Per
nove mesi le Nazioni Unite hanno tentato d’imporre il cosiddetto
governo di Accordo Generale Nazionale (GNA) alla Libia. Nonostante una
miriade di dichiarazioni internazionali a sostegno, il GNA ha fallito
clamorosamente. Battibecchi regionali e complessità costituzionali sulla
sua legittimità e mancanza di capacità istituzionale, ne ostacolano il
progresso. In agguato, dietro tali cause, vi è la carenza di entrate,
non avendo mai controllato i nodi chiave della produzione ed
esportazione del petrolio della Libia.
L’11 settembre, le forze del Generale Qalifa Haftar, il principale rivale del GNA, prendeva il controllo della maggior parte dei porti della mezzaluna petrolifera della Libia, sfrattando le rimanenti sacche dei federalisti di Ibrahim Jadhran. Sulla scia di questa importante operazione, i due anni di vacanza delle esportazioni petrolifere da Ras Lanuf, Sidra e Zuaytina terminavano rapidamente. Da allora, le petroliere caricano (per lo più greggio depositato nelle cisterne) e o fondi per la riparazione degli impianti petroliferi vengono assegnati.
Presto, le entrate da questi carichi di petrolio scorreranno di nuovo
nelle casse della Libia. A chi, nel complesso frantumato panorama
istituzionale della Libia, andranno questi fondi, e perché vengono
autorizzati? Il 21 settembre, lo stesso giorno in cui il primo carico di
greggio, dal 2014, lasciava Ras Lanuf verso l’Italia, la National Oil
Corporation annunciava di aver ricevuto in pagamento 310 milioni di
dinari libici (224 milioni di dollari) dal Consiglio della Presidenza
sostenuto dalle Nazioni Unite, che funge da organo esecutivo del GNA,
per le riparazioni e la manutenzione delle strutture petrolifere, e che
avrebbe ricevuto altri 620 milioni di dinari in due parti entro la fine
dell’anno.
Il giorno seguente, 22 Paesi e organismi internazionali, tra
cui attori chiave come Egitto, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Russia,
emettevano un comunicato congiunto sulla Libia ribadendo l’impegno
all’accordo politico libico firmato a Sqirat, Marocco, l’anno scorso,
come così come al trasferimento nominale del controllo dei porti della
mezzaluna petrolifera alla National Oil Corporation e alla ripresa delle
esportazioni. A fronte di ciò, dopo mesi di contrattempi e incidenti,
di carenze di fondi e riduzione dei ricavi petroliferi della National
Oil Corporation, la riapertura dei porti dovrebbe essere motivo di
festeggiamenti, soprattutto considerando le difficoltà economiche
disastrose della Libia.
E’ importante ricordare, tuttavia, che
l’architetto di questo risveglio è Haftar, lo stesso uomo che si oppone
al GNA e al processo di pace delle Nazioni Unite, che si rifiuta di
riconoscere l’autorità del Consiglio di Presidenza e non fa segreto
della sua ammirazione per i capi militari, come il Presidente egiziano
Abdalfatah al-Sisi. Eppure i ricavi delle esportazioni di petrolio che
fluiranno, presumibilmente andranno alla Banca Centrale di Tripoli
controllata dal Consiglio di Presidenza. Allora perché Haftar permette
che questi fondi rafforzino l’entità che vuole rimuovere?
In primo luogo, prendendo i porti della mezzaluna del petrolio e riaprendoli, Haftar si guadagna un’ampia legittimità tra i libici che in precedenza non lo sostenevano. La mossa di Haftar era brillantemente cronometrata, perché i suoi avversari di Misurata recentemente sono avanzati contro lo Stato islamico (IS) a Sirte riducendo ampiamente la minaccia di attacchi terroristici alle infrastrutture portuali. Permettendo il flusso di petrolio, Haftar può pretendere di agire al di sopra della politica e nell’interesse del popolo libico, qualcosa che la comunità internazionale difficilmente contesterebbe dato che chiaramente ha consegnato i porti alla National Oil Corporation.
Allo
stesso modo, se Haftar dovesse chiedere apertamente il controllo della
Banca Centrale della Libia, reindirizzandone i proventi del petrolio o
prendendo tangenti dalle casse libiche, indebolirebbe le credenziali di
leadership. Il 21 settembre, l’Alto Consiglio di Stato, organo
consultivo sancito dall’accordo politico, annunciava di esser
“costretto” a prendere in consegna i pieni poteri legislativi dalla
Camera dei Rappresentanti, avendo sostenuto il golpe di Haftar e
prevedeva di nominare un nuovo presidente della Banca centrale della
Libia.
La mossa del Consiglio superiore di Stato è stata ampiamente
respinta come irrealistica, e il presidente della Banca centrale della
Libia, Sadiq al-Qabir, è visto pro-Tripoli e contrario ad Haftar. Se qli
avversari di Haftar non riescono ad imporsi, ciò indica che i libici
sempre più puntano su unità e potere contro divisione e caos politico.
In secondo luogo, Haftar ora controlla l’accesso del Consiglio di
Presidenza ai proventi del petrolio di cui ha disperatamente bisogno, e
può quindi utilizzarlo come strumento di contrattazione per ottenere ciò
che vuole. In realtà, potrebbe anche cercare di impiegare tattiche
simili a quelle di Jadhran, ricattando il Consiglio di Presidenza
chiudendo i rubinetti.
La produzione di greggio della Libia è salita a
450000 barili al giorno, rispetto ai 260000 del mese scorso. Tuttavia,
questi numeri ingannano perché la crescita è dovuta al greggio
immagazzinato ed infine esportato. Ciò nonostante, alcuni giacimenti
saranno riavviati e la produzione sembra poter gradualmente crescere.
Riconoscendo l’enorme importanza di questi sviluppi per ogni futuro
successo del GNA, il 27 settembre, il primo ministro Fayaz Saraj
affermava che Haftar e i suoi alleati saranno rappresentati nel nuovo
governo allo studio da parte del Consiglio di Presidenza.
Ma ciò
difficilmente porterà il potente generale a sostenere improvvisamente il
processo. La rapida avanzata di Haftar evidenzia quanto scarso potere
abbia il Consiglio di Presidenza; pertanto, sarà improbabile che si
accontenti di meno della rielaborazione completa dell’accordo politico
libico, con lui in posizione di potere. In terzo luogo, è importante
ricordare che, nonostante scontri e frammentazione della Libia, la Banca
centrale ha continuato a pagare gli stipendi alle varie opposte
milizie, anche alle forze dell’esercito nazionale libico di Haftar.
Pertanto, è probabile che le priorità dei finanziamenti a breve termine
di Haftar si concentrino su armi e munizioni, piuttosto che salari, e
per acquistare armi l’accesso alla Banca centrale della Libia sarà di
poco aiuto. Invece, Haftar cerca dagli alleati internazionali di
accedere ai rifornimenti militari. In recenti interviste, Haftar ha
riconosciuto il supporto alle forze armate libiche dall’Egitto, che in
cambio ribadisce il sostegno ad Haftar, che ha anche sollecitato la
Russia, altra alleata, a far togliere l’embargo sulle armi delle Nazioni
Unite, in modo che le sue forze possano accedere ad ulteriori armi ed
equipaggiamenti militari. In breve, le ambizioni di Haftar vanno ben
oltre l’accesso a specifici fondi della Banca Centrale della Libia.
Sembra seguire un gioco a lungo termine; costruendosi legittimità, leva
finanziaria ed influenza. Dall’inizio delle rivolte contro il leader
libico, Colonnello Muammar Gheddafi, Haftar ha cercato tramite varie
tattiche e stratagemmi di diventare l’uomo forte della Libia. E’ in
questa luce che va interpretata l’attuale manovra militare nella
mezzaluna petrolifera e la generosità verso il GNA, sperando chiaramente
di acquisire finalmente una posizione forte abbastanza da avere la
leadership della Libia, sia coi negoziati politici o più probabilmente
con la forza militare.
Fortunatamente per i libici che aspirano a un governo costituzionale, Haftar non può ancora, ed ha molti nemici formidabili, in particolare le milizie di Misurata che, convenientemente per Haftar, arretrano. Se Haftar prendesse il potere, Misurata combatterebbe fino alla fine prima di consentire ad una decisa figura antislamista, già del regime, di prendere il potere in Libia. Tuttavia, i libici sono sempre più stanchi del conflitto incessante, del caos e della confusione che affliggono il Paese; se Haftar dimostrerà di offrire sul serio un’alternativa più stabile con il supporto di potenti alleati come Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia, è possibile che infine realizzi il suo sogno, soprattutto se la scena politica internazionale subirà un vasto sconvolgimento a novembre dalle elezioni statunitensi.
Jason Pack, al-Monitor 29 settembre 2016
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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