Gli
Stati Uniti sono impegnati in attività piuttosto dubbie nel tentativo
di danneggiare l’economia della Russia, facendo crollare i prezzi
mondiali del petrolio. Gli Stati Uniti sono tra i maggiori produttori di
petrolio al mondo insieme all’Organizzazione dei paesi esportatori di
petrolio e alla Russia. La nuova tecnologia del fracking è più costosa
dell’estrazione di petrolio mediante metodi convenzionali, e non è
vantaggiosa con i prezzi a meno di 60-70 dollari al barile.
La caduta
dei prezzi del petrolio abbatte le azioni delle imprese. In tre mesi le
azioni di società note per essere veicoli della “rivoluzione energetica”
sono crollate del 40% in media. Leader come Apache Corp (APA), ConocoPhillips (COP), EnerJex Resources Inc. (ENRJ), Marathon Oil (MRO), Continental (CLR), Noble Energy (NBL), Southwestern Energy (SWN), Anadarko (APC), Pioneer Natural Resources
(PXD) vedono le azioni crollare del 30-50% rispetto al massimo
raggiunto a metà 2014. Il processo continua.
La dinamica dei prezzi
assomiglia a una bolla che si sgonfia. Il crollo dei prezzi del petrolio
ha scatenato un calo di quasi 40 per cento delle nuove licenze
rilasciate negli Stati Uniti a novembre, rispetto ad ottobre. Il crollo è
una “risposta molto rapida” degli Stati Uniti ai prezzi del greggio, ha
detto Allen Gilmer, chief executive officer di Drilling Info Inc. Anche le perforazioni in mare ne sono influenzate. Transocean,
proprietaria della maggiore flotta di impianti di perforazione in acque
profonde, recentemente ha avuto 2,76 miliardi di dollari di sofferenze
per gli impianti di perforazione.
La politica di Washington volta a
ridurre i prezzi del petrolio può influenzare negativamente l’economia
statunitense, trasformando il processo in una tendenza irreversibile. Il
calo limita l’accesso delle società energetiche statunitensi sul
mercato dei capitali. I produttori di energia ai primi del 2010
raccolsero 550 miliardi dollari di nuovi titoli e prestiti, mentre la Federal Reserve teneva gli oneri finanziari a quasi zero, secondo la Deutsche Bank AG.
Con i prezzi del petrolio che precipitano, gli investitori sfidano la
capacità di alcuni emittenti di titoli spazzatura nel soddisfare le loro
obbligazioni di debito. È un circolo vizioso.
Una redditività inferiore
riduce la capitalizzazione di una società che deve vendere sempre più
attività per evitare il fallimento, provocando l’ulteriore perdita di
attività con azioni di trading al ribasso e, quindi, il risultato è
l’incapacità di rimborsare i prestiti mentre il valore delle attività si
riduce. L’Agenzia internazionale dell’energia (AIE) e l’Organizzazione
di paesi esportatori di petrolio (OPEC) nelle loro prospettive
energetiche per il 2015, prevedono la minore domanda di petrolio degli
ultimi 12 anni. La notizia ha avviato una picchiata delle borse erodendo
1 trilione di capitalizzazione sui mercati globali in una settimana.
Un’ondata di fallimenti di aziende energetica preoccupa gli esperti di Wall Street. Potrebbe propagarsi al sistema finanziario e bancario.
“,Non c’è ‘dubbio’ che per le aziende energetiche dal profilo debitorio rischioso, il mercato dei debiti “sia essenzialmente chiuso in questa fase”, e vi sono segni di ulteriori scosse nel settore“,
afferma lo stratega per i redditi fissi dell’US Bank Wealth Management, Dan Heckman. E aggiunge, “Siamo a un punto molto preoccupante”. La sua opinione è condivisa da Jacques Sapir, direttore del Centre d’Etude des Modes d’Industrialization (CEMI-EHESS), che ha detto ad Europe 1 che
“La caduta dei prezzi del petrolio potrebbe avere gravi conseguenze sull’estrazione di gas di scisto, del combustibile liquido da scisto carbonioso e dalle cosiddette sabbie bituminose. Oggi la produzione non è più redditizia. I produttori hanno ricevuto prestiti enormi dalle banche statunitensi. La situazione crea le condizioni per il crollo bancario degli USA”.
Di conseguenza, saranno colpiti fondi
pensione, investitori privati e banche che detengono titoli spazzatura,
investimenti rischiosi che possono divenire ad alto rendimento, causando
un effetto a strappo sul sistema finanziario rendendo inevitabile il
ripetersi della crisi 2008-2009. Secondo The Prudent Bear,
“i fallimenti sul mercato energetico, molti dei quali si tradurranno nell’espulsione di produzione dal mercato, e l’esternalizzazione che accompagna la capacità produttiva ad alta intensità energetica, causeranno danni di gran lunga superiori a qualsiasi beneficio dall’aumento dei consumi. La distruzione di capitale con il fallimento riduce la ricchezza della società, riducendo la quantità di capitale disponibile per ogni lavoratore. A sua volta si ridurrà il livello di vita a lungo termine dei lavoratori stessi (e anzi la loro capacità di consumare). Un ulteriore consumo, in gran parte speso per le importazioni, non comporta alcun beneficio che abbia un simile livello d’importanza”.
La produzione di energia da scisto ha creato nuovi
posti di lavoro. Gli Stati petroliferi hanno aggiunto 1,36 milioni di
posti di lavoro dal dicembre 2007, mentre gli Stati non-shale ne hanno
persi 424000.
Così concentrati a colpire la Russia, gli statunitensi non vedono ciò che accade a casa loro. Il 9 novembre, il Guardian ha scritto,
“John Kerry, il segretario di stato USA, avrebbe raggiunto un accordo con re Abdullah a settembre secondo cui i sauditi avrebbero venduto greggio al di sotto del prezzo di mercato. Questo aiuterebbe a spiegare perché il prezzo sia in calo in un momento in cui, data la turbolenza in Iraq e Siria causata dallo Stato islamico, normalmente sarebbe in aumento”.
La collusione è volta ad indebolire la Russia e colpire l’Iran.
L’Arabia Saudita ha bisogno di un prezzo al di sopra dei 90 dollari al
barile per pareggiare il bilancio. Ma un po’ di dolore è accettabile. I
sauditi giocano d’azzardo giacendo a un prezzo del petrolio inferiore a
quello che russi e iraniani possono permettersi, pensando quindi che
l’operazione sarà relativamente breve. Ma finora non ha influenzato la
politica estera di Russia e Iran. Sembra che gli Stati del Golfo Persico
ne soffrano di più. Il costo di produzione è più basso in Arabia
Saudita, ma le cose sono assai peggiori per i suoi partner.
La
previsione OPEC del 21 dicembre afferma che la situazione sul mercato
del petrolio prenderà una piega diversa e i prezzi dell’“oro nero”
risaliranno. Evidentemente le dichiarazioni dei produttori di petrolio
sono esasperate. L’Arabia Saudita, principale esportatore di petrolio al
mondo, ha detto il 21 dicembre che non taglierà la produzione per
sostenere i mercati del petrolio, anche se le nazioni al di fuori
dell’OPEC l’hanno fatto; forte indicazione che prevede il superamento
del maggiore crollo del mercato da anni. Parlando ad una conferenza
sull’energia ad Abu Dhabi, il ministro del Petrolio saudita Ali al-Naymi
accusava del crollo la mancanza di coordinamento dei produttori esterni
all’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio, assieme a
speculatori ed informazioni fuorvianti. Ha detto,
“l’Arabia Saudita con i Paesi OPEC ha cercato di ristabilire l’equilibrio del mercato, ma la mancanza di collaborazione dei Paesi esterni all’OPEC, oltre a speculatori e diffusione di informazioni non corrette, hanno portato alla caduta dei prezzi”.
Il ministro del Petrolio degli Emirati
Arabi Uniti, Muhamad Faraj Suhayl al-Mazruay è stato ancor più reciso
affermando che, uno dei principali motivi che hanno portato al
deterioramento dei prezzi, è la produzione di petrolio irresponsabile di
certi organismi terzi, alcuni dei quali nuovi sul mercato del petrolio.
Evidentemente si riferiva agli Stati Uniti, responsabili d’incrementare
le forniture di petrolio di scisto negli ultimi anni. Vi è motivo di
ritenere che, mentre sostiene apertamente gli Stati Uniti, l’Arabia
Saudita gioca un suo gioco per scacciare i concorrenti, tra cui gli USA,
dal mercato. Qualche tempo fa Riyadh diceva che i membri dell’OPEC non
avrebbero ridotto la produzione, anche se il prezzo precipitava a 40
dollari al barile. Con i prezzi del petrolio crollati, i produttori
petroliferi tradizionali hanno riserve sufficienti per superare un
periodo di frugalità mentre l’industria dello shale statunitense sarà
mortalmente colpita, tanto da non rialzarsi mai più.
Tendenze economiche negative sono già visibili negli Stati Uniti, mentre la Russia non ha neanche iniziato a prendere contromisure mentre la guerra economica scatenatagli contro infuria. Vi è una vasta gamma di opzioni aperte per la Russia. Farsi trasportare dalle fluttuazioni della valuta russa, mentre gli Stati Uniti non prestano attenzione al calo dei prezzi nella loro borsa o alla politica ambigua dei loro alleati. Qui non si può non essere d’accordo con le valutazioni di Marin Katusa, direttore di Energy Investment Strategist, che dice che
“E ‘vero che le sanzioni potrebbero rendere più difficile alle imprese russe accedere al know-how occidentale, e in ultima analisi, influenzare la produzione di petrolio della Russia. Ma questo solo se perdurerà per anni, cosa dubbia dato che l’UE ne sta già pagando. Un taglio dell’offerta mondiale di petrolio, e una crescita globale più forte, probabilmente riequilibreranno il mercato del petrolio, nel frattempo”.
Gli acquirenti di petrolio russi possono pagare in oro, non hanno
bisogno dei biglietti verdi. Non c’è bisogno di spiegare che cosa sia in
serbo per il dollaro USA nel caso lo facciano. I produttori di petrolio
russi avranno i dollari per le esportazioni, mentre il pagamento delle
tasse sarà in rubli. Ciò significa che alcun brusco calo dei ricavi
dalle tasse è imminente in Russia. La Federazione russa può anche
passare all’utilizzo dei rubli nei suoi scambi commerciali petroliferi
deprezzando il dollaro USA, migliorando la domanda globale della sua
valuta nazionale.
Olga Shedrova Strategic Culture Foundation
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2014/12/26/il-prezzo-del-petrolio-e-unarma-veramente-efficace-contro-la-russia/
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