“Reagire a circostanze difficili con pazienza e tolleranza,
anziché con rabbia e odio, significa avere un controllo attivo
delle cose, che è frutto di una mente forte e autodisciplinata.”
(Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)
“Come
coltivare un atteggiamento di attenzione nei confronti dei nostri
simili? L’approccio principale consiste nel considerare il valore che
attribuiamo a noi stessi in relazione agli altri. Una pratica giunta in
Tibet dall’India prevede anzitutto di trovare un terreno comune con il
prossimo (equiparazione) e poi di porlo al centro del nostro interesse,
al posto di noi stessi.
Lo
yogi e studioso indiano Shantideva spiega a fondo questa pratica - che
consiste nell’equipararsi agli altri e sostituirsi con loro - nella Via
del Bodhisattva, commentato da molti studiosi. La vera compassione si
prova per ogni essere senziente e non soltanto per amici, familiari o
persone che si trovano in situazioni di grande difficoltà. Per coltivare
appieno la pratica della compassione è necessario praticare la
pazienza.
Shantideva
ci dice che se la pratica della pazienza smuove davvero la mente e
genera un cambiamento, comincerai a vedere i nemici come se fossero i
tuoi migliori amici, o addirittura delle guide spirituali. I nemici ci
offrono ottime opportunità di praticare la pazienza, la tolleranza e la
compassione. Shantideva ce ne fornisce straordinari esempi, in forma di
dialogo tra le inclinazioni positive e quelle negative della mente.
Le
sue riflessioni sulla compassione e sulla pazienza sono state
estremamente utili per la mia pratica. Leggetele e la vostra anima ne
sarà completamente trasformata. Eccone un esempio: «Per chi pratica
l’amore e la compassione, il nemico è uno dei maestri più importanti.
Senza un nemico non puoi praticare la tolleranza, e senza la tolleranza
non puoi costruire una base solida per la compassione.»
Per
praticare la compassione bisogna dunque avere un nemico. Quando sei di
fronte ad un nemico che sta per farti del male, quello è il momento di
praticare la tolleranza. Un nemico è dunque causa della pratica della
tolleranza; la tolleranza è l’effetto o il risultato dell’esistenza di
un nemico. Si tratta dunque di un rapporto di causa ed effetto.
Così
è detto: «Quando la relazione tra due cose è di derivare l’una
dall’altra, non si può considerare quest’ultima fonte del male, poiché
contribuisce alla produzione dell’effetto.»
Riflettere
su ragionamenti di questo tipo può essere d’aiuto a coltivare una
grande pazienza che, a sua volta, dà origine ad una intensa compassione.
La vera compassione si fonda sulla ragione. La compassione e l’amore
ordinari sono invece limitati dal desiderio o dall’attaccamento. Se la
tua vita procede senza difficoltà e tranquillamente, puoi continuare ad
illuderti. Ma quando devi affrontare situazioni veramente disperate, di
tempo per illudersi non ce n’è: devi fare i conti con la realtà.
Le
grandi difficoltà cementano la determinazione e la forza interiore. In
quei periodi arriviamo a comprendere l’inutilità della rabbia. Invece di
arrabbiarci, dimostriamo attenzione e rispetto per coloro che ci creano
problemi, poiché ci offrono la preziosa opportunità di praticare la
tolleranza e la pazienza. La mia non è stata una vita felice.
Ho
vissuto molte esperienze difficili; ho dovuto abbandonare il mio paese
in seguito all’invasione della Cina comunista e cercare di trapiantare
la nostra cultura nei paesi vicini. Ebbene considero queste esperienze
come i momenti più importanti della mia esistenza. Sono state per me un
grande insegnamento, e mi hanno fatto conoscere la realtà. Quando ero
giovane e vivevo nel Potala, che sovrastava la città di Lhasa, osservavo
spesso la vita giù in città attraverso la lente di un telescopio.
Imparai
molto anche dai pettegolezzi delle persone che tenevano pulito il
palazzo. Erano il mio giornale, poiché grazie a loro sapevo che cosa
faceva il reggente e quali corruzioni e scandali erano in atto.
Ascoltavo sempre con piacere, e loro erano orgogliosi di raccontare al
Dalai Lama che cosa accadeva nelle strade.
I
gravi avvenimenti successivi all’invasione del 1950 mi costrinsero a un
coinvolgimento diretto in problemi che altrimenti avrei tenuto a
distanza. La conseguenza è stata che ho preferito una vita di impegno
sociale in questo mondo pieno di sofferenze. In quel terribile periodo
tentai di soddisfare le richieste dei cinesi, di modo che la situazione
non precipitasse. Quando una piccola delegazione di funzionari tibetani
firmò con gli invasori un accordo articolato in diciassette punti senza
il consenso mio o del governo, non ci rimase altra alternativa che
lavorare a partire da quel documento.
Molti
tibetani non erano d’accordo ma, quando manifestarono la loro
opposizione, i cinesi reagirono ancora più duramente, e mi ritrovai tra
due fuochi e mi proposi di raffreddare gli animi. I due primi ministri
presero l’iniziativa di protestare per le condizioni imposte dal governo
cinese, che mi chiese di deporli. Finché rimanemmo in Tibet dovevo
affrontare quotidianamente problemi del genere.
Non
potevamo dedicarci a migliorare la nostra situazione ma riuscii
perlomeno a nominare un comitato per le riforme allo scopo di ridurre
gli interessi esagerati sui debiti e così via. Mi recai una prima volta
in India nel 1956 contro la volontà dei cinesi, per festeggiare il
2.500° anniversario della nascita di Buddha.
Mentre
mi trovavo in quel paese dovetti prendere una decisione difficile,
ovvero se tornare o no in Tibet. Mi giungevano notizie di rivolte nel
Tibet orientale e molti funzionari rimasti lì mi consigliavano di non
rientrare. Sapevo inoltre, sulla base delle esperienze passate, che con
l’aumento della sua forza militare la Cina avrebbe adottato un
atteggiamento più duro.
Sembra
chiaro che c’erano ben poche speranze ma, al momento, non si capiva se
ci fossero garanzie assolute di un sostegno efficace da parte del
governo dell’india o di qualche altra nazione. Alla fine decidemmo di
tornare in Tibet. Invece, nel 1959, quando si verificò una fuga di massa
verso l’India, la situazione era più facile perché non ci trovavamo più
di fronte ad un dilemma.
(Tenzin Gyatso, XIV Dalai Lama)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/09/il-valore-delle-circostanze-difficili.html
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