Il nostro organismo è lentamente, ma
inesorabilmente, indebolito e intossicato da un cibo sempre più lontano da
quello naturale, includendo anche molto di quello etichettato come biologico.
Siamo consapevoli di ciò che quotidianamente mangiamo?
Noi umani siamo animali
e, come tali, siamo organismi eterotrofi, non in grado cioè di sintetizzare, a
partire dal mondo minerale, i nutrienti necessari alla nostra vita. Abbiamo
quindi bisogno di alimenti che provengano da altri organismi viventi del regno
vegetale e animale.
All’inizio della sua storia evolutiva, l’Homo si nutriva
principalmente di frutta, e occasionalmente di larve e molluschi, come fanno
tuttora gli scimpanzé e i bonobo.
L’aver appreso a nutrirsi delle carcasse
lasciate dai predatori, e successivamente aver imparato a cacciare, gli ha
permesso di alimentarsi anche quando c’era scarsità del suo cibo di elezione, e
questo gli ha fornito un grande vantaggio competitivo sulle altre specie.
Ma la
scoperta che forse più di tutte gli ha permesso di dominare sulle altre specie
animali è stata la cottura dei cibi, grazie alla quale ha potuto utilizzare
nutrienti concentrati, quali i carboidrati complessi dei cereali, che sono
assimilabili dall’organismo solo dopo cottura.
Questa tecnica ha aumentato per
l’Homo erectus la disponibilità di alimenti utili, riducendo quindi il tempo
necessario a procurarsi il cibo. Inoltre, i carboidrati complessi presenti nei
cereali forniscono un apporto calorico elevato che dura parecchie ore, e ciò gli
ha consentito di dedicarsi a varie attività creative per una consistente parte
del giorno.
Si ritiene che proprio questo tempo libero guadagnato con la cottura
degli alimenti sia stato alla base della forte crescita del suo cervello.1 Tutto
però lascia pensare che l’Homo sapiens del XXI secolo che abita nei paesi
ricchi, non debba più la sua crescita intellettuale alla disponibilità di tempo
dovuta al fatto di poter cuocere i cibi. Anzi, il fatto di essere dipendente da
tecnologie che sono ormai divenute appendici del proprio corpo - si pensi
all’uso dell’auto, del telefono, del computer e della TV - fa sì che spesso, in
una buona percentuale di casi, oltre ai muscoli, anche il cervello sia lasciato
in ozio durante il tempo libero.
L’importanza dei cibi crudi Ma, anche nella
preistoria, la cottura degli alimenti non esonerava affatto l’Homo erectus dal
dover mangiare frutta e verdure crude. Il motivo di ciò risiede nel fatto che
molti nutrienti essenziali, tra cui vitamine, enzimi vegetali e microorganismi
(il microbiota umano), si trovano esclusivamente negli alimenti crudi.
Sappiamo
come questa necessità sia stata cruciale, e quante vittime abbia causato, nei
lunghi viaggi per nave che seguirono alla scoperta dell’America. Per quanto
riguarda il microbiota umano, sappiamo anche che il suo ruolo è essenziale in
molti processi metabolici, e che esso svolge una funzione fondamentale per il
sistema immunitario dell’organismo.
L’uomo di oggi ha forse il problema opposto
rispetto all’Homo erectus: arriva spesso ad avere problemi di salute fisica,
proprio perché mangia troppo cibo cotto e disattende spesso la necessità
d’inserire nella sua dieta una buona percentuale di vegetali crudi.
Questo
problema si somma al costante deterioramento della qualità degli alimenti, che
ormai non risponde più alle esigenze fisiologiche del consumatore - spesso male
informato e manipolato dai media - ma quasi esclusivamente agli interessi dei
produttori e dei distributori. E il motivo di ciò è in gran parte dovuto alla
mancanza di consapevolezza delle persone su un argomento cruciale che riguarda
il loro quotidiano.
Da questa esigenza, deriva anche la necessità di sapere se
le mele che compriamo dal fruttivendolo siano crude o meno - sì avete capito
bene, non è uno scherzo, anche se per il momento è sperabile che almeno le mele
prodotte in Italia non siano ancora travolte dall’ondata di orrori che stiamo
per descrivere. Il fatto sorprendente e inquietante è che molti degli alimenti
che compriamo pensando che siano crudi, quindi con i loro nutrienti vivi, hanno
invece subito un processo indicato eufemisticamente come “pastorizzazione a
freddo”, ovvero l’irraggiamento degli alimenti con radiazioni ionizzanti.
Il
risultato del quale è trasformare un alimento vivo in un alimento morto. In
molti casi, è facile capire se il prodotto che abbiamo comprato è vivo o no, in
altri casi i test da fare sono più complicati, e spesso non alla portata del
consumatore medio.
Questo, secondo noi, è di per sé un fatto gravissimo, perché
riguarda un tema importante come l’alimentazione, e perché pensiamo che le
persone debbano essere informate e scegliere consapevolmente e liberamente quale
cibo comprare. Ma, come vedremo più avanti, i problemi purtroppo non finiscono
qui.
Le radiazioni nucleari sono entrate
prepotentemente, ma in sordina, nel mercato alimentare Sapere se la banana che
compriamo - e la banana è oggi uno degli alimenti più colpiti dalla
“pastorizzazione a freddo” - è bollita o no è indubbiamente una questione
importante ma, se si trattasse di un problema di semplice cottura in acqua,
sappiamo anche che non esistono rischi visto che, come abbiamo detto, quello che
cambia in un alimento cotto, rispetto allo stesso alimento crudo, sono le
caratteristiche nutrizionali, senza altri possibili effetti dannosi.
Altro
discorso sarebbe invece una cottura alla brace che, con le alte temperature, può
produrre molecole ad alto rischio per la salute.
Nel caso della “pastorizzazione
a freddo”, gli alimenti sono trattati con radiazioni elettromagnetiche
ionizzanti, provenienti dagli isotopi radioattivi Cobalto 60 (radiazione gamma
con un’energia di 1,3 MeV).2 - di gran lunga il più usato - e Cesio 137
(radiazione gamma con un’energia di 0,66 MeV). Oppure con radiazione X di alta
energia (10 MeV). Un altro tipo di trattamento avviene con fasci di elettroni
accelerati con energia di 5 MeV.
Diciamo ora come avviene il processo, quali
modifiche apporta ai prodotti trattati, e su quale normativa internazionale si
basa questa vasta e inquietante operazione.
La parte centrale della banana sembra cotta e il germoglio dell’aglio è chiaramente morto. Il sapore della banana è poco gradevole, quasi di muffa. L’odore dell’aglio è decisamente ripugnante.
Dal Rapporto sui cibi irradiati dell’Istituto Superiore della Sanità:
“[… omissis] … Per quanto riguarda i caratteri organolettici, si manifestano variazioni di colore, odore, sapore e consistenza dovute essenzialmente alle trasformazioni indotte dalle radiazioni sui costituenti dell’alimento. I raggi gamma provocano reazioni di ossidazione e riduzione, polimerizzazioni con liberazione di acido solfidrico e formazione di vari solfuri organici, probabilmente derivati dal glutatione, responsabili di odori sgradevoli. [… omissis] …”Citato in www.pieronuciari.it/wp/lirraggiamento-degli-alimenti-e-la-tutela-dei-consumatori/
Gli alimenti sono portati presso una stazione di
trattamento, posti su un nastro trasportatore, che passa all’interno di una
camera opportunamente schermata, nella quale vengono irradiati ricevendo una
dose di radiazione che dipende dal tipo di alimento, secondo quanto stabilito da
minuziose norme, emesse dalla Codex Alimentarius Commission di cui parleremo più
avanti.
Le motivazioni, apertamente espresse per giustificare questo orribile
procedimento, sono diverse per i diversi prodotti e riguardano la eliminazione
di batteri per le carni, di uova d’insetto e larve per i prodotti secchi - come
spezie, erbe aromatiche, cereali, legumi e frutta secca - e l’inibizione del
germogliamento nei bulbi, nei tuberi e nei frutti freschi.
Anche se
l’eliminazione di pericolosi parassiti e patogeni viene indicata come un grande
beneficio per il consumatore, lo scopo centrale - apertamente dichiarato - per
produttori e distributori è quello di prolungare la vita commercialmente utile
del prodotto (indicata in inglese come shelf life).
Poi ci sono naturalmente gli
interessi della opulenta industria nucleare che con questi trattamenti può
invadere un altro appetitoso settore civile, oltre a quello delle centrali a
fissione, delle attrezzature mediche per radioterapia e degli impianti di
“sicurezza” negli aeroporti. E il business degli alimenti sembra essere grande,
perché negli ultimi 10 anni sono nati nel mondo migliaia di nuovi impianti.
Nell’ambito della normativa europea, che consente l’irraggiamento di 60 prodotti
alimentari, ci risulta che l’Italia abbia autorizzato soltanto il trattamento
anti-germogliamento per agli, cipolle e patate, oltre alla sterilizzazione per
erbe aromatiche, spezie e condimenti vegetali essiccati.
Non ci aspetteremmo
quindi di trovare nei negozi e nei supermercati frutta o fagioli secchi
irradiati. E invece, non solo ne troviamo in grande quantità, perfino nei negozi
che vendono esclusivamente alimenti biologici, ma essi sono sistematicamente
venduti senza la etichettatura prescritta per legge, e quindi senza che chi
compra possa liberamente scegliere fra un prodotto vivo e uno irradiato.
Ma non
dobbiamo meravigliarci di trovare tanti alimenti irradiati dato che, anche
ammettendo che i produttori italiani rispettino i limiti imposti sui prodotti
nazionali, l’Italia importa ormai un’altissima percentuale di prodotti
alimentari.
E la cosa più allarmante è che questo fenomeno è andato crescendo
fortemente negli ultimi anni, in maniera nettamente visibile nel caso della
frutta importata, e in maniera meno visibile, ma facilmente riscontrabile, nel
caso di legumi secchi importati.
Le trasformazioni in un alimento irradiato e il
principio di precauzione È importante a questo punto cercare di capire quali
sono le possibili trasformazioni che l’irraggiamento può apportare agli
alimenti, in particolare a quelli vivi.
L’approccio “scientifico” alla questione
è decisamente empirico e riduzionista e, guarda caso, attento agli interessi
delle corporazioni del Big Food: si limita a controllare la dose di radiazione
assorbita e i danni totali causati ai “nemici” che si vogliono distruggere,
quali batteri, insetti ed embrioni vegetali, sui quali si è usata la stessa
precisione e delicatezza che un bombardiere avrebbe su un obiettivo militare. È
probabile che chi legge possa trovarsi d’accordo sul fatto che i “cattivi”
batteri vadano comunque eliminati, e che si preoccupi principalmente degli
effetti collaterali di questo bombardamento.
A questo punto, ci corre l’obbligo
di spezzare una lancia a favore dei tanto vituperati e perseguitati batteri, per
la lotta ai quali è stata addirittura creata la categoria farmacologica degli
antibiotici.
L’organismo di una persona adulta sana è costituito da circa 30
mila miliardi di cellule, e contiene circa 40 mila miliardi di batteri3. Questi
ultimi, costituiscono il microbiota umano, indispensabile alla vita
dell’organismo, ogni squilibrio del quale arriva a causare gravi patologie.
Siamo ancora sicuri che i batteri siano così cattivi?
L’idea, che il pensiero
dominante ha installato nelle nostre menti, è che si debba dare la caccia al
batterio, come il responsabile di quasi tutte le patologie, così come si deve
combattere il terrorista islamico, responsabile dei mali del pianeta. Il
benessere non si raggiunge con la distruzione dei batteri, ma con il
raggiungimento di una convivenza equilibrata fra le specie, e a questo
equilibrio provvedono la corretta alimentazione e lo stesso organismo.
Nel caso
poi dell’irraggiamento finalizzato a ritardare il processo di maturazione nella
frutta e di germogliamento nei bulbi, il fatto che le radiazioni rompano in modo
innaturale e imprevedibile le macromolecole di un sistema biologico,
interrompendo i processi biochimici in corso, è presentato come un fatto privo
di conseguenze.
Ma la domanda è: si conoscono le conseguenze per la persona che
si ciberà di quegli alimenti le cui molecole sono state macellate dalle
radiazioni, producendo mostruosi cataboliti che, ammesso che esistano in natura,
sono di certo molto rari, che probabilmente il sistema immunitario del
malcapitato organismo non riconoscerà, e che sarà quindi costretto ad attaccare
come corpi estranei? Dove diavolo è finito il principio di precauzione?
Le istituzioni mondiali che vegliano sulla nostra
salute A questo punto, ci si chiede su quale normativa internazionale si basi
tutta questa scellerata operazione. La Codex Alimentarius Commission (CAC),
creata nel 1963 da FAO e OMS allo scopo dichiarato “di proteggere la salute dei
consumatori e assicurare la correttezza degli scambi internazionali di alimenti”
ha oltre 20 comitati di esperti ed emette periodicamente rapporti in cui sono
fissate e aggiornate le normative.
Ma tutto lascia intendere che la CAC (nomen
omen!) si preoccupi molto più del business commerciale che della salute dei
consumatori.
Molto attenta a questioni irrilevanti - come si legge su Wikipedia
- del tipo «i canoni che stabiliscono quando un pesce può portare l'etichetta ‘sardina’,
o quanto burro di cacao deve essere presente nel cioccolato perché sia ‘vero’
cioccolato, o ancora quanta buccia può essere tollerata in una scatola di
‘pomodori pelati’ interi».
Invece, quando si tratta di applicare l’ovvio
principio di precauzione su questioni cruciali, quale ad esempio la presenza di
diserbanti e dei loro metaboliti negli alimenti, la CAC è sistematicamente
ancorata alla visione mainstream, a sua volta ampiamente controllata dalle
multinazionali degli alimenti.
Per esempio, non vengono presi in seria
considerazione l’inquinamento da glifosato e quello da alluminio che, come è
stato ampiamente dimostrato in esaurienti lavori scientifici4, sono correlati
direttamente a gravi malattie neuro degenerative che iniziano proprio con una
grave disbiosi, cioè con una perdita dell’equilibrio del microbiota umano.
Questa poca attenzione da parte della CAC è tanto più sospetta, a fronte di una
dilagante pandemia di disbiosi umana e animale, testimoniata da un aumento
vertiginoso di malattie come Candidosi, Celiachia, Sindrome dell’Intestino
Irritabile (IBS), Morbo di Crohn, Morbo di Alzheimer, Autismo.5.
Inoltre, tutti
questi dati epidemiologici risultano in perfetta correlazione con un mercato dei
probiotici in crescita del 10% l’anno.6.
Quindi siamo di fronte simultaneamente a:
(1) patologie gravi imputabili ad alterazioni del microbiota intestinale;
(2) presenza sempre più massiccia nell’ambiente e in agricoltura di sostanze tossiche che inducono la disbiosi intestinale;
(3) forte crescita del mercato dei probiotici, come risposta - solo di una parte di consumatori e medici attenti e consapevoli – alle patologie di cui al punto (2).
Ci si aspetterebbe,
da una commissione mondiale di esperti che dice di perseguire la salute dei
consumatori, che si cominciassero a studiare queste correlazioni e a mettere in
discussione l’uso di certe tecniche agricole e di trattamento degli alimenti.
Invece, su questi punti, dalla CAC vengono solo rassicurazioni.
Come abbiamo
potuto vedere nella vicenda dell’autorizzazione in ambito europeo per l’uso del
glifosato, tutto si è giocato sul dilemma “cancerogeno sì / cancerogeno no”,
come se la parola cancerogeno avesse un significato scientificamente compiuto, e
come se l’unico rischio concreto fosse il cancro, le malattie neuro degenerative
essendo nella visione di Bruxelles problemi secondari.7
Il possibile rischio di ingerire alimenti
radioattivi Ma, oltre a tutti i rischi citati e ampiamente sottovalutati dalla
CAC, dobbiamo citarne un altro, forse remoto, ma ancora più grave e
terrificante, sul quale la società civile dovrebbe chiedere alle autorità
competenti che venga immediatamente aperta un’indagine e siano fatte tutte le
necessarie verifiche.
Parliamo di possibili reazioni di fissione nucleare negli
alimenti trattati, impossibili da verificarsi come effetto degli irraggiamenti
gamma, ma che potrebbero essere indotte dalla eventuale presenza, nella
sorgente, di scorie radioattive che emettano neutroni ad alta energia.
In questo
caso, non si avrebbero solamente i danni - pur gravissimi e ancora tutti da
studiare - a livello biochimico, ma si arriverebbe alla possibile trasmutazione
o rottura di nuclei, con la formazione di radionuclidi, che noi ingeriremmo con
gli alimenti. Anche se il fenomeno fosse di piccolissima entità, vanno tenuti
presenti gli effetti letali derivanti dall’ingestione di quantità, anche infime,
di isotopi radioattivi.
Sappiamo che il Cobalto 60 è un radioisotopo
artificiale, volutamente prodotto in speciali reattori dalla trasmutazione del
Cobalto 59, ma sappiamo anche che piccole quantità di Co-60 si trovano nelle
scorie dei reattori nucleari, come sottoprodotto non voluto dell’attivazione di
isotopi del ferro. E non possiamo escludere che, con l’aumento del business
delle sorgenti di Co-60, si possa tendere ad introdurre intenzionalmente del
Co-59 in un grande reattore per la produzione di energia, al fine di avere una
produzione a basso costo di questo radioisotopo.
A questo punto, come essere
sicuri a priori che un Co-60 così prodotto sia esente da scorie contenenti
radionuclidi che emettono neutroni in grado di indurre una fissione nei nuclei
dell’alimento?
Anche se questa ipotesi può apparire eccessiva, non è affatto
campata in aria, visto che a gestire questo traffico di impianti mortiferi sono
delle multinazionali che, notoriamente, per aumentare il fatturato, praticano
tutto il possibile, e spesso anche l’impossibile.
Quali speranze abbiamo? Giunti a questo punto, a
chi ci abbia pazientemente seguito fin qui sorge spontanea una domanda, peraltro
ormai sistematicamente ricorrente: di fronte a questo ennesimo scenario
disperante, che fare?
Se l’ambizione è quella di risolvere il problema alla
fonte, allora forse non c’è molto da dire e da sperare. Si deve, anche per
questo nuovo attacco contro la società civile, cominciare con tenacia una lotta
dura e difficile ma sacrosanta, così come hanno fatto molti gruppi di cittadini
coraggiosi per la TAV, il MUOS, gli OGM, i vaccini, i diserbanti.
Ma in questo
caso, potremmo perseguire un primo obiettivo, efficace e molto meno ambizioso,
usando quei residui di democrazia formale che ancora ci restano a disposizione -
e che l’eventuale entrata di un TTIP domani ci toglierebbe – per chiedere che la
normativa italiana di etichettare i prodotti irradiati sia rigorosamente
rispettata.
A quel punto, se riuscissimo a vedere soddisfatte le nostre
richieste, certo non avremo fermato lo scempio sugli alimenti, ma potremmo
almeno scegliere cosa mangiare e non mangiare. E se, usando i media a nostra
disposizione, saremo stati così bravi da dare il giusto risalto a questa azione,
diffondendola viralmente, in modo da rendere consapevole la società civile su un
problema così cruciale, allora potremo anche sperare che molti consumatori ci
seguano e che il mercato degli alimenti radio-Zombie abbia una sostanziale
caduta, che scoraggi gli artefici di questi orrori dal continuare il loro
business.
Sarebbe una vittoria della democrazia diretta e della ragione sulla
barbarie che le multinazionali ci infliggono con l’appoggio dei nostri
governanti compiacenti. E sarebbe, una volta tanto, una vittoria della mano
invisibile del mercato buono - quello inusuale dei consumatori consapevoli – sul
Washington Consensus. Così Adam Smith potrebbe, per una volta, riposare in pace
nella sua tomba.
Note
1) “Metabolic constraint imposes tradeoff between body size and number of brain neurons in human evolution” pubblicato dalla National Academy of Sciences USA – http://www.pnas.org/content/109/45/18571 e ripreso in lingua italiana da Le Scienze – “L'evoluzione del cervello? Tutto merito della cottura” – http://www.lescienze.it/news/2012/10/24/news/ dimensioni_cervello_uomo_metabolismo_evoluzione-1325568/?refresh_ce
2) MeV sta per Mega-elettron-Volt ed è un’unità di misura dell’energia che si usa nelle reazioni su scala atomica e nucleare. La lunghezza d’onda di una radiazione elettromagnetica è tanto minore, quanto maggiore è la sua energia. Nel caso del Co-60 che emette un raggio gamma di 1,3 MeV la lunghezza d’onda è circa 1 pm, ovvero un miliardesimo di millimetro.
3) National Geographic Italia: “Quanti batteri abbiamo in corpo?” http://www.nationalgeographic.it/scienza/2016/01/15/news/ quante_cellule_ci_sono_nel_corpo_umano_-2928794/?refresh_ce
4) “Aluminum and Glyphosate Can Synergistically Induce Pineal Gland Pathology: Connection to Gut Dysbiosis and Neurological Disease”, Agricultural Sciences, 2015, 6, 42-70. Disponibile in inglese su: http://dx.doi.org/10.4236/as.2015.61005
5) A titolo di esempio, si veda un recente lavoro sul legame tra morbo di Alzheimer e disbiosi intestinale: “Role of gut microbiota and nutrients in amyloid formation and pathogenesis of Alzheimer disease" https://www.researchgate.net/publication/ 308179725_Role_of_gut_microbiota_and_nutrients_in_amyloid_formation_and_pathogenesis_of_Alzheimer_disease
6) “Probiotici tra clinica, mercato e sicurezza”, disponibile in pdf su www.sied.it/files/Probioticitraclinicamercatoesicurezza.pdf
7) C’è da dire, a parziale onore del nostro paese, che sull’irraggiamento degli alimenti il nostro Istituto Superiore di Sanità in un suo rapporto ha mosso molte critiche e posto molti interrogativi, ben descritti nell’articolo di Piero Nuciari “L’irraggiamento degli alimenti e la tutela dei consumatori” http://www.pieronuciari.it/wp/lirraggiamento-degli-alimenti-e-la-tutela-dei-consumatori/
Maria Heibel, Paolo De Santis e Roberto Germano
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=127227&typeb=0&gli-alimenti-radio-zombie
fonte: http://www.disinformazione.it/Alimenti_Radio.htm
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