Il decreto legge
sul femminicidio approda (oggi) alla Camera per la sua approvazione. Sul
tavolo, il pacchetto di nuove norme varate d’urgenza dal governo che
prevedono pene più severe (arresti in flagranza, querela irrevocabile,
aggravanti per coniuge e compagno anche non conviventi, etc.) per
contrastare l’ondata di delitti, praticamente uno ogni tre giorni, che
dall’inizio dell’anno hanno una donna come vittima.
Sul fenomeno - omicidi efferati, dunque particolarmente odiosi e inaccettabili in un contesto civile - si sono mobilitati in tanti.
Peccato che in tanta mobilitazione sia mancato l’elemento più importante
sul piano dell’informazione, e cioè i dati.
Il ministero
dell’Interno, che sarebbe il primo deputato a fornirne, non ne ha. Il
chè è già un dato preoccupante. Quei pochi che ci sono provengono o da
data-base giornalistici, o dall’Istat (ma sono fermi al 2009), o da
qualche istituto di ricerca indipendente come l’Eures. Pochi ma buoni?
Se sì, è sorprendente come i dati a disposizione dicano cose diverse da
quella che è la percezione del fenomeno. Nel senso che, nonostante
quello che possa far supporre l’amplificazione data dai media, non è
assolutamente vero che il 2013 (81 le vittime dall’inizio dell’anno fino
a oggi) sia una sorta di anno record per quanto riguarda i femminicidi.
Né che questi
ultimi siano in qualche misura aumentati rispetto agli anni scorsi. Dai
giornali, difatti, si apprende che nel 2012 le donne uccise in Italia
(nel 75% dei casi dal partner o dall’ex partner, e al 63% fra le mura di
casa) sono state 124, e 137 nel 2011. Secondo l’Istat, le cui
statistiche coprono il periodo dal 1992 al 2009, i femminicidi sono
passati da 186 (1992) a 131 (2009), il che farebbe pensare a un fenomeno
addirittura in calo.
In realtà non è
nemmeno così, perché nel periodo sono presenti oscillazioni che, secondo
l’Eures, vanno da 98 (i minimi storici di delitti verificatisi nel 2005
e nel 2007) ai 199 del 2000, anno record in negativo dell’ultimo
ventennio. Insomma, a spanne i dati indicano che si tratta di un
fenomeno costante nel tempo, e con una media che si attesta più o meno
sui 120 casi l’anno, dunque 10 al mese. Ossia circa dieci volte di meno
delle donne suicide o dei morti sul lavoro, per arginare i quali non
risultano provvedimenti legislativi in arrivo.
Detto della
differenza fra i fatti e la loro percezione - fenomeno sociologicamente
tutt’altro che nuovo quando si ha a che fare con il tam-tam di giornali
e tv - dai dati reali arriva un’altra fragorosa smentita, e cioè
l’analisi secondo cui alla base dell’ondata di femminicidi nel nostro
paese ci sia il maschilismo degli italiani. Frutto, sempre secondo la
vulgata, non solo di mamme iperprotettive o castranti, ma più in
generale di una società maschilista (la pubblicità osèe, la donna
oggetto, le discriminazioni sul lavoro) ancora imbevuta di quella
non-cultura per la quale per esempio fino al 1981 era ancora valido nel
nostro codice penale il delitto d’onore che di fatto “derubricava”
l’uccisione del partner fedifrago con pene da 3 fino a un massimo di 7
anni (praticamente come dare fuoco a uno scooter…).
Oddio, il
discorso in generale è vero, se è vero che sono un milione e mezzo le
donne italiane che hanno denunciato violenze dei loro partner, e che
secondo magistratura e forze dell’ordine rappresenterebbero solo la
punta dell’iceberg (il 6-7%) delle violenze di genere. E’ anche vero
però che se paragoniamo l’Italia con gli altri paesi europei, i dati
dicono un’altra cosa. E cioè che si uccidono molte più donne in Francia,
in Germania e anche nella Svezia culla dell’emancipazione femminile.
Secondo l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, difatti in
Germania negli anni Ottanta i femminicidi erano il doppio che in
Italia. Mentre il paese europeo dove si ammazzano più donne è di gran
lunga sapete chi? La Finlandia, in media 4-5 volte più che da noi. E
dove, sempre in proporzione al numero degli abitanti, vantano anche il
poco esaltante record europeo degli omicidi maschili. Dal che si deduce:
o il maschio italiano non è affatto maschilista. O, se lo è, lo è meno
dei suoi colleghi europei
Furio
Stella
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