giovedì 20 novembre 2014

In Europa tramonta il sogno dello shale gas

In Europa tramonta il sogno dello shale gas

La rivoluzione dello shale gas in Europa si è arenata. Le grandi società si ritirano dai progetti, mentre gli esperti dicono che l’Europa deve quanto prima ristabilire i rapporti con Mosca.

Il gas da scisto in Europa non ha funzionaro: troppo alti sono i costi e troppo grandi i rischi. Le multinazionali stanno chiudendo i lavori. L’ultimo esempio è l’americana ExxonMobil che ha dichiarato che l’estrazione in Polonia non è redditizia, nonostante che in Europa porprio la Polonia abbia i giacimenti di shale gas più grandi. Quindi, niente rivoluzione. Dice il direttore del Dipartimento analitico del Fondo per la sicurezza energetica nazionale, Aleksandr Pasechnik:
Coloro che, teoricamente, erano interessati a questo tipo di progetti, hanno perso il loro ottimismo quando è iniziata la perforazione. Ci ha contribuito anche la dinamica dei prezzi petroliferi. Tra alcuni mesi cominceranno a calare anche i prezzi del gas, mentre l’estrazione di shale gas ha costi molto alti, tanto più in Europa.
Gli europei volevano seguire il modello americano, ma occorre capire che non hanno né i territori degli USA, né i loro macchinari o aziende chimiche che consumano molte componenti di shale gas. Pertanto il scisto europeo è un’utopia.
Non è la prima volta che i progetti in Europa finiscono con un nulla di fatto. Nel 2009 la Exxon aveva già rinunciato ai lavori in Ungheria, dopo aver speso 75 milioni di dollari, perché nei pozzi c’era più acqua che gas.

Dei problemi legati ai pozzi perforati in Polonia si era cominciato a parlare ancora all’inizio dell’anno, ma Exxon non aveva fretta di chiudere i suoi progetti nell’Est europeo. Allora il presidente della società di consulenza americana Brookshire Advisory & Research, con sede a Chicago, Gianna Bern, diceva che l’insuccesso di Exxon dimostrava che l’estrazione di shale gas in Polonia poteva diventare una sfida singolare portando all’aumento dei costi e ai ritardi. Alla fine però i romantici hanno perso: il progetto polacco, e con esso il sogno dell’indipendenza da scisto, si è frantumato. Una situazione analoga la possiamo vedere ovunque in Europa. Spiega Anna Kokoreva, analista della società “Alpari”:
Quello da scisto è un gas difficile in tutti i casi, persino quando i prezzi del petrolio sono alti. Ora che i prezzi sono andati giù, il margine è diventato ancora più stretto. Sin dall’inizio le prospettive dello shale gas in Europa erano molto incerte. Prima o poi si doveva rivedere i programmi, perché i costi sono troppo alti. Non solo i costi finanziari, ma anche quelli ecologici. In particolare, la tecnologia di estrazione prevede il consumo di grandi quantità di acqua che in Europa scarseggia. Per questo motivo, per esempio, la Cina non inizia l’estrazione del suo shale gase, sebbene vi siano stati scoperti parecchi giacimenti.
In un certo senso gli americani hanno ingannato le speranze dei polacchi, ai quali avevano promesso 5 miliardi di metri cubi di gas che, teoricamente, si potevano estrarre in Polonia. In seguito questa cifra è stata ridotta a 500 miliardi di metri cubi, ma anche con questa quantità, premesso che sia effettivamente disponibile, il paese difficilmente potrà diventare un esportatore di gas. Nel miglior dei casi la Polonia potrebbe soltanto ridurre la sua dipendenza dal gas russo, perché dei 14 miliardi di metri cubi, che i polacchi consumano annualmente, due terzi sono forniti da Gazprom.

In tal modo, la rivoluzione dello shale gas, promessa dagli americani, era solo un’esca politica. L’Europa è stata semplicemente ingannata. Proprio per questo motivo gli analisti seri consigliano agli europei di non rinunciare alla Russia se vogliono garantire la sicurezza energetica del continente.


Serghei Duz 



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