Napoli, adunata mussulmani
Risolvere i problemi dei paesi in via di sviluppo, attraverso la promozione e l’imposizione dell’imprescindibile e onnipresente agenda gender: questa è la “brillante” soluzione proposta dall’Unione Europea.
L’EuropeAid-Co-operation Office, direzione alle dirette dipendenze della Commissione europea, responsabile della messa in atto di programmi e progetti di aiuto internazionale, lo scorso 17 agosto, ha infatti pubblicato il bando “Promoting Gender Equality and Women’s and Girls’ empowerment in developing countries”, un progetto che si inserisce all’interno del programma Beni pubblici e sfide globali (GPGC) per la prevenzione della violenza a sfondo sessuale nei confronti di donne e ragazze.
Il bando, con scadenza il prossimo 25 ottobre 2017, prevede lo stanziamento di ben 32 milioni di euro per il sostegno a progetti volti ad “implementare nei paesi classificati ad alto rischio per la violenza contro le donne a causa degli atteggiamenti delle donne nei confronti della violenza, della prevalenza della violenza durante la vita e della mancanza di leggi sulla violenza domestica“.
I paesi identificati “ad alto rischio” sono quelli del cosiddetto “terzo mondo”, Africa e Asia, dove il “gender diktat” ha difficoltà ad attecchire e, per questo, si legge sul sito di settore www.info-cooperazione.it, il bando si propone l’obiettivo di dare man forte alle organizzazioni locali, alleati indispensabili sul territorio al fine di favorire la penterazione dell’agenda gender:
“Il bando ha l’obiettivo di rafforzare la capacità tecnica e finanziaria delle organizzazioni della società civile (OSC) locali al fine di promuovere i diritti delle donne e delle ragazze che vivono nei Paesi in via di sviluppo con un’alta prevalenza di violenza contro le donne e paesi colpiti dalle cosiddette crisi dimenticate (vedi allegato N e allegato O)”.Le azioni oggetto dell’iniziativa dovranno rigorosamente prevedere le seguenti 2 priorità:
1. Far cessare la violenza contro le donne e le ragazze: lavorare per eliminare tutte le forme di violenza sessuale o di genere (SGBV) attraverso vari approcci che rendano le donne e le ragazze capaci di porre fine, evitare e sfuggire alla violenza e alle situazioni violente (ad esempio, empowerment sociale, politico ed economico).
2. Aumentare l’accesso alla salute e ai diritti sessuali e riproduttivi per i giovani, le donne e gli uomini: compresa l’educazione sessuale, le informazioni basate sulle prove, la pianificazione familiare e la moderna contraccezione, le cure e i servizi rilevanti non discriminatori, adeguati all’età e completi, come disposti dalla legislazione nazionaleIl bando è rivolto a tutte persone giuridiche senza fini di lucro comprese le Organizzazione Non Governative non profit e fondazioni politiche indipendenti, organizzazioni locali e agenzie, istituzioni e organizzazioni no profit del settore privato, l’importante, specifica chiaramente il progetto, è che l’applicant dia prova di avere già svolto un’esperienza “almeno quinquennale di lavoro sulla parità di genere e sull’empowerment delle donne e/o sulla salute e i diritti riproduttivi e sessuali (SRHR)”.
PROGETTO FALLIMENTARE
La promozione dell’agenda gender, con tutti i relativi “diritti” annessi, nei paesi in via di sviluppo è un progetto destinato a fallire miseramente che dimostra tuttavia, ancora una volta, la suicida miopia dei nostri governanti europei.
L’Unione Europea stanzia 32 milioni per l’agenda #gender nei paesi in via di sviluppo mentre a #Napoli….
Quanto sia illusoria l’esportazione dell’indottrinamento gender in paesi come Africa e Asia, per gran parte saldamente sotto il giogo dell’Islam, lo ha emblematicamente dimostrato la recente manifestazione che, a Napoli, ha visto piazza Garibaldi invasa da migliaia di fedeli musulmani, riuniti orgogliosamente in preghiera per affermare la propria identità islamica in occasione della tradizionale “Festa del Sacrificio”.
Una plateale prova di forza dell’Islam sul nostro territorio, in attesa di ulteriori conquiste, come commentato dall’imam di Napoli Amar Abdallah: “Questa preghiera è un ringraziamento per Dio. Spero che un giorno venga riconosciuta la religione islamica in Italia per permettere la preghiera“.
Vedi: Youtube.com/Watch
In tale allarmante scenario, mentre l’Europa viene invasa da flotte di immigrati africani ed asiatici, che non ne vogliono sapere dei nostri pseudo-diritti e delle nostre leggi tolleranti in materia di gender e sessualità, rivendicando, all’opposto, fieramente le proprie identità culturali e religiose, i burocrati di Bruxelles, nemici della prima ora delle radici cristiane dell’Europa e fautori di una nuova identità ibrida, un “melting pot”, dove amalgamare popoli di razze, culture e religioni diverse, si illudono di poter esportare a suon di milioni di euro la loro folle “agenda gender” in paesi dalle tradizioni ed identità fortissime e ben salde.
Un ingenuo e drammatico abbaglio ideologico, perfettamente sintetizzato nelle parole politically correct del presidente del Consiglio comunale di Napoli Alessandro Fucito, presente alla cerimonia in piazza Garibaldi a fianco delle migliaia di musulmani, che ha così magnificato l’iniziativa: “Una giornata contro corrente, un bel momento di condivisione di pace e di fraternità. In questo speriamo che Napoli possa essere da monito per il mediterraneo e l’Europa“.
(Rodolfo de Mattei su Osservatoriogender.it)
fonte: http://www.controinformazione.info/lunione-europea-stanzia-32-milioni-per-lagenda-gender-nei-paesi-in-via-di-sviluppo-mentre-a-napoli/
Chi inventò il gender? Un pedofilo e un maniaco sessuale
Avevamo parlato sul mio blog, qualche giorno fa, dell’editoriale del direttore della rivista “Le Scienze” sul tema “gender” in un articolo intitolato “Gender: “Le Scienze” scende ancora in campo“. Analizziamo adesso un articolo del numero 131 di “Mente&Cervello”, la rivista di Le Scienze, al quale l’editoriale si riferiva.
L’articolo è a pag. 48, e sin dall’inizio è possibile notare una manipolazione linguistica:
«Se per la biologia esistono solo due generi, il maschile e il femminile… per la psicologia e la sociologia la faccenda è più complessa, e il termine gender indica non tanto il genere biologico, quanto quello nel quale l’individuo si riconosce, indipendentemente da quello che dice il suo DNA».
In biologia esistono i sessi, se il termine “genere”
compare, si tratta di un’acquisizione recente e ingiustificata. Ma dal
punto di vista della comunicazione introdurre il termine “genere” al posto di sesso
è una premessa per l’accettazione del concetto di genere
psicologico-sociologico.
Successivamente poi si parla, correttamente, di
“possibili” discrepanze tra biologia e vissuto individuale, discrepanze
studiate dagli studi di genere (gender studies), una disciplina nata negli USA negli anni ’60.
Dopo aver passato in rassegna alcuni casi di opposizione al gender, l’articolo prende una piega chiaramente schierata:
«Sono solo alcuni dei molti esempi di opposizione all’introduzione di una didattica che non sia afflitta da stereotipi sui ruoli che, nella società, donne e uomini si trovano a ricoprire e sul diritto al riconoscimento giuridico delle famiglie “atipiche”, in cui sono presenti due genitori dello stesso sesso o un genitore unico».
Vien da domandarsi se l’autrice dell’articolo sappia cosa si insegna nelle scuole: dove la didattica
sarebbe stata afflitta da stereotipi? Nella geografia o nella
filosofia? Nella matematica o nella fisica o nella biologia? E la
storia, si insegna con gli stereotipi? In quale disciplina esistano stereotipi di genere che “affliggono” l’insegnamento?
Nello stesso periodo si parla poi di “due genitori dello stesso sesso”: in biologia due genitori dello stesso sesso non possono esistere, e non si tratta di uno stereotipo ma di scienze sperimentali.
Affermare il contrario significa fare disinformazione
scientifica. L’affermazione sul genitore unico poi resta da
comprendere, quando mai servono gli studi di genere per affrontare le
situazioni di persone single che crescono un figlio? Che c’entra?
Ovviamente nulla, a meno che quando si parla di genitore unico non si
intendano dei casi in cui si è ricorso all’inseminazione eterologa o
all’utero in affitto, allora si dovrebbe essere più chiari se no il sospetto che si vogliano confondere le situazioni è legittimo.
A pag. 51 si spiegano le origini degli gender studies,
e così come era avvenuto nell’editoriale del direttore, il riferimento e
lo screditatissimo e famigerato “Rapporto Kinsey”, e a dirlo è Demie
Kurtz, condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la
sessualità e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia:
«“A svelare la frequenza con cui si presentano le “incongruenze” di genere è stato Alfred Kinsey, con il suo studio sulla sessualità degli americani, pubblicato appunto nei primi anni cinquanta”».
Alfred Kinsey viene ancora citato ai massimi livelli degli studiosi di gender studies come autore di riferimento. Ricordiamo a questo punto chi era Alfred Kinsey, ce lo ricorda lo psicologo, prof. Roberto Marchesini che scrive:
«Kinsey ha manipolato il campione di individui intervistato per ottenere quei dati. Il celebre psicologo Abraham Maslow, saputo delle ricerche che Kinsey stava conducendo, volle incontrarlo per confrontarsi con lui. Una volta compreso il metodo d’indagine di Kinsey, Maslow mise in guardia l’entomologo dal “volunteer error”, ossia dalla non rappresentatività di un campione composto esclusivamente da volontari per una ricerca psicologica sulla sessualità. Kinsey decise di ignorare il suggerimento di Maslow e di proseguire nella raccolta delle storie sessuali di volontari. Oltre a questo, circa il 25% dei soggetti maschi intervistati nella sua ricerca erano detenuti per crimini sessuali; l’unica scuola superiore presa in considerazione per la ricerca fu un istituto particolare nel quale circa il 50% degli studenti avevano contatti omosessuali; tra i soggetti erano presenti anche un numero sproporzionato di “prostituti” maschi (almeno 200); tra gli omosessuali vennero contati anche soggetti che avevano avuto pensieri o contatti casuali, magari nella prima adolescenza; infine, nel calcolare la percentuale di omosessuali, Kinsey fece sparire – senza darne spiegazione – circa 1.000 soggetti».
Ma agli errori metodologici vanno aggiunti gli “orrori” materiali e teorici
di cui Kinsey si rese responsabile. L’aspetto però più inquietante di
questo personaggio riguarda gli esperimenti sessuali condotti su
bambini:
«Nel paragrafo intitolato “L’orgasmo nei soggetti impuberi” (pp. 105 – 112) del primo Rapporto Kinsey descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di “orgasmi” e cronometrando gli intervalli tra un “orgasmo” e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: “In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]” (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: “Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo” (p. 110). Nel secondo Rapporto esiste un paragrafo intitolato “Contatti nell’età prepubere con maschi adulti”, nel quale vengono descritti rapporti sessuali tra bambine e uomini adulti, ovviamente alla presenza di Kinsey e colleghi. Le osservazioni condotte inducono Kinsey a sostenere che: “Se la bambina non fosse condizionata dall’educazione, non è certo che approcci sessuali del genere di quelli determinatisi in questi episodi [contatti sessuali con maschi adulti], la turberebbero. E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici».
Kinsey attinse i dati sulla sessualità infantile effettuando attivamente pratiche pedofile
per le quali avrebbe dovuto essere legalmente perseguito, fu anche un
dichiarato sostenitore della pedofilia. Kinsey, pedofilo violentatore di
bambini (nonché frequentatore di ambienti occultisti legati a
tradizioni prescientifiche di ispirazione satanista), è l’autore
riconosciuto, senza alcuna riserva, all’origine degli studi di genere
dal condirettore del Dipartimento degli studi sul genere, la sessualità
e le donne dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia, e
proposto acriticamente ai lettori di Le Scienze.
L’autrice dell’articolo su Mente e Cervello prosegue quindi cadendo nella stessa affermazione del direttore quando parla degli studi di genere come di “studi epidemiologici“, affermando quindi automaticamente che la disgiunzione del sesso biologico da quello comportamentale è una patologia:
«Gli studi di genere, quindi, sostengono (oramai con dovizia di dati epidemiologici e comportamentali) che l’appartenenza può essere disgiunta dal sesso biologico e dall’orientamento sessuale».
A quest’affermazione, più o meno consapevole, ne segue una di particolare rilevanza:
«A dimostrarlo con un preciso modello teorico è stato, tra i primi, lo psicologo e sessuologo statunitense John Money, nel 1972. Secondo il suo approccio biosociale, natura e cultura interagiscono per determinare il sentimento di appartenenza ad un genere o all’altro. “Si nasce maschi o femmine -spiegava Money- ma l’etichetta sociale che ci viene attribuita e il diverso modello educativo che viene impartito ai bambini e alle bambine interagisce con i fattori biologici…”».
John Money
è il secondo “campione” del gender che viene proposto, da notare che si
cita il suo modello “teorico” e non i suoi risultati, e il motivo è
chiaro: la sua teoria quando fu applicata fu all’origine di un dramma
esistenziale per la malcapitata “cavia” umana, David Reimer,
e sfociò in un tragico epilogo: nato Bruce Peter Reimer (Winnipeg, 22
agosto 1965 – Ottawa, 5 maggio 2004), è stato un cittadino canadese che,
nato maschio, dopo la nascita fu sessualmente riassegnato
al sesso femminile a causa della perdita del pene durante una maldestra
operazione di circoncisione.
Lo psicologo John Money (1921-2006) seguì
clinicamente il suo caso, guidando Reimer verso l’accettazione della
condizione sessuale femminile. Money dichiarò che la terapia ebbe esito
positivo: Reimer apprese la nuova identità di genere. Tuttavia il
sessuologo Milton Diamond scoprì che Reimer non si identificò mai con
una donna e che dall’età di 15 prese a vivere come un uomo. Reimer
stesso volle che la sua storia fosse resa pubblica affinché a nessun
altro capitasse quello che era capitato a lui. Morì suicida nel 2004 (Fonte Wikipedia).
L’esperimento di Money fu un drammatico insuccesso, eppure egli viene riportato come il fondatore della teoria del gender. L’articolo di Mente e cervello prosegue mostrando tutti i motivi che renderebbero raccomandabili le indicazioni degli esperti di gender, una teoria che ha come fondatori personaggi totalmente antiscientifici e screditati sui quali la stampa scientifica dovrebbe informare. Quello che è stato qui riportato avrebbe dovuto essere dichiarato su Le Scienze,
ma purtroppo questo non è avvenuto, eppure bastava solo avere una
connessione internet. Ciascuno tragga le proprie conclusioni.
Enzo Pennetta*
*da Critica Scientifica, 11/11/15
http://www.uccronline.it/2016/04/22/chi-invento-il-gender-un-pedofilo-e-un-maniaco-sessuale/
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