quando l'essere usciva dall'Uno manteneva pur sempre un legame con esso, un "peduncolo", tuttavia la fonte non era il ruscello; stesso discorso valga per Cusano; invece pensiamo al triangolo e alle sue proprietà e ai suoi teoremi: ragionando sull'essenza del triangolo, per dire, posso arrivare a dimostrare che la somma degli angoli interni vale 180 gradi. 

Allora é chiaro che dall'unica essenza del triangolo faccio venir fuori cose che erano implicite; in fondo é l'idea cusaniana dell'esplicazione e della complicazione: tutto é complicato nell'essenza del triangolo e poi si esplica sotto forma di teoremi, proprietà, ecc. 

Però una diversità rispetto a Cusano c'é: la contrazione di fatto non c'é, non c'é un uscir fuori, un distaccarsi del mondo rispetto a Dio: i teoremi non stanno mica fuori dal triangolo, mica escono fuori da lui; in Cusano invece era come se con la complicazione ci fosse quasi un' altra cosa, diversa dal massimo assoluto. 

Gli enti singoli e finiti che compongono l'universo (che poi é Dio) non sono altro che manifestazioni individuali dell'unica sostanza divina: già per gli stoici le cose erano modi di manifestarsi dell'unica forma, sostanza divina (il Logos). Quella di Bruno é quindi, in modo radicale, una concezione monistica: non ci sono tante sostanze, ma una sola, che di fatto é Dio e si identifica con il mondo. 

Quelle che noi chiamiamo comunemente sostanze sono solo "articolazioni" interne dell'unica sostanza (così come le proprietà del triangolo sono articolazioni del triangolo stesso): é il triangolo che esiste, non le sue proprietà; esse esistono solo come proprietà del triangolo, hanno cioè esistenza "parassitaria" proprio come gli accidenti aristotelici (il giallo, il bello, il grosso) che per esistere hanno bisogno di una sostanza alla quale riferirsi (un libro, un cavallo, una casa). 

Solo che per Aristotele gli accidenti erano riferiti alle singole sostanze, mentre per Bruno sono le cose ad essere accidenti, singole manifestazioni dell'unica sostanza. Il che implica, tra l'altro, la negazione della morte, che non esiste: Bruno riprende le posizioni eleatiche, che vedevano la morte come aggregazione e disgregazione: la morte esiste solo come trasformazione dell'unica sostanza. Uno potrebbe dire che magari sarà anche vero che la morte é solo disgregazione, ma comunque questo non ci garantisce due cose: il permanere della vita e della coscienza. 

Per Bruno però il mondo non é un mondo inerte e meccanicistico, bensì é un mondo vivente: é vero che per lui non esiste la sopravvivenza individuale, ma in realtà propriamente non é morto perchè ciascuno di noi di fatto non é una sostanza, é solo un manifestarsi dell'unica sostanza, in secondo luogo perchè la materia di cui siamo fatti quando moriamo si trasforma in altro: nessuna materia é inerte e quando moriamo lasciamo comunque spazio ad una materia che continua ad essere viva, perchè tutto é vivo. 

Bruno crede, da buon platonico, al concetto di anima del mondo: il mondo é un grande essere vivente, anzi, in fin dei conti é l' unico essere vivente: infatti tutti quelli che noi chiamiamo enti non esistono come sostanze, ma come manifestazioni dell'unica sostanza che é il mondo e quindi Dio. 

In altre parole, noi non consideriamo un dito come essere vivente, ma lo consideriamo come organo facente parte di un unico essere vivente, il corpo umano. Questo é il nostro modo di pensare: in un certo senso Bruno concepisce tutta la realtà come viva e tutti gli enti come manifestazioni dell'unica sostanza, come se ciascun ente fosse un dito dell'unico corpo vivente che é il mondo. Perchè queste manifestazioni della realtà, che noi chiamiamo enti, si chiamano invece modi? 

Perchè dovendo dire quale é la differenza tra il Dio - universo (l'unica vera sostanza) e le singole cose, Bruno dice questo: "sia l'universo sia le singole cose possiedono tutto l'essere": le cose per Bruno propriamente rispetto all'universo sono qualcosa di più che una parte, sono un modo di manifestarsi di essa: non é che l' universo ha tutto l'essere e che le cose ne abbiano "pezzetti"; Bruno insiste che ogni cosa ha in sè tutto l'essere, ciò che ogni singola cosa non possiede in sè sono tutti i modi di manifestarsi dell'essere, che invece sono posseduti dall'universo (da Dio). In altri termini non ci sono cose con più essere e altre con meno essere : l'essere o c'é o non c'é; in ogni singola cosa c'é tutto l'essere: é una concezione parmenidea; c'é infatti una frase nel poema di Parmenide in cui si dice: "l'essere non é di più qua e di meno là; l'essere che c'é c'é tutto". 

Per non cadere nell'eleatismo più totale, che finisce per bloccare tutto quanto (perfino il movimento, la molteplicità) Bruno arriva a dire: se ogni ente ha in sè tutto l'essere (come l'universo stesso), é altrettanto vero che ogni ente ha solamente un modo dell' essere, mentre tutti i modi sono presenti solo nell'universo che é appunto somma di tutti i modi. L'universo ha tutto l'essere e tutti i modi di essere, ogni ente ha tutto l'essere, ma non tutti i modi di essere: un ente é solo una manifestazione particolare dell'essere. 

Esaminiamo ora meglio la questione del monismo bruniano, monismo che innanzitutto significa avere a che fare con un'unica sostanza (l'universo); però significa che oltre ad essere una numericamente, la sostanza é una qualitativamente: é un monismo qualitativo strettamente connesso alla differenza che c'é tra la filosofia bruniana e quella cusaniana: il rapporto Bruno - Cusano abbiamo visto che in fin dei conti consiste in una presa da parte di Bruno della filosofia cusaniana e nella estirpazione del concetto di contrazione (cosa che porta Bruno ad eliminare ogni differenza tra Dio e il mondo), per cui ciò che Cusano poteva attribuire a Dio, Bruno può attribuirlo al mondo, che infatti si identifica con Dio; la definizione tipicamente cusaniana di coincidenza degli opposti che attribuiva a Dio, Bruno la allarga all'intero mondo, il che significa che tutta una serie di dualismi che nella tradizione aristotelica era particolarmente forte, tende a sparire; é quindi un monismo anche nel dire che le coppie di aspetti opposti caratteristici della realtà vengono superati. 

Il dualismo più caratteristico era sempre stato quello materia - forma, che a sua volta dava vita a quello potenza - atto; sono proprio loro ad essere superati: gli apparenti opposti non sono più tali e materia e forma finiscono per essere la stessa cosa: vuol dire che in Bruno la materia cessa di essere realtà inerte per diventare un qualcosa di vivo e produttivo; in Aristotele la materia era totalmente inerte e per assumere aspetti e per muoversi doveva assumere la forma: la materia era passiva, la forma attiva. 

In Bruno invece la materia diventa attiva e le forme non sono cose che si aggiungono alla materia per trasformarla ; le forme per Bruno emergono dalla materia stessa; ricorda vagamente i logoi spermatikoi degli stoici, con questa differenza però: i logoi spermatikoi erano forme particolari che di volta in volta emergevano dall'unica forma generale (il Logos); per gli stoici é vero che esiste un'unica forma e un'unica sostanza (e quindi sono anche loro monisti quantitativamente), ma sotto l'aspetto dei dualismi sono fedeli ad Aristotele: c'é materia e forma; in Bruno invece non é così, non c'é più differenza materia-forma: é la materia stessa che fa emergere le forme perchè non é statica, ma é "viva" (infatti é Dio stesso): la materia é già forma di per sè perchè é vita, é sensibilità. 

Il mondo di Bruno é un mondo vivente e Bruno in fin dei conti é un ilozoista (ule, materia, + zoo, vivere  = materia vivente): é ilozoista anche più dei presocratici , perchè essi concettualmente non vedevano distinzioni tra vita e materia, ossia non erano ancora riusciti a distinguere effettivamente e due cose. 

L'idea di attribuire vita alla materia é quindi tipicamente bruniana. La materia é viva e divina; Bruno si richiama ad un pensatore minore del Medioevo, Davide di Dinantes, il quale fu condannato dalla Chiesa perchè sosteneva l'identificazione tra Dio e materia, tramite un ragionamento: se la materia é potenza (con la confusione di potenza come forza al posto di potenza come poter essere, come di fatto intendeva Aristotele) allora essa é Dio stesso, che per definizione é potenza (la prima persona della Trinità é infatti la Potenza). 

Anche potenza e atto in Bruno finiscono per essere lo stesso: la potenza diventa lei stessa capace di creare l'atto (come la materia si dà la forma): Dio é la materia e la materia é Dio. Questa idea della materia viva e divina fa tra l'altro cadere la distinzione tipicamente aristotelica tra motore e mobile: per Aristotele tutto ciò che si muove deve per forza essere mosso da altro (omne movens ab alio movetur) perchè la materia é pura passività; con Bruno invece la materia diventa viva e quindi i motori non sono estrinseci, ma intrinseci: ogni corpo é mosso dal principio intrinseco "che é l' anima propria". 

Che l'universo non abbia un estrinseco motore risulta dalla considerazione che esso é infinito; quindi il moto compete solo alle sue parti, cioè ai singoli astri, ma non al tutto, che é immobile: l'universo, che guardato dal punto di vista dei particolari infiniti esseri che lo compongono é sede del movimento e del divenire, in sè invece é unico, immobile; una cosa per essere in moto si deve spostare da un punto A ad uno B, ma l' universo nel suo insieme non potrà muoversi perchè non ha luogo in cui trasferirsi in quanto é già lui l'insieme di tutti i luoghi; esso accoglie, nella sua identità impassibile e immutevole, i contrasti e le vicende degli esseri: il mondo non ha divenire, ma le cose divengono nel mondo. 

Viene quindi a mancare ogni ragione di porre un motore unico nel mondo. E' questa un'innovazione importantissima sul piano metafisico perchè in questo modo viene tolto a Dio, il tradizionale motore immobile dell'aristotelismo, il compito di imprimere dall'alto e dall'esterno il movimento al mondo e viene invece l'idea della divinità a trasformarsi in un principio intrinseco e immanente dell'animazione cosmica. 

Tra l' altro il riconoscere che Dio e il mondo sono lo stesso e che la materia e la forma, in un certo senso, sono lo stesso, implica anche il superamento del dualismo libertà - necessità : assumono per Bruno come per gli stoici lo stesso significato; in Bruno c'é l' idea che ciò che l' uomo deve fare é riconoscere la sua appartenenza al tutto. E' particolarmente evidente questo in una filosofia come quella di Bruno: esistiamo come aspetto di un'unica sostanza e l'errore clamoroso che può commettere l'uomo é di credere di esistere come realtà staccata e indipendente dalle altre: si deve cercare di concepirsi come parte del tutto, o meglio, come manifestazione del tutto. 

E' un modo particolare per realizzare quella cosa che da Platone in poi é stata definita la "omoiosis theo" che significa "diventare simile a Dio", assimilarsi a Dio: é il tentativo dell'uomo di diventare un Dio; per Bruno l'uomo, come ogni altro ente, é già Dio (perchè manifestazione dell' unica sostanza che é proprio Dio), deve solo riconoscerlo: diventare Dio non é altro che riconoscere di essere Dio per Bruno. Come per gli stoici, si deve riconoscere ciò che già si é: Nietzsche diceva "come si diventa ciò che si é" e ciò che insegna Bruno é proprio questo: basta sapere ciò che si é. 

C'é un ultimo dualismo importantissimo che viene da Bruno superato: si tratta del dualismo mondo celeste - mondo sublunare, mondi che per Aristotele erano in netta contrapposizione. Questo dualismo Bruno lo nega, Copernico lo afferma: questo, tra l' altro, spiega come la filosofia tenda sempre ad arrivare prima della scienza: fino al 1800 la teoria atomistica, per esempio, non era scientifica, ma era già stata elaborata in termini metafisici da Democrito e da Epicuro; l'infinità dell'universo é stata prima pensata da Bruno, che é un filosofo, e poi riconosciuta scientificamente (ed oggigiorno é stata messa in dubbio).

Un'immagine che ben spiega l'infinitezza dell'universo e la sensazione di finitezza che tuttavia ne deriva é quella della foresta , di cui Bruno si avvale nel De immenso: se mi trovo in una foresta immensa (diciamo pure infinita) in qualunque luogo io mi trovi ho l'impressione di essere al centro, perchè nell'infinito il centro é dappertutto. Al parziale superamento scientifico del dualismo mondo sublunare-mondo celeste si arriverà dopo qualche decennio, Bruno ci é arrivato in senso metafisico, con la coincidenza degli opposti. 

Dire che ci sono due materie radicalmente diverse che compongono l'una il mondo terrestre e l'altra quello celeste, vuol dire che esiste una materia corruttibile e una materia incorruttibile; per Aristotele poi le stelle erano attaccate al cielo delle stelle fisse. Bruno nega i dualismi e l'intero universo é fatto dalla stessa materia, da Dio. E' poi interessante notare il fatto che Bruno recuperi oltre a Parmenide anche Eraclito, perchè vede la materia come un continuo divenire, in continuo moto. 

L'immagine della foresta poi va vista come duplice dimostrazione: in primis dimostra la non certezza dei punti di riferimento; poi fa capire che pure l'idea del cielo delle stelle fisse é un' illusione ottica: ci pare che oltre il cielo delle stelle fisse non ci sia più niente, ma in realtà il mondo continua all'infinito; proprio come nell'immensa foresta ci sembra sempre di essere al centro e in una realtà finita perchè all'orizzonte per via di un'illusione ottica ci sembra che gli alberi finiscano, ma in realtà continuano; in questo modo la "molesta turba del Sofista potrà ritenere che ciò che é espresso dai sensi sia la verità", ossia penserà che l'universo sia finito facendo lo stesso ragionamento di quando ci si trova in un'immensa foresta: si pensa sempre di essere al centro. Allo stesso modo se noi fossimo su un altro pianeta ci sembrerebbe di essere al centro dell'universo. 

Il mondo di Bruno é assolutamente omogeneo nella sostanza e le stelle stesse non sono collocate tutte alla stessa distanza, ma in profondità: nella foresta infinita, guardando all'orizzonte, ci sembrerà che tutti gli alberi siano allineati sul fondo e non disposti in profondità; la stessa cosa vale per le stelle, che per lo stesso effetto ci sembrano tutte allineate sullo stesso piano, ma che in realtà sono disposte in profondità. 

Quelle che noi chiamiamo costellazioni perdono allora di significato perchè ai nostri occhi risultano stelle allineate, ma in realtà sono disposte in profondità le une rispetto alle altre.


Diego Fusaro

fonte: http://www.filosofico.net/bruno.htm

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