Ai miei tempi l’immunologia non esisteva.
Dico ai miei tempi intendendo quando studiavo medicina, anni ‘70. Ora sono
appena andato in pensione (come docente, mentre continuo a fare ricerca in
università).
Quando mi sono iscritto all’Università di Trieste, nessuno insegnava
Immunologia, la disciplina proprio non esisteva.
L’anno in cui mi sono laureato (1976) in alcune università cominciavano a dare i
corsi.
Cosa è
successo? I sistemi di difesa dalle malattie, fino ad allora, erano di
competenza della Patologia Generale (la “MIA” materia), quella disciplina che
per vocazione indaga le cause e i meccanismi delle malattie e delle reazioni ad
esse.
Poi, alcuni patologi generali hanno capito che antigeni, anticorpi e linfociti
erano un argomento “emergente” e vi ci sono buttati a tuffo, sviluppando una
nuova branca, che presto si è resa autonoma.
Come si sa, l’università genera cattedre ed è sempre in evoluzione. Nulla di
male, anzi.
Ma quello che qui interessa è il “successo” dell’Immunologia e il contemporaneo
“declino” della Patologia generale.
Quest’ultimo presto si spiega: la Patologia Generale è una materia
difficilissima perché ha a che fare con la complessità dell’organismo visto come
un “sistema” ed è costretta, però, ad un approccio sperimentale riduzionista e
per questo dedicato ai dettagli.
Altrimenti non si pubblica e non si fa carriera, visto che ai concorsi “pesano”
più il numero dei lavori fatti che la qualità (tirando un velo pietoso sugli
altri "requisiti" necessari per vincere un concorso universitario).
Mangiata la foglia, i patologi si sono buttati a gruppi in settori molto più applicativi e quindi remunerativi in termini di pubblicazioni e di cattedre: oncologia, patologia molecolare, tossicologia, patologia clinica o, appunto, immunologia.
L’Immunologia era nata in realtà alla fine del Settecento con gli esperimenti di
Jenner (in Cina molto prima!), ma era rimasta come “prassi” piuttosto che come
“scienza” finché la chimica del Novecento non consentì di scoprire gli
“Anticorpi”.
Ecco il primo grande successo mediatico: trovare un bel nome per un nuovo meccanismo. Un nome facile da capire e da diffondere. E un nemico da combattere: gli “Antigeni”.
Nel successo di una teoria medica, come in quello di un prodotto commerciale, pesa moltissimo l’immagine che ne viene fornita.
Poco conta se la teoria sta in piedi o il prodotto vale, quel che conta è l’immagine. Gli “anticorpi” erano diventate le armi del nostro corpo che ci proteggono dal “nemico”, il batterio o il virus.
Poco conta che lo stesso Pasteur aveva messo in guardia: “il microbo è molto, ma il terreno è tutto”: tale concetto ovvio a dirsi era difficilissimo da mettere in pratica dai patologi.
Costoro, come me, si sono dedicati a studiare i meccanismi di base con cui i leucociti uccidono i microbi, ma è veramente un settore poco... remunerativo!
Meglio prendersela col microbo, anche con l’aiuto delle case farmaceutiche molto “prolifiche”.
Qualche
successo pratico ovviamente ci voleva ed era facilmente dimostrabile con
antibiotici e, in immunologia, con i sieri e i vaccini.
Poi sono venuti i “Linfociti killer”, le “Citochine”, le “Allergie” e via dicendo. Tutti campi in cui l’Immunologia ha guadagnato la sua grande popolarità e la sua fetta di “consumatori”.
Tutte parole magiche che spiegavano e
divulgavano il verbo della altrimenti arcana scienza moderna.
Come non credere che se troviamo il mezzo di aumentare gli anticorpi saremo protetti da tutte le malattie?
Certo, molti problemi clinici, se non tutti, coinvolgono il sistema immunitario e quindi la figura dell’immunologo o allergologo diventa preziosa (anche se “stretta” da altre figure specialistiche come il laboratorista, il dermatologo, il reumatologo ecc...).
Per restare
sui vaccini, argomento della attualità, il campo si è dimostrato talmente
appetibile da attrarre persino figure di scienziati diverse, che prima non se ne
erano mai occupate, come i... virologi!
Questi avrebbero dovuto occuparsi dei fatti loro (capire i virus e le loro caratteristiche positive e negative nella evoluzione umana) ma a stare solo nei laboratori è faticoso e, a meno che non si faccia il bingo di una nuova grande scoperta da Nobel (esempio l’HIV), non si ricava molto.
Quindi i vaccini sono il nuovo business degli immunologi, dei virologi e della farmacologia (il servizio regionale di sorveglianza del Veneto è gestito da immunologi e farmacologi).
I poveri medici di base, che fanno un lavoro già di per se difficile, non sono degli scienziati (checché se ne dica) e devono attenersi a quel poco che ricordano dalle lezioni universitarie e “credere” alle società scientifiche che con periodici proclami passano loro il “verbo scientifico”, invero un poco annacquato e semplificato.
Purtroppo, o per fortuna, la Natura non si lascia facilmente incanalare negli slogan e nei giochi di parole o di potere. E la Scienza, quella vera, ha sviluppato l’immunologia scoprendo che gli anticorpi non sono così “buoni” come si pensava e che il nostro corpo, proprio per questo, produce SEMPRE degli anticorpi anti-anticorpi, per controllare il pericolo di ogni eccesso!
Poi ha
scoperto che non ci sono solo i linfociti “killer” ma ci sono anche quelli “Helper”,
“Soppressori” e mille altri tipi diversi che fanno cose diverse.
Poi ha scoperto l'autoimmunità e che buona parte delle malattie del mondo
moderno riconoscono come meccanismo patogenetico una eccessiva attivazione del
sistema immunitario (e della infiammazione).
Poi ha scoperto che gli adiuvanti sono necessari per far funzionare i vaccino ma
sono anche usati come benzina sul fuoco in precedenti focolai infiammatori
dovuti a molte altre cause.
Ma i medici, poveretti, ormai non ci capiscono molto e sono costretti a
rivolgersi alla “medicina basata sulle prove di efficacia”; il che significa
(semplificando): “se un farmaco funziona statisticamente più di un placebo,
inutile chiedersi perché funziona, quello si deve dare” a tutti, pena gravi
sanzioni legali.
E quindi: giù cortisone, giù antibiotici, giù antivirali, giù anti-TNF, farmaci
di "nuova generazione", che funzionano sempre meglio di quelli vecchi e meno
costosi.
Guai
dubitare della “Scienza”, la quale però timidamente alza la manina e dice: la
prova di efficacia su popolazioni omogenee di malati non trova applicazioni
facili nella pratica dove le persone sono vere, diverse, e non cavie.
Se poi ci si mettono di mezzo gli Ordini dei Medici, che in realtà non hanno alcuna competenza scientifica, a dettar legge e minacciare espulsioni, allora si capisce come i poveri medici siano poco inclini a riprendere criticamente le nozioni di base di immunologia e di farmacologia, così difficili.
E poi, i dubbi sono sciolti (anche) dal fatto che medici di medicina generale e pediatri sono specificamente remunerati per l’attività vaccinale e sono controllati dal “sistema sanitario nazionale” che sa esattamente quanti vaccini somministrano.
Se ne fanno pochi, rischiano di passare per famigerati anti-vax.
A questo
punto la storia si complica quando entrano in gioco la politica, la finanza e
l'“informazione”: la gente, che paga cospicue tasse, vuole protezione, vuole
certezze, vuole sicurezze.
Bisogna sfruttare i vaccini! I nostri eroi al potere, ex rottamatori, partono con la campagna per rassicurare che lo stato “c’è” e per salvare posti di lavoro.
L’"informazione" viene quindi mobilitata da una parte per instillare paure di
epidemie disastrose, dall’altra per far credere che la “Scienza” non sia
"democratica" (sic) e che quindi gli oppositori tra la gente, che sospettano
istintivamente l’inganno e cominciano a capire cosa ha mosso tutta la manovra
(qui mi fermo per non sembrare un complottista), siano dei poveri ignoranti, o...
politicamente di destra. Si diffonde, persino negli autogrill, un famoso libro
con l'opinione che il vaccino non è un'opinione, altrimenti presentato come
l'illuminato parere di un futuro premio Nobel.
Si annunciano in TV duecento morti di morbillo in Inghilterra (mai esistiti), i tre poveri morticini italiani da morbillo (contagiati in ospedale, morti non di morbillo ma di altre malattie complicate naturalmente da un’infezione) sono esibiti come trofei ai politici in Senato, pronti a votare secondo ordini di scuderia (in giugno persino si riesuma la notizia di un morto di aprile). Si diffonde la voce che per la pertosse non c’è cura.
Si riportano sui mass-media 18.000 (diciottomila) morti di influenza, “nonni” che sarebbero morti perché non si sono vaccinali.
Si inventa una nuova parola: il fatidico “gregge”. Parola magica che dovrebbe far capire ancora meglio che chi si rifiuta di vaccinarsi fa il male del popolo. Senza la benché minima prova che la soglia di copertura proclamata (95%) sia valida e applicabile ai 14 vaccini lorenziniani (10 obbligatori e 4 “raccomandati”).
Persino
Grillo per un po’ viene imbambolato. Ma tant’è: anche se la scienza non è
democratica, il gregge deve essere riguardato dai nostri politici democratici.
Si inventano pericoli provenienti dall’immigrazione, quando basterebbe controllare meglio gli immigrati.
I medici dubbiosi sono effettivamente minacciati o radiati, i vaccini sono imposti per legge, e chi non si adegua è reietto dalla società di cui la scuola è l’emblema più progredito.
I bambini sani non vaccinati sono considerati degli untori, quelli vaccinati che dovrebbero starsene a casa per non infettare gli altri, invece col loro bravo certificato entrano trionfalmente in classe.
Il tutto senza uno straccio di prova scientifica che di questi vaccini ci sia veramente bisogno, oggi, in Italia.
E che siano efficaci per lo scopo che si propaganda.
Questo è un frammento della storia della medicina italiana. Historia magistra vitae. Detto in altri termini: la storia insegna, se ben studiata, ad apprezzare i progressi e non ripetere gli errori.
Post
scriptum. Ho sempre insegnato anche l'immunologia e che i vaccini sono utili e
necessari. Per la cronaca, i dubbi mi sono venuti quando gli Ordini hanno
inquisito dei colleghi che avevano perplessità sui vaccini indiscriminati.
Allora ho cominciato a ri-studiare l'argomento...
Prof.
Paolo Bellavite
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