Tutti i popoli hanno il diritto all’autodeterminazione, ma non è il momento di volere l’indipendenza curda
Ho incontrato Masud Barzani solo una
volta. Fu in occasione di un evento organizzato dal partito Giustizia e
Sviluppo (AKP) della Turchia nel settembre del 2012, a conclusione del
secondo mandato del presidente Recep Tayyip Erdogan a segretario
generale (le regole del partito impedirono di rimanervi per un terzo
mandato). Il capo del Partito democratico del Kurdistan dell’Iraq (KDP)
era uno dei tre ospiti della conferenza. Gli altri erano il presidente
egiziano Muhamad Mursi, appena eletto, e Qalid Mishal, capo dell’ufficio
politico di Hamas.
Tutti ospiti dei turchi, ma l’attenzione dedicata a
Bazrani era particolare, riflettendo il suo stretto rapporto personale e
familiare con Erdogan. Due del trio sono scomparsi dalla scena
politica. Mursi è stato deposto e imprigionato ingiustamente, ed è
dietro le sbarre con l’ergastolo. Il termine di Mishal è scaduto ad
aprile e Hamas ha scelto una nuova leadership; attualmente vive in
Qatar. È una questione aperta se anche Barzani subirà lo stesso destino,
dopo aver insistito nel tenere il referendum sull’autonomia curda
irachena, ignorando i tentativi internazionali e regionali di
persuaderlo od implorarlo ad annullare o rinviare il voto, per evitare
il peggio.
L’esito del referendum era indubbio da mesi. Il “Sì” prevale
tra gli elettori nella stragrande maggioranza, secondo tutti i sondaggi.
La grande incertezza è ciò che succederà il giorno dopo il referendum.
Tutti i segnali indicano che sarà un momento difficile ed instabile.
Data la reazione degli Stati vicini, alcuni dei quali vedono il voto
come dichiarazione di guerra, si potrebbe innescare una guerra le cui
prime vittime saranno inevitabilmente i curdi. I combattenti di Barzani
hanno combattuto con zelo senza precedenti contro lo Stato islamico e
centinaia sono stati uccisi nella battaglia per liberare Mosul.
Non era
nel loro interesse, ma su invito degli Stati Uniti in cambio della
promessa dell’eventuale indipendenza, anche senza un accordo. La guerra
allo Stato islamico ha unito parti contrapposte: curdi e arabi, turchi e
iraniani, statunitensi e russi, musulmani e cristiani, sunniti e
sciiti. Era il cemento che teneva insieme un’alleanza tra tutti
legandoli per circa quattro anni. La guerra si avvicina alla fine e
l’alleanza comincia rapidamente a disintegrarsi, forse per una guerra
regionale ancora più feroce. Le guerre hanno la tendenza a riprodursi e
replicarsi nel Medio Oriente, a cui è vietato essere stabile.
Barzani ha scelto il momento sbagliato per il referendum. Così ha unito i suoi vicini arabi, iraniani e turchi contro lui e il suo popolo. Inoltre, il Kurdistan iracheno non ha attualmente i vantaggi di un vero Stato. È senza sbocco e le sue frontiere non sono definite, il debito aumenta e il tesoro è vuoto, i dipendenti pubblici non sono pagati da mesi, la democrazia zoppica, o piuttosto non esiste, il suo mandato è scaduto due anni fa ed è dubbio che le prossime presidenziali, previste a novembre, avranno luogo.
Barzani ha sospeso il parlamento del Kurdistan
due anni fa, quando cominciò a fare domande su dove i ricavi regionali
del petrolio finissero e alcuni parlamentari chiesero che i suoi poteri
assoluti venissero temperati. Inoltre, la corruzione è assoluta ed
esistono forti differenze tra le regioni del Kurdistan iracheno:
l’enclave orientale di Sulaymaniya, controllata dall’Unione Patriottica
del Kurdistan di Jalal Talabani (PUK) e il feudo della dinastia Barzani,
ad Irbil.
I visitatori ad Irbil riferiscono che l’atmosfera è assai tesa. La stragrande maggioranza dei curdi vive una miscela di gioia e apprensione: la gioia per il referendum e la prospettiva di dichiarare l’indipendenza e l’apprensione sul futuro. Il blocco contro di loro è iniziato prima del voto, con Iran e Iraq che chiudono le frontiere terrestri e lo spazio aereo, Turchia e Iran che compiono esercitazioni militari congiunte e le Forze di mobilitazione popolare irachene accelerano le operazioni a Hauyja in modo da poter rivolgere l’attenzione su Qirquq, Qanaqin, Sinjar, pianura di Niniwa e altre aree controllate dai curdi fuori dall’area di competenza ufficiale del governo regionale del Kurdistan (KRG), togliendoli ai pishmarga. Il colpo serio si avrà quando la Turchia chiuderà l’oleodotto curdo, principale fonte di reddito del KRG.
I governi europei, i cui consigli a
rinviare il referendum sono stati ignorati da Barzani, hanno minacciato
di tagliare gli aiuti alla regione. Il Primo ministro iracheno Haydar
al-Abadi ha accusato Barzani di usurpare l’autorità statale e di
ribellarsi alle sentenze della Corte federale suprema che ha deciso che
il referendum era incostituzionale. Il premier turco Binali Yildirim ha
definito il voto una minaccia alla sicurezza nazionale del suo Paese.
Barzani ha ribattuto che l’Iraq è divenuto uno Stato settario piuttosto
che una democrazia, che l’indipendenza è l’unico premio per le madri dei
martiri curdi e che è pronto ad ogni eventualità.
Israele è l’unico Paese al mondo a sostenere apertamente il referendum e sollecita Barzani a dichiarare l’indipendenza. Col tempo sarà l’unico Paese a riconoscere lo Stato del Kurdistan. Questo potrebbe farlo assomigliare allo Stato turco-cipriota di Rauf Denktas, proclamato quattro decenni fa su Cipro settentrionale, ma che non ha ottenuto alcun riconoscimento internazionale.
La differenza nei due casi è che il
rivale greco-cipriota è debole e accomodante, e Grecia e Turchia sono
nella NATO. Lo Stato curdo, invece, sarà assediato da quattro potenze
regionali: Turchia, Iran, Iraq e Siria, che lo considerano preludio al
loro smembramento perché ospitano minoranze curde dalle stesse
aspirazioni all’indipendenza.
Ciò è stato riassunto da Nidhal Qablan,
ex-ambasciatore siriano in Turchia, quando osservò in un’intervista
televisiva che la Siria non consentirà la creazione di uno Stato
“sionista dai pantaloni bagnati” sul confine settentrionale, riferimento
al crescente sentimento separatista tra i curdi siriani, l’avanzata dei
combattenti delle forze democratiche siriane (SDF), sostenute dagli
statunitensi, su Dayr al-Zur, il sequestro di campi di petrolio e gas
nella regione e la partecipazione alle elezioni comunali nelle aree
occupate dai curdi in Siria quale preludio al voto parlamentare.
Non c’è
dubbio che iraniani e turchi la pensino allo stesso modo.
L’autodeterminazione è diritto legittimo di tutti i popoli. Ma risorse e
garanzie necessarie vanno attuate e la tempistica dev’essere
appropriata. Non credo che Barzani abbia fatto fatto bene i calcoli
prima di tale passo fondamentale nella storia della nazione curda. Il
referendum potrà apportare un’autonomia ‘teorica’ per i nostri fratelli e
sorelle curdi, ma potrebbe innescare una guerra etnica che si trascini
per decenni.
Quello che temo di più è che il destino dello Stato curdo
finisca ad assomigliare a quello dello Stato islamico, nonostante le
enormi differenze e le circostanze della loro nascita. Resta comunque il
fatto che l’alleanza riunitasi per sradicare il primo è in gran parte
impegnata a vincere la guerra ancor prima della sua nascita.
Abdalbari Atwan, Rai al-Yum
Il
26 settembre, varie figure di alto rango politiche e militari iraniane
esprimevano forte opposizione al referendum per l’indipendenza della
regione del Kurdistan iracheno, definendolo complotto israeliano ed
avvertendo delle conseguenze. La regione semi-autonoma del Kurdistan
dell’Iraq ha tenuto il referendum per l’indipendenza il 25 settembre. Il
presidente del Kurdistan Masud Barzani ha ignorato gli appelli
internazionali contro il referendum. Ali Akbar Velayati, consigliere del
Leader supremo, dichiarava che “il caos politico” in Medio Oriente sarà una delle conseguenze del referendum, “I curdi sicuramente abbatteranno Barzani prima che lo faccia il governo iracheno“.
Velayati notava che Stati Uniti e regime sionista d’Israele sono
responsabili della decisione di Barzani. L’Iran insiste sull’integrità
territoriale dei Paesi regionali, come l’Iraq, rilevava Velayati.
Tuttavia, definiva il referendum “inconsistente” e privo di “risultati positivi“.
“L’Iran non accetterà la divisione dell’Iraq”
Il Presidente del Majlis Ali Larijani affermava che l’Iran “non
accetterà” la divisione dei Paesi regionali tra cui l’Iraq e ha detto
che Teheran sarà col governo centrale iracheno, aggiungendo che la
separazione del Kurdistan causerà una nuova crisi in Iraq e che la
disgregazione dei Paesi regionali è una “politica israeliana” contraria
agli interessi di qualsiasi gruppo etnico.
L’Iran contro la disgregazione dei Paesi regionali: Ministro della Difesa
Il Ministro della Difesa Amir Hatami affermava che l’Iran è contrario a
qualsiasi mossa per disintegrare i Paesi regionali e modificarne i
confini geografici. Durante la riunione con l’ambasciatore turco a
Tehran, Riza Hakan Tekin, Hatami dichiarava che la politica principiale
dell’Iran è rispettare la sovranità nazionale e l’integrità territoriale
dei Paesi.
‘Il referendum è un complotto destinato a favorire nuove crisi’
Mohammadi Golpayegani, capo dello staff dell’ufficio del Leader supremo,
affermava che il referendum sull’indipendenza nel Kurdistan iracheno è
un complotto sionista destinato a favorire nuove crisi dopo la fine
dello SIIL in Iraq. “Si sia sicuri che si tratta di un complotto del
regime sionista, ora che lo SIIL sparisce e dopo che il capo della
forza al-Quds, Generale Sulaymani, annunciava che presto celebreremo la
fine dello SIIL“, osservava Mohammadi. “Ora hanno creato un nuovo problema nella regione“, e avvertiva che “il referendum e relative questioni causeranno molti problemi ai curdi e ai Paesi limitrofi”.
Un generale iraniano definisce il referendum “complotto sionista”
Il Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate iraniane, Maggiore-Generale
Mohammad Hossein Baqeri, accusava il regime sionista di orchestrare il
referendum sull’indipendenza nel Kurdistan iracheno. Il regime sionista
d’Israele e l’arroganza globalista sono dietro il referendum, affermava.
Il Maggiore-Generale Yahya Rahim Safavi, consigliere militare di primo
piano della rivoluzione islamica, definiva il referendum nuovo complotto
statunitense-israeliano nella regione. “Dopo la sconfitta dello
SIIL in Siria e in Iraq, il referendum nel Kurdistan provocherà
l’escalation delle tensioni nella regione“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
https://aurorasito.wordpress.com/2017/09/27/il-referendum-del-kurdistan-e-un-complotto-israeliano/
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