Con il recente attacco alla polizia in Myanmar da parte di terroristi descritti da Reuters
come “ribelli musulmani” e il continuo terrorismo che affligge le
Filippine dove le forze sono impegnate contro i terroristi del
cosiddetto “Stato islamico”, sembra che il terrorismo si sia diffuso nel
Sud-Est asiatico senza segni di declino. Tuttavia, le improvvise
violenze avvengono nel momento in cui il cosiddetto “perno sull’Asia”
degli USA è sospeso, fornendo agli Stati Uniti un pretesto conveniente
per ristabilirsi nella regione in un modo molto più insidioso.
Gli USA
volevano una presenza militare nel sud-est asiatico da decenni, ma
mancava un pretesto, finora gli Stati Uniti hanno apertamente cospirato,
per decenni, per stabilire e ampliare una presenza militare permanente
nell’Asia sudorientale per affrontare, circondare e contenere la Cina.
Sin dalla guerra del Vietnam, coi cosiddetti “documenti del Pentagono”
rilasciati nel 1969, si capì che il conflitto era semplicemente parte di
una strategia volta a contenere e controllare la Cina. Tre citazioni
importanti da questi documenti lo rivelano, dichiarando innanzitutto
che:
“...la decisione di febbraio di bombardare il Vietnam settentrionale e l’approvazione di luglio della fase I dello schieramento hanno senso solo se sostengono una politica a lungo termine per contenere la Cina“.
Sostenevano inoltre: “La Cina, come la
Germania nel 1917, come la Germania in occidente e il Giappone in
Oriente alla fine degli anni ’30, e come l’URSS nel 1947, appare
un’importante potenza minacciosa che sottovaluta la nostra importanza ed
efficacia nel mondo e, più avanti sarà più minacciosa organizzando
l’Asia contro di noi”.
Infine, delineavano l’immenso teatro regionale
che gli Stati Uniti avevano ingaggiato contro la Cina affermando:
“Ci sono tre fronti nello sforzo a lungo termine per contenere la Cina (rendendosi conto che l’URSS “contiene” la Cina a nord e nord-ovest): a) il fronte Giappone-Corea; b) il fronte India-Pakistan; e c) il fronte sud-est asiatico“.
Mentre gli Stati Uniti infine persero la guerra
del Vietnam e ogni possibilità di utilizzare i vietnamiti come ascari
contro Pechino, la lunga guerra contro essa continuava altrove.
Ultimamente, un piano del Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC),
nel documento del 2000 intitolato “Ricostruire le difese americane” (PDF),
dichiarava apertamente l’intenzione di stabilire una presenza militare
permanente ed ampia nel Sud-Est asiatico.
La relazione affermava
esplicitamente che:
“…è ora di aumentare la presenza di forze statunitensi nel Sud-Est asiatico”, e dettagliava dichiarando: “Nel Sud-Est asiatico, le forze statunitensi sono troppo poche per affrontare adeguatamente i crescenti requisiti di sicurezza. Dal ritiro dalle Filippine nel 1992, gli Stati Uniti non hanno una significativa presenza militare permanente nel Sud-Est asiatico. Né le forze statunitensi nell’Asia nordorientale possono facilmente operare o schierarsi rapidamente nel Sud-Est asiatico, certamente non senza mettere a rischio gli impegni in Corea. Fatta eccezione dei pattugliamenti navali, la sicurezza di questa regione strategicamente significativa e sempre più tumultuosa è stata abbandonata dagli USA”.
Osservando la difficoltà di mettere le truppe statunitensi dove non sono volute, il documento del PNAC notava:
“Questo sarà un compito difficile che richiede sensibilità verso i diversi sentimenti nazionali, ma è reso ancora più impellente dalla nascita di nuovi governi democratici nella regione. Garantendo la sicurezza dei nostri alleati e delle nazioni recentemente democratiche dell’Asia orientale, gli Stati Uniti possono contribuire a che l’ascesa della Cina sia pacifica. Infatti, nel tempo, la potenza statunitense e gli alleati regionali possono spingere un processo di democratizzazione nella Cina stessa”.
Va notato che il riferimento all'”emergere di nuovi
governi democratici nella regione” è un riferimento agli Stati clienti
creati dagli Stati Uniti per conto dei propri interessi e che non
costituiscono in alcun modo dei “governi democratici” rappresentativi
degli interessi dei popoli dai “sentimenti nazionali” contrari in primo
luogo alla presenza militare statunitense nella regione.
Va inoltre rilevato che nel 2000 gli Stati Uniti coltivavano vari
governi ascari nel sud-est asiatico tra cui Aung San Suu Kyi e la sua
Lega nazionale per la democrazia in Myanmar, Thaksin Shinawatra in
Thailandia e Anwar Ibrahim in Malesia. Dal 2000, tutti tranne uno, sono
stati rimossi dal potere con Anwar Ibrahim in carcere e Thaksin
Shinawatra in fuga dalla Thailandia per eludere 2 anni di carcere.
Solo
Suu Kyi è salita al potere grazie ai miliardi spesi dagli sponsor
occidentali tramite il National Endowment for Democracy (NED) e le sue
numerose filiali e affiliati. Uno di essi, l’Istituto della Pace degli
USA, ha apertamente dichiarato come gli Stati Uniti dettassero
praticamente ad ogni livello immaginabile lo sviluppo del Myanmar
dirigendo dai processi politici all’organizzazione dell’economia,
fornendo anche “assistenza tecnica” sull'”antiterrorismo”.
Nelle
Filippine, i tentativi degli Stati Uniti di ristabilire la propria
presenza militare e di utilizzare la nazione nel conflitto mirato con
Pechino hanno subito diverse sconfitte.
Gli Stati Uniti combattono il terrorismo sponsorizzato da USA-Arabia Saudita in Asia
Ultimamente Washington ha scoperto che il rapporto di Manila volge
irrevocabilmente a favore dei legami con Pechino. Questo fino all’arrivo
fortuito dei terroristi del cosiddetto “Stato islamico” sulle coste
della nazione, travolgendo un’intera città nella regione meridionale
della nazione.
Anche in Myanmar compaiono improvvisamente dei terroristi
che operano aiutando gli Stati Uniti nel porre una presenza militare
permanente nel Paese, fornendo “assistenza tecnica” contro il
“terrorismo”.
Tali terroristi, tuttavia, non escono dal nulla. Tali
organizzazioni che svolgono operazioni su una scala che va dalle
Filippine, al sud della Thailandia, a Malesia, Indonesia e Myanmar,
richiedono immense somme di denaro, capacità organizzative, logistiche e
politiche. E infatti è confermato che non solo questo sostegno esiste,
ma proviene da una fonte nota e conseguente del terrorismo sponsorizzato
da un governo, l’alleato più stretto degli USA in Medio Oriente,
l’Arabia Saudita. Il Wall Street Journal in un articolo intitolato:
“Gli abusi nella Birmania della Nuova Asia sui musulmani rohingya crea una violenta reazione“,
indicava in merito al terrorismo in Myanmar che:
“Ora questa politica immorale ha creato una violenta risposta. L’ultima insurrezione musulmana sfrutta i militanti rohingya sostenuti dai sauditi contro le forze di sicurezza birmane. Mentre le truppe governative si vendicano sui civili, rischiando d’incitare i rohingya ad aderire alla lotta”.
Il Wall Street Journal dichiarava:
“Chiamato Harakah al-Yaqin, in arabo “Movimento della Fede”, il gruppo risponde ad una commissione di emigrati rohingya alla Mecca e un quadro di capi locali dall’esperienza di guerriglieri all’estero. L’ultima campagna, proseguita a novembre con attacchi e attentati che hanno ucciso diversi agenti di sicurezza, fu approvata dai chierici di Arabia Saudita, Pakistan, Emirati e altrove. I rohingya “non sono mai stati una popolazione radicalizzata”, osserva l’ICG, “e la maggioranza della comunità, dei suoi capi e leader religiosi aveva evitato le violenze perché controproducenti”. Ma questo cambia rapidamente. Harakah al-Yaqin fu fondato nel 2012 dopo che i disordini etnici del Rakhine uccisero circa 200 rohingya, ed ora si stima che abbia centinaia di combattenti“.
Il terrorismo sponsorizzato e diretto dall’Arabia Saudita crea un
pretesto per la presenza militare statunitense nel Myanmar altrimenti
ingiustificabile in alcun modo, forma o metodo.
Similmente un canale di denaro e armi scorre ai terroristi che operano
nelle Filippine da Riyadh e Washington, con conseguente opportunità per
gli Stati Uniti di stabilire una presenza militare permanente in
risposta a una crisi creata intenzionalmente.
Mentre gli Stati Uniti
propongono un’ampia presenza militare nel Sud-Est asiatico come aiuti
contro il terrorismo, è chiaro che è proprio il sostegno di Washington a
Riyad alla base della crisi, e che semplicemente ritirare tale aiuto e
condannare questo Stato sponsor del terrorismo sono la soluzione.
Tuttavia, gli Stati Uniti non adottano questa conclusione logica, né
seguono la via d’azione più evidente, indicando piena complicità con la
sponsorizzazione saudita del terrorismo, facendo gravare la
responsabilità per le morti e le distruzioni del terrorismo nel Sud-Est
asiatico su Washington.
Mentre gli Stati Uniti costituiscono la propria
presenza militare nel Sud-Est asiatico come pietra angolare per la pace e
la stabilità, in realtà è la politica sintomatica dell’instabilità e
del caos gravi degli Stati Uniti e del loro autoproclamato “ordine
internazionale”.
È particolarmente ironico che non solo il terrorismo si
diffonda nel sud-est asiatico, frutto della politica intenzionale di
Washington, ma che sia utilizzato come pretesto per impostare un grande e
potenzialmente devastante conflitto regionale con la Cina.
Tony Cartalucci – LD 8 settembre 2017
Tony Cartalucci, ricercatore e scrittore geopolitico di Bangkok.
Traduzione di Alessandro Lattanzio
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