Il
calo del prezzo del petrolio, iniziato quando lo Stato islamico (SI) ha
attaccato Iraq e Siria, non può essere spiegato con fattori economici.
Il mondo sa da tempo che il mercato reagisce ad ogni guerra in Medio
Oriente, dove il 47 per cento delle riserve di oro nero mondiali si
concentra, con un deciso balzo dei prezzi del petrolio. Questo è ciò che
è accaduto nelle due guerre nel Golfo Persico, ed anche ciò che è
successo quando gli statunitensi iniziarono la ‘missione per
ripristinare la democrazia’ in Afghanistan. E la speculazione su un
possibile conflitto militare tra Stati Uniti ed Iran fu accompagnata
dalla previsione di un aumento dei prezzi del petrolio fino a 200
dollari al barile e oltre. Allo stato attuale, tutto s’è capovolto, ma
per quanto?
Quando fu invaso l’Iraq a giugno, le quotazioni di borsa del
petrolio inizialmente salirono, passando da 109 a 115 dollari al barile
tra il 10 e il 19 giugno, ma poi la mano invisibile del mercato sembrò
improvvisamente perdere forza. I successi militari dello Stato islamico
nei teatri di guerra siriano ed iracheno furono caratterizzati dal calo
dei prezzi del petrolio al minimo dal novembre 2010, ed ulteriori
riduzioni del prezzo si sono registrati ad ogni nuova attività militare
in Medio Oriente. L’aumento degli attacchi aerei contro obiettivi in
Siria e Iraq da parte della rappattumata coalizione degli USA e
l’afflusso di informazioni sui piani dello SI per invadere Libano e
Giordania hanno comportato il calo del prezzo dell”oro nero’.
E al
momento dei più intensi attacchi aerei statunitensi sulle posizioni
presso la città siriana di Kobani (più di 50 attacchi aerei effettuati
in 48 ore il 15-16 ottobre), il prezzo di un barile è anche sceso sotto
il livello degli 85 dollari. La nuova teoria del ‘complotto’ petrolifero
tra Stati Uniti ed Arabia Saudita contro la Russia (e forse anche
l’Iran) ha forte presa su molti analisti. Per il momento si tratta
prevalentemente di congetture. Ma poi il punto delle cospirazioni è che
sono difficili da scoprire, se la cospirazione in effetti c’è. Nel
complesso, la messa a fuoco antirussa delle possibili speculazioni
saudita-statunitensi sul calo delle quotazioni del petrolio è evidente.
Va anche ricordato, però, che in questo momento la squadra del premio
Nobel per la pace Barack Obama non solo rappattuma una nuova coalizione
militare fornendo ordini al complesso militare-industriale statunitense,
ma anche si prepara alle elezioni di medio termine al Congresso del 4
novembre, i cui risultati potrebbero chiarire la possibilità di un
‘cambio della guardia’ alla Casa Bianca, nell’autunno del 2016. Le
teorie della cospirazione statunitense-saudita portano anche l’idea che i
prezzi del petrolio crollarono nelle ultime elezioni negli Stati Uniti,
ed anche questa volta non vi sono ragioni economiche.
Sembra che la storia si ripeta. Obama e i suoi avversari repubblicani cercano di conquistare la simpatia degli elettori. Per gli statunitensi, i prezzi bassi della benzina sono molto più importanti della politica estera del governo. L’accessibilità dei prezzi dei prodotti petroliferi deve sedurre non solo le famiglie statunitensi, ma anche stimolare gli affari. La posta in gioco per i democratici e Obama personalmente, nelle elezioni di medio termine, é relativamente elevata. Se i repubblicani prendono il controllo del Congresso, l’attuale inquilino della Casa Bianca sarà un’anatra zoppa nei due anni fino alle prossime elezioni presidenziali.
Il campanello d’allarme per i democratici suonava quattro
anni fa, alle precedenti elezioni di medio termine del Congresso,
quando i membri del partito di Obama, che fino a quel momento
controllava la fiducia delle camere del Congresso, persero il vantaggio
nella Camera dei Rappresentanti dopo avervi perso 63 seggi, assieme a 6
seggi al Senato. Fu la peggiore perdita di voti, per un partito di
governo alle elezioni di medio termine, dal 1938. Un’intesa tra Stati
Uniti e Arabia Saudita sulla regolamentazione dei prezzi del petrolio
utilizzando leve non economiche è assai probabile. Tuttavia, Washington
sa che non dovrebbe allargarsi troppo, non solo per motivi economici,
quando il petrolio di scisto viene estratto dai giacimenti nordamericani
rovinando le aziende interessate per l’alto costo della sua produzione.
Per gli Stati Uniti è più importante che la Cina sia uno dei principali
beneficiari del ribasso del mercato petrolifero. Gli statunitensi
vogliono davvero accelerare da sé l’arrivo del momento in cui la Cina
sarà l’economia globale leader, con tutte le conseguenze geopolitiche
che ciò implica? Oppure sono così ossessionati dall’idea di punire la
Russia che la loro politica del contenimento della Cina ha perso ogni
urgenza? Né l’uno, né l’altro. Sembra che dopo le elezioni del
Congresso, l’amministrazione di Obama perderà gran parte della
motivazione a giocare sul ribasso dei prezzi nel mercato del petrolio.
Tanto più che con l’avvicinarsi della stagione invernale, supportare
tale speculazione sarebbe eccessivamente costoso.
A lungo termine, le manipolazioni politiche dei prezzi del petrolio potrebbero anche causare gravi problemi al secondo presunto cospiratore. L’Arabia Saudita ha sulle spalle la maggior parte della spesa per la lotta allo Stato islamico. Finanzia l’addestramento della cosiddetta opposizione moderata siriana nella speranza che, col tempo, riesca a rovesciare il regime di Bashar Assad con la forza. Riyadh finanzia anche l’importazione di armi nella regione (contratti con Francia e Libano per 3 miliardi di dollari). La prima monarchia del Golfo Persico ha anche l’onere dei propri problemi interni dovuti alla necessità di controllare la crescita del radicalismo tra i sauditi tramite programmi sociali miliardari. Tutto ciò richiede denaro. Ma non vi è alcuna garanzia che la petromonarchia riceva quanto è necessario dai prezzi recentemente istituiti nel mercato petrolifero.
Mikhail Aghanjanjan Strategic Culture Foundation
La ripubblicazione è gradita in riferimento al giornale on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/10/24/le-manipolazioni-politiche-del-prezzo-del-petrolio/
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