Al momento la lotta contro il gruppo “Stato islamico”
in Iraq e in Siria è costata agli USA e ai paesi della coalizione 424
milioni di dollari. I costi giornalieri ammontano a 7,5 milioni di
dollari. Risulta essere un affare assai dispendioso per l’Occidente
scosso da cataclismi socioeconomici. Intanto la guerra contro lo “Stato
islamico” non finisce. Non solo, ma gli islamisti operano sembre più
efficacemente, fa notare il politologo Stanislav Tarasov:
I combattimenti si svolgono in due direzioni, ossia in direzione siriana e in quella irachena. Si è formato di fatto un fronte unico. Potenzialmente nella zona di ostilità possono essere coinvolte anche regioni confinarie della Turchia. A condurre l’operazione terrestre contro gli islamisti sono soltanto le formazioni curde. In parte ai combattimenti partecipano i guerriglieri del Partito del lavoro del Kurdistan ritenuto terroistico in Turchia.
Lo
“Stato islamico” (IS) controlla adesso circa una metà dell’Iraq e un
terzo della Siria. Si tratta di un immenso territorio. È da notare che
il potenziale degli islamisti è ancora abbastanza grande. Le formazioni
dell’IS, che contano fino a 50 mila uomini, conducono le operazioni
militari in modo qualificato. Giocano abilmente anche le carte
politiche. Ancora di recente l’Occidente e la Turchia consideravano l’IS
la principale forza d’attacco contro Damasco. Ma l’IS ha vinto il gioco
contro la coalizione antisiriana. Adesso l’Occidente usa tutte le forze
per mettere su una coalizione antiislamica, per trovare una tattica e
una strategia efficaci.
Il Pentagono ha riconosciuto che
una piccola parte dei carichi poteva essere finita nelle mani dei
terroristi dell’IS. Ma ha espresso la speranza che il grosso sia
arrivato a “persone giuste”. In altre circostanze tale situazione
sembrerebbe ridicola. Ma per i curdi che difendono Kobani questo non è
il momento di ridere. Gli esperti hanno la sensazione che gli USA non
riescano a stabilire i propri obiettivi e compiti in questa regione.
Stanislav Tarasov dice:
In questo momento gli americani hanno nel Medio Oriente un contingente militare di 150-170 mila uomini. Vi è concentrata un’infrastruttura bellica molto seria. Intanto gli esperti del Pentagono dichiarano che l’IS non può essere sconfitto senza un’operazione terrestre. Se gli USA e i loro alleati si decidessero a fare tale passo, l’operazione in grande stile occuperebbe al massimo due o tre settimane. Tuttavia gli americani si astengono per il momento da tale mossa. Annunciano altri termini per poter sconfiggere l’IS, ossia due o tre anni. Vi è di più: imbastiscono una coalizione variegata dicendo agli alleati che bisogna prepararsi ad una guerra duratura. Perché lo fanno? Gli americani sostengono che il bersaglio principale sia lo “Stato islamico”, mentre la Turchia lo vede in Bashar Assad.
I
partecipanti della coalizione si approfitteranno indubbiamente
dell’occasione per smantellare il regime di Assad. Ma quale dei due
bersagli – Assad o “Stato islamico” – ritengono prioritario nell’attuale
fase? Se lo sono nonostante tutto gli islamisti, l’Occidente potrebbe
desistere dalla dottrina dell’esportazione della democrazia e prendere
Damasco almeno come compagna di strada se non come alleata. Ciò
ridurrebbe le spese e salverebbe la vita dei soldati delle truppe della
coalizione. Non solo, ma tale mossa quadrerebbe bene con i valori
fondamentali che la Casa Bianca ama tanto difendere in tutto il mondo.
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