Non credete minimamente a ciò che dico. Non prendete nessun dogma o libro come infallibile. (Buddha)
giovedì 10 novembre 2016
Esserci (Da-sein)
La lettura di Essere e Tempo di Martin Heidegger (1889-1976) è un evento che ti segna la vita.
Di norma nemmeno gli studenti di filosofia lo leggono integralmente. Non è infatti un’opera che puoi leggere per imposizione dall’esterno. È difficile da spiegare persino per certi professori. La leggi quando proprio sei disperato e disposto a tutto pur di trovare un senso alla vita. Situazione nella quale mi trovavo immerso una quindicina d’anni fa.
Il senso dell’esserci è ciò che caratterizza l’essere umano, o meglio, ciò che MI caratterizza, in quanto l’unico esserci che posso esperire è questo mio esserci. È il mio sentirmi cosciente nel tempo.
L’esserci sono io: una 'cosa' nel tempo che si interroga su di sé.
Fisica, biologia, scienze storiche, teologia, metafisica... tutto perde di senso – diventa privo di fondamenta sicure – se prima non risolvo il problema del mio esserci. Una qualunque verità proveniente dall’esterno diviene inevitabilmente sterile se prima non ho indagato il mio esserci.
Dio si è riversato nel mondo e il risultato è il mio esserci, il mio sentirmi improvvisamente cosciente e gettato nella temporalità e nella paura di morire – la base di tutte le paure, da quella di essere abbandonato a quella di essere derubato. Proprio la temporalità – e quindi la possibilità della morte, della fine del mio esserci – crea – limitandomi nel tempo – la sensazione del mio stesso esserci. Se l’essere non entrasse nel tempo non potrebbe mai esserci, cioè divenire autocosciente.
In altre parole, è come se io fossi essenzialmente costituito di paura di morire, di angoscia pura.
L’autocoscienza, se ci pensate bene, non può che essere già angoscia, paura di non essere più. E finché sono autocosciente sono angosciato, perché il tempo, in quanto finito, non può che procurarmi un’angoscia costante, un rumore di fondo che inquina tutta la mia vita – per quanto soddisfacente possa essere questa vita sul piano materiale –, ma che allo stesso tempo mi permette di esserci, di divenire cosciente della vita stessa. Nella mia mortalità trovo la mia autocoscienza.
Ciò che a Heidegger forse è sfuggito è che non per tutti l’esserci è qualcosa di reale. Per la maggior parte delle persone esistono solo corpo, emozioni e mente con le loro variegate manifestazioni, ma l’esserci, per sua stessa natura, appare solo quando io mi fermo un attimo e ci rifletto. Negli affanni della vita quotidiana il vero esserci scompare. Come direbbe Gurdjieff: io esisto solo quando mi sforzo di essere presente, quando mi fermo un attimo e divengo consapevole di esserci, altrimenti il mio vivere è solo meccanicità inconsapevole.
Una persona che agisce inconsapevolmente... non può dire di esserci.
L’esserci non ci è dato. Esso va preteso, è frutto di sforzo, di Volontà.
Fino a quando il mio esserci è identificato con la mente – e con il tempo, di cui la mente è costituita – sono destinato a restare nell’angoscia esistenziale. Ma quando l’esserci, attraverso un atto di Volontà, torna a prendersi cura di sé, allora per un attimo sono fuori dalla mente e dal tempo. Questo si chiama “ricordo di sé” o “ritorno a sé”.
Ossia, una volta che ho sfruttato il tempo per divenire cosciente del mondo, allora devo sfruttare l’attimo, l’hic et nunc (=qui-e-ora) per divenire cosciente di me. La via d’uscita dall’angoscia consiste nel prendermi cura dell’adesso, istante dopo istante.
Il mio esserci è solo apparentemente temporale, ma in verità, se io mi prendo cura dell’attimo presente, se vivo di Presenza fino a risolvermi in essa, allora mi rendo conto che l’unica vera modalità dell’esserci si colloca al di là del tempo. Anzi, più risiedo nell’attimo, più si intensifica il mio esserci, che smette di essere una sensazione vaga, per diventare Essere puro.
Come si ottiene questo? Con un atto di Volontà (Thelema in gr.), un atto di Presenza (Parousía in gr.) e un atto d’Amore (Ágape in gr.). Le tre istanze sono collegate e formano un tutt’uno, in quanto l’Amore e la Volontà sfociano necessariamente nella Presenza. Qualcuno – come Arthur Schopenhauer – risuona maggiormente con l’energia della Volontà, qualcun altro – come Gesù – con quella dell’Amore, ma alla fine tutti mirano a una maggiore Presenza nell’hic et nunc.
Resta il fatto che l’esserci è principalmente volontà di esserci. Nell’atto di Volontà è insito l’atto di creazione di colui che vuole. È la Volontà che partorisce colui che vuole, non viceversa. Se veramente VOGLIO essere qualcosa al di là della mente e delle emozioni di cui è composto l’animale uomo, posso farcela, ma devo sforzarmi di RICORDARMELO; non posso infatti pretendere di esserci e allo stesso tempo dimenticarmi di me abbandonandomi all’inerzia dei miei corpi. Esserci è sempre un voler essere presenti a sé.
L’Amore scaturisce da questa Presenza.
Heidegger non ha mai concluso Essere e Tempo, che è rimasta un’opera incompiuta... e negli ultimi anni della sua vita esprimeva il suo pensiero solo in poesia...
Salvatore Brizzi
NON DUCOR DUCO
(non vengo condotto, conduco)
fonte: http://www.salvatorebrizzi.com/2010/06/esserci-da-sein.html
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