Nella notte di lunedi scorso, un container pieno di materiale nucleare, scortato da 300 agenti
delle forze dell’ordine, ha viaggiato dal centro Itrec di Trisaia di
Rotondella (Matera) fino all’aereoporto militare di Gioia del Colle
(Bari). L’operazione ha allarmato la popolazione, sollevato le proteste
degli ambientalisti e provocato interrogazioni parlamentari targate Movimento 5 Stelle, SEL, PD e PdL. La vicenda ha riacceso l’attenzione sul tema della gestione delle scorie nucleari, in un territorio che qualche anno fa era stato scelto per ospitare il Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi.
L’operazione di Trisaia.
300 agenti
per scortare un container. Un simile cordone di sicurezza non poteva
passare inosservato, anche muovendosi di di notte. Il convoglio, partito
dal centro Itrec di Trisaia, deposito di materiale nucleare, si è dileguato all’interno dell’aereoporto militare di Gioia del Colle. Cosa contenesse, di preciso, non è dato saperlo. Massima segretezza, dunque, che la popolazione e gli ambientalisti hanno interpretato come poca trasparenza.
Così la vicenda è arrivata fino in Parlamento, con interrogazioni
bipartisan a cui la stessa Presidenza del Consiglio si è impegnata a
rispondere. Intanto la Sogin, società che si occupa di bonificare i siti nucleari italiani e che ha curato il trasporto, respinge qualsiasi accusa di scarsa informazione. Una nota motiva così l’operazione contestata: “si è trattato di rimpatrio, negli Stati Uniti, di materiali nucleari sensibili nell’ambito dell’Accordo internazionale tra USA e Comunità Europea dell’Energia Atomica”. E’ giallo sul tipo di materiali.
Le barre di Elk.
Secondo alcuni potrebbe trattarsi delle “barre di Elk”, ovvero 64 elementi di uranio-torio, provenienti dagli USA
(Minnesota) e arrivati ad Itrec tra il 1969 ed il 1971, quando il
centro era stato appena costruito, per essere impiegati in esperimenti
di nucleare pacifico. Dal 1987, però, giacciono inutilizzati, per via
dell’effetto del referendum sul nucleare, e la Sogin, che ha il compito
di bonificare il deposito, ne sta programmando il rientro in america.
L’operazione di lunedi notte era solo la prima fase di questo rimpatrio?
Non è detto, visto che il comunicato della Sogin è molto generico.
La partenza delle “barre di Elk” per gli Stati Uniti verrebbe accolta
con favore dalla popolazione, perciò, se davvero fosse stato quello il
contenuto del convoglio, tanta prudenza nell’annuncio apparirebbe
inspiegabile. Ma se dentro il container non c’erano le famose barre,
cosa c’era? Ad oggi nessuno sembra voler o poter dare una risposta.
Le paure dei cittadini.
Il caso del
“container misterioso” ha creato allarme tra la popolazione perchè è
andato a toccare un tema particolarmente sensibile per la Basilicata. Nel 2003, infatti, una ex-saliera nei pressi di Scanzano Jonico era stata identificata dal governo italiano come ideale per realizzarvi il Deposito Nazionale dei Rifiuti Radioattivi.
In pratica tutte le scorie presenti in Italia sarebbero state
convogliate lì. Il progetto, come era prevedibile, incontrò la ferma
resistenza degli abitanti della zona, che riuscirono a bloccarlo.
La questione, però, è rimasta un nervo scoperto pronto a far male, e
non solo in Basilicata. Ancora oggi, infatti, a 25 anni di distanza dal
referendum che bandì le centrali nucleari, l’Italia conta 4 ex centrali che custodiscono materiale pericoloso: Trino Vercellese (Piemonte), Caorso (Emilia Romagna), Latina (Lazio) e Garigliano (Campania). Ci sono poi altri due siti di stoccaggio delle scorie, oltre a quello di Trisaia: Saluggia (Piemonte) e Casaccia (Lazio). Senza contare i luoghi dove è stato riscontrato inquinamento radioattivo dovuto a fattori diversi.
Come a Salto di Quirra, località sarda dove la presenza di scorie
sarebbe dovuta alle armi in uso nel vicino Poligono di Tiro Interforze.
L’Italia, quindi, è ancora lontana dal potersi dire davvero denuclearizzata.
Francesco Rossi
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