venerdì 8 settembre 2017

Secondo Emmanuel Macron, l’epoca della sovranità popolare è superata


Pronunciando un discorso programmatico davanti ai più alti diplomatici francesi, il presidente Macron ha svelato la propria concezione del mondo e il modo in cui intende usare gli strumenti di cui dispone. 

Secondo Macron non esiste più sovranità popolare, né in Francia né in Europa, dunque non esistono nemmeno democrazie nazionali o sovranazionali. E nemmeno esistono più l’Interesse collettivo e la Repubblica.

I beni comuni sono solo un catalogo eteroclito di cose e d’idee. Descrivendo agli ambasciatori il lavoro da compiere, Macron li ha informati che non dovranno più difendere i valori del loro Paese, ma trovare opportunità per agire in nome del Leviatano europeo. 

Entrando nel merito di alcuni conflitti, Macron ha descritto un programma di colonizzazione economica del Medio Oriente e dell’Africa.

Partecipando alla tradizionale settimana degli ambasciatori, il presidente Macron ha pronunciato il suo primo discorso generale di politica estera dall’arrivo all’Eliseo [1]. Tutte le citazioni tra virgolette del presente articolo ne sono un estratto. Il presidente non ha tracciato un panorama delle relazioni internazionali di oggi, né ha spiegato come concepisce il ruolo della Francia del mondo, solo il modo in cui intende utilizzare questo strumento.

Secondo Macron, la Francia non è stata capace di adattarsi ai cambiamenti del mondo dopo il 1989, la caduta del Muro di Berlino, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e il trionfo della globalizzazione americana. Per ricostruire il Paese, sarebbe assurdo tornare all’antico concetto di sovranità nazionale. Al contrario, per progredire bisogna impadronirsi delle leve disponibili. Ed è per questa ragione che oggi: «La nostra sovranità è l’Europa».

L’Unione europea è certamente un mostro, «un Leviatano» [2]. Non gode della legittimità popolare, ma acquisisce legittimità quando protegge i cittadini europei. Nella forma attuale, l’Unione Europea è dominata dalla coppia franco-tedesca. Quindi lui, Emmanuel Macron, e la cancelliera Angela Merkel possono governarla insieme.

Così Macron, ha potuto recarsi in Polonia in qualità di presidente della Francia e, d’intesa con la partner tedesca, che non avrebbe potuto permettersi di aggredire la Polonia per i trascorsi storici, parlare come rappresentante di fatto dell’Unione, insultare il primo ministro, ricordargli che la Polonia non è sovrana e che deve rientrare nei ranghi della UE.

Di concerto con la cancelliera, Macron ha deciso di agire da subito in quattro settori:
- tutela dei lavoratori;
- riforma del diritto d’asilo e cooperazione europea in materia d’immigrazione;
- definizione di una politica commerciale e di strumenti di controllo degli investimenti strategici;
- sviluppo di un’Europa della Difesa.
Evidentemente, questi obiettivi determinano le politiche nazionali di ogni Stato membro, Francia compresa. Per esempio, le ordinanze [assimilabili ai decreti attuativi italiani, ndt] che il governo ha appena adottato per la riforma del Codice del Lavoro stabiliscono limiti minimali di tutela dei lavoratori conformi alle istruzioni già da tempo fissate dai funzionari di Bruxelles.

La cooperazione europea in materia d’immigrazione fisserà soglie d’ingresso necessarie a far funzionare l’industria tedesca [3], mentre la riforma del diritto d’asilo fisserà la capacità di accoglienza della Francia all’interno dello spazio Schengen. L’Europa della Difesa permetterà di fondere gli eserciti dell’Unione e d’integrarli collettivamente alle mire della NATO.

Per far progredire più rapidamente l’Unione Europea, Francia e Germania organizzeranno cooperazioni rafforzate su temi diversi, scegliendo i partener à la carte. In tal modo il principio dell’unanimità nelle decisioni sarà salvaguardato, ma unicamente tra Stati selezionati in quanto tra loro concordi.

All’interno di quest’insieme la coesione sarà conservata su quattro valori condivisi:
- «la democrazia elettiva e rappresentativa;
- il rispetto della persona umana;
- la tolleranza religiosa e la libertà di espressione;
- la fede nel progresso».
«La democrazia elettiva e rappresentativa» sarà applicata solo a livello locale (consorzi di comuni e regioni amministrative; è prevista la soppressione di comuni e dipartimenti), dato che la sovranità nazionale sparisce.

«Il rispetto della persona umana, la tolleranza religiosa e la libertà» dovranno inscriversi nella Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali e non più nella Dichiarazione del 1789, sebbene sia il preambolo della Costituzione.

«La fede nel progresso» consentirà di mobilitare i cittadini europei in un periodo in cui tutti possono vedere Paesi del Medio Oriente Allargato agiati, improvvisamente cancellati e respinti all’età della pietra.

Il metodo Macron


La Francia dovrà utilizzare lo strumento europeo per adattarsi a un «mondo multipolare e instabile».

Non si tratta, beninteso, di ripristinare l’alleanza franco-russa conclusa dal presidente Sadi Carnot e dall’imperatore Alessandro III. L’Unione Europea è la facciata civile dell’Alleanza militare atlantica, non occorre fondare la diplomazia francese sulla Storia o su valori.

È viceversa opportuno svolgere il ruolo di «contrappeso» per mantenere «i legami con le grandi potenze i cui interessi strategici divergono». Fate però attenzione: il presidente non sta parlando d’interessi divergenti tra Stati Uniti da un lato e Russia e Cina dall’altro, bensì di mantenere i legami che queste due grandi potenze devono intrattenere con gli Stati Uniti.

«Per questo occorre (…) collocarsi nelle alleanze tradizionali esistenti e, opportunisticamente, costruire alleanze di circostanza che ci consentano di essere maggiormente efficaci». Quindi, il ruolo dei diplomatici non è più difendere a lungo termine i valori della Francia, ma fiutare a breve termine le opportunità, le occasioni di cui profittare.

«La stabilità del mondo»


Fissati il quadro europeo in cui lavorare e il metodo, la funzione della diplomazia francese sarà sia di assicurare la sicurezza dei francesi contribuendo alla «stabilità del mondo», sia conquistare influenza difendendo «i beni comuni universali».

Poiché, dopo la caduta del Muro di Berlino e la fine della sovranità nazionale, non ci sono più nemici tradizionali, la Francia non ha più bisogno di un esercito per difendere il proprio territorio. Viceversa, deve far fronte a un nemico non-convenzionale, il «terrorismo islamico», e per far questo ha bisogno di una polizia onnicomprensiva e d’un esercito proiettato all’esterno, capace di intervenire nei focolai del terrorismo all’estero: Siria e Iraq da un lato, Libia e Sahel dall’altro. Alla base del siluramento del capo di stato-maggiore delle forze armate da parte di Macron c’è, evidentemente, un cambio di obiettivo, non una questione di finanziamenti. Rimane la riforma della polizia.

La Francia continuerà a proteggere i propri cittadini mussulmani, pur ribadendo il legame tra ideologia politica islamica e religione mussulmana. Potrà così continuare a sorvegliare le pratiche del culto mussulmano, irreggimentarle e, di fatto, influenzare i fedeli.

Lotta al terrorismo significa anche prosciugarne il finanziamento, cosa che la Francia persegue attraverso numerose istituzioni internazionali; beninteso, a causa «di crisi regionali e di divisioni, divisioni in Africa e divisioni nel mondo mussulmano», alcuni Stati contribuiscono segretamente al finanziamento del terrorismo.

Ebbene, innanzitutto il terrorismo non è fatto di persone, ma è un modo di combattere; in secondo luogo, siccome le azioni terroristiche sono meglio finanziate da quando si pretende averne vietato il finanziamento, è evidente che il dispositivo è stato voluto da Washington non contro i Fratelli Mussulmani, ma contro l’Iran. Benché non sia apparentemente in rapporto con il finanziamento del terrorismo, il presidente Macron ha affrontato la questione dell’antagonismo saudita-iraniano per schierarsi dalla parte dell’Arabia Saudita e condannare l’Iran.

Dopo gli attacchi di Daesh ai «nostri interessi, alle nostre vite, al nostro popolo», la pace in Iraq e in Siria costituisce una «priorità vitale per la Francia». Ecco allora il cambiamento di metodo avviato dal mese di maggio: certo, Parigi «era [stata] tenuta in disparte» nei negoziati di Astana, però oggi la Francia fa «avanzare concretamente la situazione» discutendo con ciascun partecipante delle riunioni di Astana.

Li ha convinti ad adottare l’obiettivo da tempo fissato da Obama: vietare armi chimiche e ottenere l’accesso umanitario nelle zone di conflitto. Alla fine la Francia ha creato un «gruppo internazionale di contatto» che, in occasione dell’assemblea generale dell’ONU, si riunirà intorno a Jean-Yves Le Drian [ministro degli Esteri francese, ndt]. Il ritorno della Siria allo Stato di diritto «dovrà accompagnarsi all’ottenimento della giustizia per i crimini commessi, soprattutto dai dirigenti di questo Paese».

Il presidente Macron fa così un passo indietro rispetto alle precedenti dichiarazioni. Non è più questione, come aveva lasciato intendere in un’intervista al Journal Du Dimanche, di riconoscere la Repubblica araba siriana e di spalleggiarla contro Daesh, ma, al contrario, di continuare il doppio gioco precedente: utilizzare il pretesto umanitario per continuare ad armare gli jihadisti contro Damasco.

L’annuncio del giudizio dei dirigenti siriani equivale ad annunciare la disfatta della Repubblica Araba di Siria, giacché mai, assolutamente mai, alcuno Stato ha giudicato generali vittoriosi per crimini di guerra. Il presidente Macron non precisa quale tribunale giudicherà i dirigenti siriani, ma la formula usata rinvia al piano del direttore degli Affari politici dell’ONU, Jeffrey Feltman, che già nel 2012 (ossia prima della guerra generalizzata) prevedeva la «condanna» di 120 dirigenti siriani, secondo un piano redatto sotto la direzione di un funzionario della Merkel, Volker Perthes [4].

Per quanto riguarda Libia e Sahel, il presidente Macron ha ricordato una propria iniziativa, l’incontro di La-Celle-Saint-Cloud tra «il primo ministro libico» Fayez Sarrj e il «comandante dell’esercito nazionale libico» Khalifa Haftar; vertice in cui Macron ha garantito ai due leader libici il sostegno dell’Unione Europea, a condizione dell’occultamento della misteriosa sparizione di 100 miliardi di dollari delle casse del Tesoro libico [5].

La prima conseguenza del rovesciamento della Jamahiriya Araba di Libia fu la destabilizzazione del Mali, Paese di cuiTripoli sosteneva con generosità l’economia [6]. In seguito, il Mali si è spaccato in due: da un lato gli stanziali Mande, dall’altro i nomadi Tuareg.

L’intervento militare francese ha preso atto della situazione e ne ha bloccato le immediate conseguenze sulla popolazione. Il G5-Sahel è stato creato dalla Francia per fermare le conseguenze della guerra contro la Libia e prevenire lo scontro tra neri e arabi, che solo Muhammar Gheddafi era stato in grado di arginare.

L’alleanza per lo sviluppo del Sahel mira a rimpiazzare – con mezzi ben più limitati – il programma di sostegno allo sviluppo, messo in atto nella regione dalla Libia. Queste misure, nel loro complesso, assicureranno la stabilità di questa porzione d’Africa fino a quando, fra una decina d’anni, il Pentagono sarà pronto a mettere in atto il piano di estensione del caos al continente nero [7].

Il presidente Macron ha richiamato la dichiarazione comune, fatta adottare dai partner africani ed europei, per istituire uffici immigrazione europei sul continente africano, con l’obiettivo di selezionare alla partenza i migranti accettati dall’Unione Europea e porre fine così ai percorsi dell’esodo. «Le vie della necessità devono diventare cammini della libertà», una formula che riassume il pensiero presidenziale: l’Africa è la necessità, l’Europa è la libertà.

Per Emmanuel Macron, «ristabilire la sicurezza» in Africa passa attraverso tre D: «Difesa, Sviluppo e Diplomazia» [Défense, Développement et Diplomatie, ndt] ossia presenza dell’esercito di proiezione francese, investimenti francesi e amministrazione francese; il classico programma di colonizzazione economica.

La difesa dei beni comuni


Lungi dal trascurare l’atout che rappresentano francofonia e turismo, il presidente Macron vi ha dedicato lunghi ragionamenti. Sull’argomento ha sostenuto l’idea di estendere l’influenza della Francia approfittando del suo sistema giuridico. In questo modo, Macron fa propria la «dottrina Korbel», secondo cui il modo di redigere un trattato estende l’influenza del Paese che ne ha concepito i concetti; dottrina applicata da sua figlia, Madeleine Albright, poi dalla figlia adottiva, Condoleezza Rice, per trascrivere in diritto anglosassone i trattati internazionali.

Primo bene comune: il pianeta.

Il presidente Macron ha pronunciato questo discorso durante la Settimana degli Ambasciatori, in cui ha spiegato al corpo diplomatico che, a cominciare da subito, funzione primaria della sua amministrazione è la diplomazia economica. Laurent Fabius aveva avuto l’idea, quand’era ministro degli Esteri, di mobilitare la rete diplomatica francese per far crescere le esportazioni.

A tale scopo aveva creato Business France, istituzione pubblica alla cui direzione aveva installato Muriel Pénicaud, che utilizzò il denaro pubblico avuto in gestione per lanciare la campagna elettorale d’Emmanuel Macron all’estero, cosa che le è costata gli attuali fastidi con la giustizia.

Pénicaud è oggi ministra del Lavoro e ha redatto le ordinanze che fissano i livelli di «tutela dei lavoratori». Laurent Fabius è diventato invece presidente del Consiglio costituzionale. Ed è a questo titolo – e in violazione del ruolo attribuitogli dalla Costituzione – che ha redatto un Patto per l’Ambiente, che il presidente Macron presenterà alle Nazioni Unite.

Secondo bene comune: la pace.

Per mezzo dell’«Europa della Difesa», il presidente Macron vuole «dare nuovo slancio» alla NATO. L’Alleanza atlantica mira effettivamente alla promozione della «pace», come possiamo vedere in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e Ucraina.

Terzo bene comune: Giustizia e libertà.

Il presidente Macron, che preliminarmente aveva fatto riferimento a valori comuni dell’Unione Europea, quali «il rispetto della persona umana, la tolleranza religiosa e la libertà d’espressione», assicura ora che «il posto delle donne, la libertà di stampa, il rispetto dei diritti civili e politici» rappresentano valori universali.

Benché, dopo l’incontro con Paul Ricoeur, Macron si picchi di saperne di filosofia, sembra non aver riflettuto sulla filosofia politica: nel suo discorso confonde il Diritto Umanitario con i Diritti dell’Uomo, e confonde anche il loro significato per gli anglosassoni (protezione dell’individuo nei confronti degli abusi dello Stato) e il loro significato per i francesi (responsabilità degli uomini, dei cittadini e della Nazione).

Quarto bene comune: la cultura.

Durante la campagna elettorale il presidente Macron aveva dichiarato che non c’è cultura francese, bensì cultura in Francia. Allo stesso modo, il presidente non concepisce la cultura in generale come sviluppo dello spirito, ma come insieme di mercanzie. È per questo che continuerà l’operato del suo predecessore proteggendo nei teatri di guerra i beni culturali, non le persone.

Conclusione


Occorrerà molto tempo per mettere in luce tutte le lezioni da trarre dalla visione del mondo del presidente Macron.

Il punto fondamentale è che, secondo il presidente, l’epoca della sovranità popolare è ormai superata sia in Francia sia in Europa in generale. L’ideale democratico può essere perseguito a livello locale, ma, a livello nazionale, non ha alcun senso.

Secondariamente, la concezione di Bene comune (res publica), al quale tutti i regimi politici – monarchici, imperiali o repubblicani – furono attaccati, secondo Macron appartiene anch’essa ad altra epoca. Per questi regimi si trattava di servire – o avere la pretesa di servire – un interesse collettivo.

Certo, Emmanuel Macron fa riferimento alla Giustizia e alle libertà, ma è per porre immediatamente questi nobili ideali sullo stesso piano di cose, come la Terra e i prodotti culturali mercantili, e di un disonore, il vassallaggio alla NATO. Sembra proprio che anche la Repubblica sia morta.

Alla fine del discorso di Macron l’auditorio ha applaudito calorosamente. Né la stampa nazionale, né i leader dell’opposizione hanno sollevato obiezioni.


Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista 

fonte: http://www.voltairenet.org/article197769.html

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