Non si vive di solo pane
ma di pane e di bellezza.
Ormai tutti sanno che la bellezza è l’unico nesso sicuro che c'è tra noi e l’immortalità e non c'è nessuno nel suo intimo più profondo che non desideri diventare immortale, anche se in superficie sembra il contrario.
Le opere d’arte che contengono vera bellezza sono immortali e quelle che non la contengono finiscono nell’oblio. Tutti ci circondiamo di cose belle quando abbiamo il denaro per comprarle ma questo non ci soddisfa come vorremmo.
I poveri dei secoli scorsi sono stati più furbi; hanno creato templi e
cattedrali bellissime dove tutti potevano andare per goderne la bellezza
e la maestosità che erano frutto dei loro soldi e della loro fatica.
Ancora oggi in Birmania le cupole dei templi sono ricoperte da migliaia e
migliaia di lamine d’oro ed esse vengono fornite dalle famiglie più
povere della nazione.
I poveri di tutto il mondo, invece, inseguono il confort e per esso,
indebitandosi fino al collo, rischiano anche la vita e creano flussi
migratori inarrestabili.
Se pur distorta anche questa, a mio parere, è una maniera di cercare la bellezza e l’immortalità.
La bellezza che noi conosciamo si presenta sotto varie forme; ne
nominiamo tre in particolare, la prima la chiamiamo bellezza prima e la
seconda la chiamiamo bellezza seconda.
La bellezza prima è frutto della natura ed è sempre sottoposta alla morte.
La bellezza seconda è frutto
dell’agire artistico dell’uomo e una volta creata non è più sottoposta
alla morte né alla legge dell’entropia. Essa è immortale e garantisce
l’immortalità a chi la sa creare.
E’ immortale e vive nelle opere d’arte che l’umanità ha creato e che sa custodire.
E’ immortale e vive negli archetipi che risiedono nell’inconscio collettivo della specie umana.
E’ immortale e vive nella coscienza dei popoli.
E’ immortale e vive nella coscienza cosmica che avvolge questo pianeta e
avvolge l’universo intero come l’aura che avvolge il nostro corpo ed è
visibile con la foto Kirlian.
La bellezza prima è legata alla forma e al rapporto tra materia e forma
così come viene percepito dai sensi esterni, come l’occhio e l’udito.
La bellezza seconda non è legata necessariamente alla forma e anzi
trascende sia la forma sia la percezione dei sensi esterni e conduce il
fruitore direttamente al campo di energia che la sostanzia e la tiene in
vita.
Poi c’è la terza bellezza, la bellezza
della vita, la bellezza del vivere, e questa pure è una forma di
bellezza prima che viene dalla natura e che può essere perduta e
riconquistata ma che non può essere comprata. Essa è percepibile
solo dall’Io ma non dai sensi. Quando sentiamo che l’abbiamo perduta e
che vogliamo riconquistarla dobbiamo sottoporci a un duro lavoro che può
essere oggetto di un cammino terapeutico o di un cammino spirituale.
Essa comunque implica sempre una profonda trasformazione di se stessi e però da sola non garantisce l’immortalità a nessuno.
La psicoanalisi, come l’ha creata Freud, essenzialmente è una ricerca di
conoscenza dell’inconscio e delle sue pulsioni; tuttavia la conoscenza
dell’inconscio non porta automaticamente alla trasformazione di se
stessi e non porta necessariamente né alla guarigione né alla bellezza.
L’inconscio è come un pozzo senza fondo. Passare
la vita a esplorare un pozzo non è la stessa cosa che scavare un pozzo e
trarne acqua per saziare la sete e irrigare i campi.
A mio parere l’immagine che meglio riassume la psicoanalisi è quella di
Edipo che con la sua intelligenza sconfigge la Sfinge e
contemporaneamente, però, con la sua stoltezza porta la peste e la morte
a Tebe.
La sophia-analisi, unita alla sophia-art e alla cosmo-art che la
arricchiscono e la completano, così come io l’ho creata, è un cammino di
conoscenza e un cammino di saggezza in vista della trasformazione di se
stessi per poter creare bellezza e dunque è centrata sulla ricerca della bellezza e non sulla ricerca della conoscenza fine a se stessa.
La sophia-analisi indaga sulla conoscenza dell’inconscio esistenziale, a
partire dalla vita intrauterina sino all'età dell’adolescenza, perché
là sono contenuti i maggiori traumi che immobilizzano il nostro agire e
la nostra creatività. Nell'inconscio esistenziale è contenuto
l’inconscio fattuale, l’inconscio reattivo e l’inconscio decisionale. In
questo ultimo sono contenute le nostre decisioni di amore e di odio che
sono quelle che determinano la nostra vita e il nostro destino.
La sophia-analisi si avvale della conoscenza dell’inconscio
trascendentale o SE trascendentale, che appartiene a ogni essere umano, e
della saggezza in esso contenuta che opera dentro di noi e per noi,
anche a nostra insaputa.
E’ conoscenza delle leggi della vita e
dell’agire dell’Io profondo, della sua progettualità, della sua libertà
di scegliere l’amore o l’odio e della sua capacità di crearsi e di
trasformarsi.
Questa conoscenza e questa saggezza, unite
all'arte di trasformare se stessi (sophia-art e cosmo-art), portano
alla conquista della bellezza perduta e alla creazione della bellezza
seconda.
L’uomo allora diventa un ricercatore di verità e di libertà e, con la
verità e la libertà che gradualmente riesce a conquistare, diventa colui
che si riconosce un potere creativo artistico con il quale può creare e
ricreare se stesso, infinite volte, per diventare un artista della sua
vita e un artista della vita intera del cosmo a cui egli appartiene.
Vorrei qui sottolineare che c’è una
profonda differenza tra il cercare la conoscenza e il cercare la verità.
La verità sta nel profondo e deve essere conquistata con molto dolore e
coraggio; la conoscenza sta in superficie e richiede studio e costanza;
richiede solo fatica ma non dolore.
Le migliori immagini che possono descrivere il cammino della
sophia-analisi le ho trovate nell’Iliade e nell’Odissea di Omero e
perciò ora vi parlerò del mito di Ulisse.
Per conoscere Ulisse come la natura l’ha fatto, un uomo che ha basato la
vita sul furto e sulla violenza, bisogna leggere l’Iliade e per
conoscere in che modo Ulisse ha trasformato se stesso e ha creato
bellezza seconda per se e per gli altri bisogna imparare a leggere
l’Odissea.
Con una avvertenza ben precisa.
La maggior parte dei commentatori di Omero, da Dante Alighieri sino a
oggi, ha visto sempre Ulisse come l’uomo assetato di conoscenza, ma al
tempo stesso come l’uomo artefice continuo di frodi e di inganni. Come
vedete qui conoscenza e inganni possono tranquillamente convivere
insieme e questo è un modo per dire che Ulisse ha sete di conoscenza ma
non ha sete di verità.
Per questo motivo Dante Alighieri nella
Divina Commedia lo condanna all'inferno dopo averlo fatto morire in mare
durante una tempesta che lo coglie mentre tenta di oltrepassare le
colonne d’Ercole; e questo non è vero, non è quello che dice il racconto
di Omero.
Nessuno di questi commentatori ha mai
visto Ulisse come 'l’uomo dai mille patimenti' capace di trasformare se e
gli altri come l’uomo che, in dialogo continuo con Atena, dea della
saggezza, fa della sua vita un’opera d’arte e crea bellezza per se e per
il mondo intero (Nel poema dell’Odissea, Atena interviene in favore di Ulisse 48 volte e Ulisse si rivolge ad Atena 12 volte).
Con la sophia-analisi, con la sophia-art e con la cosmo-art, è
quest’uomo mitico che noi vogliamo imparare a vedere per farne un
modello completo per la nostra vita.
Prima di leggere l’Iliade è importante conoscere un antefatto nel quale Ulisse svolge un ruolo particolare.
I principi Achei sono tutti innamorati di Elena, che a quei tempi era
ritenuta la donna più bella del mondo, e si recano a Sparta con la
speranza di ottenerla in sposa.
Tindaro, il padre di Elena, è indeciso a chi darla perché non vuole
inimicarsi nessuno dei principi greci, e così non si riesce a trovare la
via di uscita.
A questo punto interviene Ulisse con una proposta che sblocca la
situazione: sarà Elena e non suo padre che sceglierà a chi andare in
sposa, ma tutti gli esclusi faranno un giuramento con il quale si
impegneranno a correre in difesa di Elena qualora dovesse patire un
danno.
Elena allora sceglie Menelao e i principi fanno il giuramento.
Quando, qualche anno dopo, Paride, principe troiano, rapisce Elena e la
porta a Troia, i principi greci in forza del giuramento fatto formano
una grande armata e si recano a Troia per riprendersi Elena.
Tenendo ben presente che qui siamo nel mito
e non nella storia possiamo tentare di leggere cosa contiene il mito
nelle sue profondità nascoste e tentare di svelarne l’essenza.
Elena è la donna più bella del mondo.
Dunque è il simbolo per antonomasia della bellezza. Ma di quale
bellezza? Certamente della bellezza prima o della bellezza della vita ma
non certo della bellezza seconda, quella che non muore mai.
La bellezza di una donna è soggetta agli attacchi del tempo e a quelli
della morte che viene come un ladro e la rapisce. Oggi viene Paride ma
domani verrà la morte.
Che può fare un uomo per tentare di mettere al riparo dalla morte la
bellezza che la vita gli ha donato e quella che il suo cuore desidera
conquistare?
I principi greci fanno un giuramento, fanno un patto tra di loro per
difendere la bellezza a costo della loro vita stessa. E’ la prima volta
che abbiamo notizia di un “patto tra gli uomini per la salvaguardia
della bellezza”. Non era mai successo prima, non è più successo dopo.
Ulisse propone il patto e un risultato lo ottiene: Elena tornerà a
Sparta, ma per quanto tempo ancora? Con l’astuzia di Ulisse i greci
hanno espugnato Troia e le sue alte mura, e Menelao si è ripreso Elena e
la sua bellezza, ma questa soluzione è effimera, non è duratura, non è
per sempre.
Non è con l’astuzia e con l’inganno e non è
con le armi che si può risolvere il problema di come assicurarsi la
bellezza una volta per tutte.
Ulisse l’ha capito già nel momento stesso in cui ha proposto il
giuramento, e infatti quando i greci vengono a Itaca per chiedergli di
rispettare il giuramento e venire con loro a Troia, si finge pazzo e non
vuole partire. Parte solo perché sarà costretto a farlo. (Enciclopedia
dei miti greci)
E quando, dopo dieci anni di guerra e di innumerevoli morti sul campo di
battaglia, Troia è distrutta e i greci partono per tornare in patria,
Ulisse sa che il problema vero non è stato risolto o è stato risolto
solo parzialmente, e dunque bisognerà tentare altre strade diverse da
quelle delle armi, degli inganni e delle astuzie, anche se queste
possono rivelarsi molto utili.
Ci vogliono strade che siano diverse da quelle che sono centrate sulla bellezza prima, che oggi c’è e domani non più.
Bisognerà cercare e creare un altro tipo di bellezza, un tipo di
bellezza che sia immortale e non effimera, che sia per sempre al riparo
dalla morte e che metta al riparo della morte colui che la sa creare. E
questa si ottiene solo con l’agire artistico. L’arte,
infatti, ha il potere di trasformare l’essenza e l’esistenza di ciò che
esiste in una dimensione temporale per farlo entrare in una dimensione
atemporale che attraversa il tempo presente e i tempi futuri,
all'infinito.
Gli dei sono immortali per natura, ma gli uomini cosa possono fare per diventare immortali?
Ulisse partirà da Troia con questo chiodo in testa. Non ha nessuna
premura di tornare subito a Itaca. Anzi non vuole tornare sino a quando
non avrà trovato il segreto dell’immortalità. L’antichità conosce un
altro re che ha questa stessa ansia e che viaggia instancabilmente per
mare e per monti alla ricerca di questo segreto ed è Gilgamesh;
ma Gilgamesh non ci ha lasciato un modello che sia possibile imitare;
Ulisse, e Omero per lui, invece si. E’ descritto ampiamente
nell'Odissea.
A questo punto sorge spontanea una domanda: ma che c’entra tutto questo con la psicoterapia?
I pazienti vengono con i loro sintomi e cercano la guarigione, non cercano né la bellezza né l’immortalità.
Sembra così ma non è questa la verità.
Sotto la copertura dei sintomi si cela una verità più profonda che non
può essere subito enunciata perchè se lo fosse verrebbe etichettata come
pazzia. E nessuno vuole sentirsi dire che è pazzo.
Chi si rivolgesse a uno psicoterapeuta per chiedergli, senza giri e
rigiri, il segreto dell’immortalità o della bellezza immortale, farebbe
una richiesta impropria, farebbe una richiesta da pazzi e dunque bisogna
abilmente camuffarla per poterla rendere accettabile e credibile da una
parte e dall'altra.
Bisogna dunque camuffarsi sotto le spoglie di un paziente che sta male a
causa di determinati sintomi e sperare che il terapeuta si presti
all'inganno e gli dia ampie speranze che sia possibile guarire.
Un pò come fa Ulisse che si presenta sotto le sembianze di un mendicante
per poter entrare nella sua reggia assediata dai Proci, nascondendo il
suo vero progetto.
Ma com'è possibile guarire dal “male
oscuro”, dal male più profondo che è l’angoscia di morte, l’angoscia di
sapersi mortali e di non sapere qual'è la strada per l’immortalità, quell'immortalità che prima era assicurata a tutti dalla religione e che ora ha perduto credibilità e certezza?
Non è un caso che l’esplosione e la diffusione della psicoterapia
avvengano quando la religione perde ogni giorno di più il peso e
l’importanza che aveva prima nella vita dei popoli.
Si è creato un terribile vuoto e l’inganno che la psicoterapia possa
riempire questo vuoto non potrà reggere a lungo, a meno che la
psicoterapia non capisca qual'è la vera domanda che le viene fatta e
qual'è la giusta risposta che bisogna saper dare.
Voi potreste non essere d’accordo con quanto io sto dicendo sulla verità
profonda che si nasconde dietro una domanda di psicoterapia. Io non
voglio forzarvi a vederla subito. Datevi del tempo e soprattutto usate
gli occhi del cuore e non quelli della testa.
Ugualmente non voglio forzarvi ad accettare l’idea che ogni uomo possa
diventare un artista della sua vita e della vita dell’universo. Io l’ho
detto, adesso tocca a voi scoprirlo se ne siete interessati.
Anche qui datevi del tempo.
Ma intanto potete fare qualche utile lettura, per esempio quella di due libri di Jung, l’uno intitolato: Psicologia e Alchimia e l’altro Psicologia del Transfert; ovvero potreste leggere qualche buon libro di storia dell’alchimia.
L’alchimia è presente in tutte le culture
del mondo, con il suo linguaggio specifico o con altri linguaggi più
adatti a determinati popoli.
Il mio discorso sulla bellezza seconda e sull'immortalità è un discorso
sostanzialmente affine a quello dell’alchimia, anche se presenta un
cammino alternativo che è assimilabile al cammino psicoterapeutico e che
è alla portata di tutti e non solo di alcuni pochi eletti, così come la
lettura dell’Odissea è accessibile a tutti e non ad alcuni pochi.
Come Jung ha unito psicoterapia e alchimia, così voglio fare anch'io ma seguendo una strada diversa, quella del mito di Ulisse.
Ora, lasciamo da parte per un momento la bellezza seconda, concentriamoci sulla “bellezza della vita” e ragioniamoci su.
Per bellezza della vita io intendo quella
che tutti, nella quasi totalità, riceviamo già nella vita intrauterina e
generalmente riusciamo a conservare sin quando siamo fanciulli.
Poi, almeno in Occidente, questa bellezza
scompare e attorno a noi vediamo ragazzi tristi e angosciati che in
numero sempre più crescente fanno ricorso all'alcol o a pasticche
chimiche e a droghe varie, senza le quali non possono più vivere.
A questo riguardo la sophia-analisi pensa
che è vero che nella vita intrauterina impariamo a gustare cos'è la
bellezza della vita ma già in quello stesso periodo questa bellezza
viene gravemente attaccata da numerosi traumi e da una gran quantità di
odio che accumuliamo dentro di noi contro chi, i genitori in
particolare, sono stati la causa di questi traumi.
Il malessere dovuto a questi traumi a volte si manifesta subito sin
dalla nascita e a volte ha come un tempo di incubazione che spesso
risparmia la fanciullezza ma poi esplode in tutta la sua virulenza e la
vita diventa come un labirinto infernale che contiene un mostro pauroso
il quale ci divora continuamente.
Freud chiama questo labirinto: “coazione a ripetere”.
C’è qualche speranza che sia possibile uscire da questo labirinto?
Freud pensa di no perchè secondo il suo ragionamento, Thanatos (l’istinto di morte) è piщ forte di Eros (l’istinto di vita) e alla fine sarà Thanatos a vincere perchè noi siamo tutti destinati alla morte.
La sophia-analisi, al contrario, pensa di si e pensa che il mito di
Ulisse sia una risposta inoppugnabile al pessimismo radicale di Freud.
La domanda cruciale che è posta all’uomo non è il banale indovinello che la Sfinge pone a Edipo ma piuttosto quest’altra: chi è disposto a ripercorrere nella sua vita il cammino che ha percorso Ulisse?
Il cammino di Ulisse non è una coazione a ripetere nè un perdersi nel
labirinto e finire per sempre nelle fauci del mostro, che poi altro non è
che il nostro odio rimosso o il nostro progetto vendicativo, ma un entrare
nel labirinto per il riattraversamento del dolore e uno scioglimento
dell’odio fatto con l’aiuto costante di Atena e cioè della propria
saggezza interna.
Alla fine di questo cammino sarà possibile
riconquistare la bellezza perduta (come è stata conquistata Elena) e
sarà possibile non solo riavere Penelope (e riprendersi la bellezza
della vita) ma anche, secondo il progetto di Ulisse, creare insieme con
lei una nuova bellezza, un nuovo rapporto di coppia, che sia capace di
sconfiggere la morte per sempre.
A questo punto la domanda che viene fatta da chi si presenta per
chiedere una psicoterapia può essere descritta così, e questa
descrizione è più facile da accettare:
Ho conosciuto la bellezza della vita e poi l’ho perduta e non riesco a ritrovarla; esiste una strada per poterla recuperare?
Non si tratta della ricerca del tempo
perduto ma della ricerca della bellezza perduta, perché senza di essa
non è piacevole vivere.
Lo psicoterapeuta, al quale mi sto rivolgendo, capisce la mia richiesta e
può darmi una risposta, una risposta che sia stata vissuta in prima
persona e non che è stata solo letta sui libri?
Se voi avete capito qual'è stato il cammino di Ulisse, e ve ne siete
impadroniti per esperienza vissuta, non avrete nessun problema a
rispondere di si e ad essere credibili e degni di fiducia per quello che
fate e per quello che promettete.
Il lungo e travagliato ritorno di Ulisse ad Itaca è stato letto e
interpretato in vari modi; adesso ascoltate attentamente quello che io
vi propongo e ditemi se voi potete essere d’accordo oppure no con la mia
interpretazione.
Il cammino di Ulisse nel mar Mediterraneo è una riedizione del cammino di Ulisse dentro l’utero di sua madre.
Là c’era il liquido amniotico, qui c’è il liquido mare. Il mar
Mediterraneo è come racchiuso dentro una conca quasi allo stesso modo
come il feto è racchiuso dentro il grembo della madre.
Là c’erano i traumi e qui ci sono i mostri che bisogna necessariamente incontrare e affrontare. Tutte
le esperienze, buone e cattive, che Ulisse fa nel suo viaggio per mare,
sono esperienze che Ulisse ha già vissuto nella sua vita intrauterina. Con una profonda differenza: nella
vita prenatale queste esperienze sono state prevalentemente subite e
nella gran parte vissute in maniera passiva, incompleta e inadeguata.
Là bisognava fare spesso ricorso a massicci meccanismi di difesa quali
la rimozione e la scissione per non rischiare di essere travolti dal
dolore o dall'ira o dalla volontà suicida e omicida e rischiare di
abortirsi da soli. Là bisognava agire con astuzia e concentrare lo
spazio di un anno entro lo spazio di un mese o di un giorno per non
rischiare di essere sedotti per sempre dalla madre seducente e restare
invischiato con lei per tutta la vita.
Qui c’è come una scelta profonda che è
libera e che vuol dire decisione ferma di riaffrontare oggi quello che
non potevamo affrontare allora: un dolore travolgente quasi infinito e
un odio senza confini verso tutti e verso se stessi; ovvero anche
un piacere immenso, dovuto all'incesto intrauterino, capace di
imprigionarci per tutta la vita e di farci consumare sterilmente la
vita.
Vi do qualche esempio dell’una esperienza e dell’altra.
Ulisse con alcuni suoi compagni entra nella grotta di Polifemo che è
ricca di latte e di formaggi. La grotta è come un utero che è ricco di
sostanze preziose per lo sviluppo del feto. Ma quella di Polifemo è una
grotta buia che mette paura ai compagni di Ulisse i quali lo supplicano
di prendere dei cibi e di andarsene via al più presto.
Ma Ulisse insiste per restare finchè non torni il Ciclope fidando sulle
leggi sacre in Grecia che impongono il dovere di offrire ospitalità agli
sconosciuti.
Ulisse non sa cosa l’attende ma nel suo intimo sa che vuole conoscere e
vuole rivivere quello che è sepolto nell'inconscio della sua vita
intrauterina per poter recuperare la bellezza perduta e per poter creare
nuova bellezza. Ora, senza riattraversare
i traumi non è possibile né l’una né l’altra cosa. Per questo motivo la
sua saggezza inconscia lo spinge a entrare in una situazione tragica, avvertita giustamente come tale dai suoi compagni.
Ecco che si presenta un gigante mostruoso con un solo occhio, che se ne
frega delle leggi imposte da Zeus e comincia a divorare, a due a due, i
compagni di Ulisse.
Ulisse incontra la madre possessiva e
divorante (inconscio fattuale), la madre orca che vuole nutrirsi dei
suoi stessi figli e che divora la vita dei figli destinandoli alla morte
e non alla vita. Ha un solo occhio: vede solo quello che serve ai suoi
bisogni e non ha alcuna considerazione per i bisogni dei suoi figli.
Di madri divoranti ne esiste un numero infinito e io ne ho conosciute
molte. Incontrarle significa incontrare il dolore e l’angoscia di
morte.
Sopporta, cuore, più atroci pene subisti
Il giorno che l’indomabile, pazzo Ciclope mangiava
I miei compagni gagliardi... (Od. 20, 18-20)
Così dice Ulisse a se stesso quando vede le sue ancelle che sono diventate amanti dei Proci e “il cuore gli latrava dentro.”
La prima reazione di Ulisse (inconscio reattivo) è quella di estrarre la
spada e colpire Polifemo per ucciderlo. Ma immediatamente sorge la sua
saggezza interna (il SE trascendentale) e gli fa notare che non gli
conviene uccidere il mostro, il quale entrando ha chiuso la grotta con
un grosso masso così pesante che nemmeno cento uomini insieme possono
smuoverlo.
Se Ulisse uccide Polifemo significa che lui e i suoi compagni moriranno
chiusi dentro quella grotta perché nessuno potrà salvarli. Conviene,
allora, placare l’ira, concentrarsi con calma e usare il potere creativo
per trovare una soluzione più adeguata.
Se, nell'utero, l’Io fetale risponde con
rabbia e con odio alla percezione di una madre orca, è l’Io che muore e
non la madre. E’ più conveniente reagire con meccanismi di difesa e
rinviare al futuro una possibile vendetta.
Ulisse allora decide (inconscio decisionale e coscienza decisionale) di
mettere da parte l’ira, di non vendicarsi e di porre in atto una
strategia diversa. Prima ubriacherà il Ciclope con dell’ottimo vino e
poi gli accecherà l’unico occhio con un palo ben acuminato. Poi
usciranno dalla grotta nascondendosi sotto il ventre delle pecore. (Od.
9, 215-565)
Non gli basterà incontrare la madre divorante una sola volta.
Con Polifemo Ulisse ha rivissuto solo una parte della sua ira e del suo
odio ma ancora ne ha tanto altro da sciogliere e tanto dolore da
riattraversare. Ci vorranno altri ripetuti incontri e nuove
elaborazioni.
Il viaggio per mare di Ulisse ricostruisce come un labirinto che va da
est ad ovest e da nord a sud. Quasi a ogni ansa di questo labirinto c’è
un mostro in agguato che aspetta Ulisse e i suoi compagni per
divorarseli.
Ci sono i Lestrмgoni antropofagi che distruggono ben 11 delle 12 navi che Ulisse possiede (Od. 10, 80-132).
C’è Scilla, un mostro con sei teste che sta di fronte a Cariddi, e che divora sei compagni di Ulisse in un solo colpo. (Od. 12, 223-259)
C’è la maga Circe che trasforma gli uomini in porci (Od. 10, 239) e c’è Calipso (Od.
5, 28-277) che, se non fosse per l’ordine ricevuto da Zeus, non
lascerebbe mai partire Ulisse dalla sua isola posta ai confini del
mondo.
Infine, ci sono i Proci che
divorano i beni della reggia di Ulisse, che insidiano la moglie Penelope
e che aspettano che lui ritorni per poterlo uccidere (Od. Libri
14-22).
Ci manca il tempo, purtroppo, per commentare ognuno di questi episodi
come si conviene e capire come ognuna di queste tappe sia indispensabile
per entrare nel labirinto e negli abissi dei traumi vissuti, al fine di
spogliarli della loro mostruosa pericolosità e di recuperare le nostre
migliori energie per poter trasformare noi stessi e imparare a
recuperare la bellezza perduta e a creare bellezza seconda.
Se si bonifica la vita intrauterina si
recupera la bellezza della vita e se si recuperano tutte le nostre
energie è possibile affrontare il dolore e la morte e trasformarli in
quella porta della vita che è la sorgente della bellezza immortale.
Il poco tempo che ci resta dobbiamo dedicarlo a capire in che modo Ulisse lavora per creare bellezza seconda.
Già la decisione di riaffrontare attivamente i traumi della vita
intrauterina e trasformare questa parte oscura di se stesso, è una parte
sostanziale di questo lavoro.
Ulisse è l’uomo dai mille patimenti, come
lo chiama Omero numerose volte (59 volte per l’esattezza), perchè
decidendo di entrare nel trauma è là che egli viene assalito da tutta
l’angoscia di morte che contiene la dimensione umana ed è là che
affrontando tutto questo immenso dolore è possibile catturare l’energia
che il dolore contiene per utilizzarla nella creazione di una bellezza
che, avendo incontrato e superato la morte, per questo motivo può
dichiararsi immortale.
Ma chi entra nel trauma tocca anche l’ira e l’odio smisurato che il trauma ha provocato.
L’ira deve essere placata con la saggezza e
l’odio deve essere sciolto con il perdono. Perchè, se entrambi restano
intatti, essi consumano sterilmente le nostre migliori energie, le quali
necessariamente sono impegnate o in faticosi sistemi difensivi dalla
esplosione improvvisa dell’ira e dell’odio o in ripetuti sistemi
offensivi contro se stessi, contro gli altri e contro la vita.
Ogni trasformazione dell’Io è una morte
che è stata vinta. Ogni passaggio da una dimensione dell’Io a una
dimensione superiore comporta la necessità di morire a una identità per
rendersi disponibile a poterne ricevere una nuova che è superiore a
quella precedente.
Ad ogni morte di se che Ulisse affronta per trasformarsi, ad ogni morte
dell’Io fetale da cui è posseduto con prepotenza e che non permette
all'Io artista di emergere, ad ogni morte del vivere bruto o del vivere
animale basato sul furto e sulla violenza, che Ulisse porta dentro di se
sin dalla nascita, egli crea e accumula in se tanta bellezza.
Questa bellezza è una bellezza immortale
perché oltre che dall'avere affrontato la morte, nasce dalla continua
sintesi degli opposti che Ulisse sa compiere, tappa dopo tappa.
A volte è la sintesi della morte con la vita; a volte è la sintesi
dell’amore con l’odio per creare la forza amorosa; a volte è la sintesi
dell’Io con il SE, simbolizzato da Atena che rappresenta la saggezza; a
volte è la sintesi dell’Io con il cosmo, rappresentato da Zeus; a volte è
la sintesi dell’Io con il Tu, del maschile con il femminile,
rappresentato dalle figure femminili che Ulisse incontra nel suo cammino
e che vengono sempre trasformate positivamente dall'incontro con lui.
Operando una continua sintesi degli
opposti Ulisse agisce come un artista che trasforma la sua vita in opera
d’arte. Un’opera d’arte che contiene in se bellezza immortale, la quale
a volte è visibile agli occhi della vista ma spesso è visibile solo
agli occhi del cuore.
Questa bellezza, narra Omero, può apparire all'improvviso in tutto il
suo splendore a un semplice tocco di Atena, o può eclissarsi e
scomparire sotto le sembianze di un mendicante se così è meglio per
affrontare i Proci e Penelope.
Questa bellezza può emergere dal racconto delle sue imprese per mare e
incantare i Feaci: re e regina, principesse e principi. I quali tutti
decidono di colmarlo di doni e, quel che stupisce di più, decidono di
portarlo a Itaca sulla loro nave veloce, trasgredendo il divieto di
Nettuno che è il loro padre e che li punirà trasformandoli in un blocco
di pietra per sempre (Od. 13, 155-158).
Questa bellezza rende Ulisse immortale,
vivo per sempre e capace di generare nuova vita, ancora oggi e sempre.
Tutti gli altri eroi greci sono vane ombre di fronte a lui. Ombre che
rimpiangono la vita che avevano perchè non hanno saputo approfittarne
per trasformarla in un’opera d’arte, come Ulisse ha saputo fare.
Omero lo mette in evidenza quando parla della discesa di Ulisse nell'Ade ( Od. Libro 11).
Là sfilano a migliaia, davanti ad Ulisse che è vivo e che è entrato da
vivo nell'Ade, le ombre di coloro che vissero nel passato (Agamennone,
Achille, Patroclo, Aiace che nemmeno da morto vuole perdonare e molti
altri, uomini, donne e semidei) e le ombre anche di coloro che moriranno
in futuro: i Proci che cadranno per mano di Ulisse (Od. 24, 1-204).
Questo è un modo geniale con il quale Omero vuol dirci che Ulisse ha raggiunto una immortalità che gli altri non hanno.
Immortale non perché è salito sull'Olimpo come Eracle, un eroe greco
diventato semidio ma la cui ombra sta pure nell'Ade, né perché è morto
in battaglia coprendosi di gloria come Achille e che nell'Ade rimpiange
di non possedere più la vita, ma perché affrontando molte morti
interiori è passato dalla dimensione fetale e animale della vita
intrauterina, in cui ogni uomo è tenuto prigioniero anche dopo la
nascita, alla dimensione artistica che travalica i confini di questo
universo e che può navigare da un universo all'altro, all'infinito.
Immortale non perché ha ricevuto in dono
l’immortalità dagli dei ma perché Ulisse l’immortalità se l’è costruita
da se con il suo dolore, con la sua saggezza e con la sua arte.
Ulisse è immortale perché vive per sempre nei versi di Omero.
E’ immortale perché vive nelle opere d’arte che sono state create dopo Omero e parlano di lui.
E’ immortale perché ormai vive come un archetipo nell'inconscio collettivo dei popoli.
E’ immortale perché è entrato a far parte
costitutiva della coscienza cosmica di questo universo e ha in se la
capacità di permeare non solo questo universo ma anche altri possibili
universi che oggi noi non conosciamo.
Qui devo necessariamente raccontare che sia la maga Circe, sia la ninfa
Calipso, due delle dee che si innamorano di Ulisse, gli promettono di
renderlo immortale se egli acconsente a sposarle ma Ulisse si rifiuta di
ottenere l’immortalità per questa strada e questo fa di lui un eroe
inedito nel mondo greco; un eroe che non ha eguali e che non ha
somiglianze in nessun altro eroe di tutta la letteratura mondiale.
Egli dice a Calipso: lo so che tu sei
immensamente più bella di Penelope ma io so che posso creare una più
alta bellezza se riesco a trasformare Penelope “dal cuore di pietra” in
una donna capace di amare un uomo per tutta la vita e capace di fondere
il suo femminile con il mio maschile, capace di fondere la sua volontà
con la mia, capace di fondere la volontà dell’Io e quella del Tu in un
unica volontà, per poter creare bellezza seconda, bellezza immortale.
In questa risposta di Ulisse si fronteggiano due concezioni diverse
della bellezza: l’una fa riferimento alla bellezza fisica, quella di cui
Calipso è dotata in maniera superiore a Penelope, e l’altra fa
riferimento alla bellezza che ancora non c’è ma che Ulisse vuole creare,
con il suo ritorno ad Itaca, operando la fusione degli opposti tra se e
Penelope.
Le parole che ho messo in bocca ad Ulisse non sono le precise parole che
ha usato Omero, sono io che le descrivo così perché sono convinto, dopo
lungo pensare, che questa è la strategia che ha in mente Ulisse per
diventare immortale: dopo aver realizzato
la fusione dell’Io con il SE (Ulisse e Atena), egli vuole realizzare la
fusione dell’Io con il Tu, anche quando il Tu di Penelope resiste
tenacemente e non vuole decidersi di riconoscere e amare Ulisse,
attaccata com'è alla sua infanzia, alle sue pretese e alla figura
materna che le divora la vita (i Proci).
Ulisse rimane nella casa di Circe, pazzamente innamorato di lei, un anno
e nella grotta di Calipso sette anni, sempre facendo l’amore con lei.
Solo che negli ultimi tre anni Ulisse di
notte sta a letto con la dea a fare l’amore e di giorno se ne sta sugli
scogli a piangere tutto il tempo perché non può riprendere il cammino
verso Itaca.
Lа nell'isola giace, dure pene soffrendo,
nella dimora della ninfa Calipso, che a forza
lo tiene. (Od. 5, 13-15)
Ma il generoso Odisseo, (Hermes) dentro non lo trovò;
sul promontorio piangeva, seduto, lа dove sempre,
con lacrime, gemiti e pene straziandosi il cuore,
e al mare mai stanco guardava, lasciando scorrere lacrime.
(Od. 5, 81-84)
Nessuna bellezza prima, neanche di origine
divina, può saziare il cuore di un uomo, egli avrà sempre un tormento
dentro che lo spingerà verso la ricerca di una superiore bellezza che
sia frutto della sua propria creazione.
Ma perchè Ulisse deve passare tanto tempo accanto a Calipso? Anche
questa è la riedizione di un vissuto intrauterino che chiameremo
“incesto intrauterino”. E’ l’arma più temibile con la quale una madre
seduce il figlio per impossessarsi della sua vita per sempre.
Vale lo stesso anche per le figlie femmine e la regista Jane Campion nel suo film Lezioni di piano ce ne dа una splendida dimostrazione.
Prima della madre divorante un bambino incontra la madre seducente e la madre castrante.
Il concetto di madre divorante è stato introdotto dall'analista
junghiano E. Neuman e quello di madre seducente e castrante
dall'analista freudiano Fairbairn.
Nell'Odissea sia la maga Circe che Calipso
e le Sirene sono le rappresentanti di questa madre che prima seduce e
poi castra il figlio.
Ulisse però sa come difendersi e come trasformare positivamente Circe e Calipso in suo favore.
Circe, domata da Ulisse, mette a sua disposizione tutta la saggezza
esoterica di cui è esperta e gli indica la strada per entrare e uscire
dall'Ade e per incontrare l’indovino Tiresia. Poi lo mette in guardia
dalle Sirene e gli suggerisce qual è il modo migliore per affrontare
Scilla e Cariddi.
Calipso, quando finalmente decide di anteporre il bene di Ulisse al suo,
prima gli insegna come costruirsi una zattera e poi, cosa ancora più
preziosa, gli insegna l’arte della navigazione notturna con l’ausilio
delle stelle.
Nell'utero il figlio ha pochi mezzi per difendersi dalla madre. Lei è
l’oggetto d’amore primario, l’oggetto d’amore assoluto, che ancora non
ha un volto ma che di sicuro possiede un canto dolcissimo, di gran lunga
più dolce di quello delle sirene, e con esso il figlio resta ammaliato
per sempre.
Solo le leggi della crescita biologica riescono a staccare il figlio da
questo oggetto d’amore e avviarlo verso il collo dell’utero perché
affronti la nascita.
Molto spesso però queste nascite sono
complete solo fisiologicamente, perché in realtà l’Io fetale è rimasto
ancora dentro l’utero, fuso e confuso con l’oggetto d’amore primario, e
l’Io adulto dovrà affrontare terribili battaglie per poter decidere di
emergere, di nascere e di conquistare la sua libertà di staccarsi
dall'oggetto d’amore primario per rivolgersi verso un altro oggetto
d’amore che sia autenticamente altro e non il sostituto del primo.
Spesso tale libertà si conquista proprio
piegandosi alla necessità di tornare nell'utero in maniera regressiva e
decidendo di rivivere proiettivamente con figure materne sostitutive
tutto quello che è stato vissuto un tempo e che poi è rimasto registrato
nella memoria delle nostre cellule e nella memoria del nostro Io
fetale.
Rivivere attivamente e non passivamente,
come è stato la prima volta, può dare all'Io adulto la libertà e il
potere di staccarsi definitivamente dal primo oggetto d’amore e
dall'incesto con la madre.
Una madre che non vuole rendere libero un figlio cercherà di castrarlo. Non
darsi totalmente o mantenere il potere di vita e di morte sul figlio è
uno dei modi più efficaci che le madri hanno per castrare un figlio.
Quando entra nella casa di Circe, Ulisse, seguendo il consiglio del dio
Hermes, minaccerà con la spada la vita di Circe e si farà giurare
solennemente che lei non oserà più progettare inganni nei suoi confronti
e nei confronti dei suoi compagni (Od. 10, 321-347).
Avendo tolto il potere di vita e morte alla madre ora Ulisse può
saziarsi nel godere il possesso dell’oggetto d’amore e quando è tempo
decidere di staccarsi e crescere in tutta libertà.
Ugualmente nel rivivere l’incesto intrauterino con la ninfa Calipso
Ulisse si dа tutto il tempo che è necessario. Quando vorrà staccarsi,
Zeus invierà di nuovo il dio Hermes in aiuto di Ulisse e Ulisse si
salverà.
Come vedete abbiamo usato due chiavi di lettura diverse per interpretare
uno stesso evento: la storia d’amore di Ulisse con Circe e con
Calipso.
La prima chiave è: nessuna bellezza prima può mai saziare un uomo. E’ necessario creare con le proprie mani la bellezza seconda.
La seconda chiave è: è possibile saziare
un bisogno della vita intrauterina rimasto inappagato e continuare dopo
il proprio viaggio verso una crescita matura.
Tutt'e due le chiavi sono necessarie per conoscere la nostra verità più profonda che ha più piani di profondità e non uno solo.
La seconda chiave di lettura ci serve per
riconquistare la bellezza perduta e la prima ci serve per spingerci a
conquistare la bellezza seconda.
In un cammino psicoterapeutico può essere presente sia l’una esigenza
sia l’altra. Io ritengo che siano sempre presenti tutt'e due e che
dipende da noi evidenziarle se vogliamo rispettare il progetto umano e
cosmico che la vita ci ha assegnato.
Avrei tante altre cose ancora da dirvi ma non posso concentrare in poche
pagine quello che ho scritto in vari libri; spero che un giorno voi
possiate leggerli.
A. Mercurio
Note sull'Autore: Antonio
Mercurio è un antropologo italiano. Ha studiato a Messina, a Bruxelles e
a Parigi ed ha conseguito la laurea in Lettere Classiche, in Filosofia e
in Teologia. È stato il primo, in Italia e in Europa, a creare un
istituto di antropologia e di psicoterapia di tipo universitario, con
lezioni, seminari, tirocini e tesine di ricerca, nel 1970 a Roma. (Fonte
Wikipedia)
Articolo pubblicato sul sito Sophia-a narod.ru
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