lunedì 18 settembre 2017

Vaccini, devo essere un medico per intuirne i rischi?


Purtroppo sono da sempre allergico a ogni forma di dogmatismo, soprattutto quando si tinge di intransigenza nei confronti degli scettici. Proverò dunque a tornare sul tema del mio ultimo post per questo giornale – i vaccini – cercando di affrontarlo da un punto di vista inusuale. Quello di un padre preoccupato alla ricerca di verità e non quello di un integralista. Perché integralista appunto non sono.

Ricordo che, all’indomani di quel post sui vaccini, l’accusa che mi fu rivolta con più violenza non fu tanto per i suoi contenuti, quanto per averne parlato senza essere un medico. Ma è logico: in un mondo ormai nevrotizzato dall’ipersettorizzazione professionale, per insegnare l’addizione a mia figlia dovrò rivolgermi a un matematico e per parlarle dei pianeti dovrò contattare Stephen Hawking.

Così, disquisendo di vaccini nel paese di Guelfi e Ghibellini, se non sei laureato ti ridicolizzano perché “sei uno sciamano”. Se sei laureato ti ridicolizzano perché “non lo sei in medicina”. Se infine lo sei in medicina… ti radiano dall’albo!

Affronterò allora la questione esclusivamente in termini di rischiosità (sempre che, da laureato in Statistica, mi sia concesso).

Ma andiamo con ordine. E’ del tutto evidente come i Templari della Legge 119 – dal dr. Burioni in giù – siano accecati da una qualche forma di fondamentalismo, non avendo mai sentito alcuno di loro proferire una sola sillaba sulla rischiosità dei vaccini. Come disse Zola (Esperti di troppo), “ai paramenti vistosi dei sacerdoti sono stati sostituiti i camici bianchi dei medici”: la medicina è diventata la nuova Verità Teologica, a cui prostrarsi senza opporre il minimo dubbio. Pena l’accusa di eresia e la messa al rogo.

Poiché la Santa Inquisizione della Salute non ammette esitazioni, questi Crociati 2.0 fingono di ignorare che, per fare passi avanti, il metodo scientifico si basa da sempre sul dubbio. Altrimenti non sarebbe scienza ma, appunto, Fede. E’ lo stesso Karl Popper ad affermare che una teoria scientifica è tanto più “vera” quanti più sono i tentativi di smentirla (falsificarla) a cui è in grado di resistere.

E allora vediamone qualcuno, di questi tentativi.

Il primo è certamente la lettera del dr. Roberto Gava e del dr. Eugenio Serravalle al Presidente dell’Istituto Superiore della Sanità, cofirmata da cento fra medici e pediatri (non ufologi…), in cui si afferma che “dopo un’osservazione minuziosa e prolungata nel tempo di bambini vaccinati e non vaccinati, questi ultimi appaiono indubbiamente e globalmente più sani, meno soggetti alle patologie infettive, […] croniche, […] neurologiche e comportamentali e scarsi consumatori di farmaci e di interventi sanitari”.

Il secondo tentativo, esemplare per la sua equidistanza dalle fazioni in campo, è l’approfondimento della Società Italiana di Psico Neuro Endocrino Immunologia, in cui si trova un’ottima disamina degli impatti di un simile protocollo vaccinale sul già fragile sistema immunitario dei bambini.

Il terzo è rappresentato dal virologo Luc Montagnier, premio Nobel per la Medicina 2008 che, notoriamente scettico sulle vaccinazioni di massa, ammette come “la correlazione tra vaccini e autismo sia un problema mondiale, non solo europeo”.

Il rischio dunque, cari mujihaddin della siringa facile, esiste. Il teologùmeno farmacologico è incrinato. A chi, come me, non ha certezze ma solo ragionevoli dubbi basta questo. Simmetricamente, chi impone di vaccinare senza prima documentarci sui rischi impliciti di questa prassi, ma solo ricattandoci con la minaccia dell’esclusione scolastica (sebbene in Italia né i vaccini né la scuola siano obbligatori), sta ignobilmente giocando con la nostra buona fede e sta soprattutto calpestando il nostro diritto costituzionale a occuparci della salute dei nostri figli. Non sto dicendo che dobbiamo rifiutarci, ma solo pretendere di conoscere.

Perché, se il rischio c’è – e questi autorevoli pareri dimostrano che c’è – avremo anche due ulteriori grandezze da considerare: il premio per il rischio e il valore a rischio. E’ come quando giochi al Gratta e Vinci: il premio per il rischio è il montepremi, il valore a rischio sono i 5 euro che sborsi (il rischio è naturalmente la probabilità di sconfitta). Vuoi sapere se giocare o no? Semplice: moltiplichi il “premio per il rischio” per la probabilità di vittoria e confronti il risultato con il “valore a rischio” (occhio: nel confronto gioca un ruolo fondamentale la tua propensione al rischio, a sua volta influenzata dalla tua condizione economica di partenza).

Ora la domanda fattela tu: qual è il premio per il rischio di un esavalente? E qual è, soprattutto, il valore a rischio? Cosa senti, quando prima di addormentarsi i suoi occhietti si perdono nei tuoi? Dubbi o certezze?


Andrea Strozzi

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