La Commissione Europea ha annunciato la sua decisione di ritirare la riforma del mercato sementiero, da più parti invocata affinché potesse essere contenuto lo strapotere delle multinazionali e reso possibile lo scambio dei semi per affrancare i contadini dalla schiavitù delle royalties. Ora si tratta di vedere cosa accadrà. Intanto l’associazione internazionale contadina La Via Campesina lancia i suoi “5 passi” per nutrire veramente il pianeta (altro che Expo 2015!) e rivendica la sovranità alimentare dei popoli.
La Commissione Europea ha annunciato al Parlamento europeo la sua decisione di ritirare la riforma della regolamentazione del mercato sementiero,
cancellando di fatto le seppur timide aperture cui la Commissione
precedente era stata costretta dalle pressioni dei movimenti per la
sovranità alimentare e dai gruppi rappresentativi in agricoltura. Quelle
aperture lasciavano sperare che finalmente la UE potesse prendere in
considerazione norme e interventi a difesa della biodiversità e
preservazione dei suoli, a difesa del diritto dei contadini allo scambio
delle loro sementi, del diritto delle piccole aziende a
commercializzare tutte le biodiversità disponibili senza dover essere
costrette a registrarle nei cataloghi istituzionali e a difesa della
possibilità di aprire quei cataloghi ai semi non “standardizzati”,
sinonimo di maggiore ricchezza nutritiva dei cibi. Nulla di tutto ciò,
tutto cancellato, la pressione delle lobby di interesse e delle
multinazionali sementiere evidentemente è devastante.
Intanto
l’associazione internazionale di contadini La Via Campesina rimarca la
sua critica al sistema industriale di produzione del cibo, «causa
principale dei cambiamenti climatici e responsabile del 50% delle
emissioni di gas serra in atmosfera». Eccoli i punti critici principali.
Deforestazione (15-18% delle emissioni).
Prima che si cominci a coltivare in maniera intensiva, le ruspe e i
bulldozer fanno il loro lavoro abbattendo le piante. Nel mondo,
l’agricoltura industriale si sta spingendo nella savana, nelle foreste,
nelle zone più vergini divorando una enorme quantità di terreno.
Agricolture e allevamento (11-15%).
La maggior parte delle emissioni è conseguenza dell’uso di materie rime
industriali, dai fertilizzanti chimici ai combustibili fossili per far
funzionare i macchinari, oltre agli eccessi generati dagli allevamenti.
Trasporti (5-6%).
L’industria alimentare è una sorta di agenzia di viaggi globale. I
cereali per i mangimi animali magari vengono dall’Argentina e vanno ad
alimentare i polli in Cile, che poi sono esportati in Cina per essere
lavorati per poi andare negli Usa dove sono serviti da McDonald’s. La
maggior arte del cibo prodotto a livello industriale percorre migliaia
di chilometri prima di arrivare sulle nostre tavole. Il trasporto degli
alimenti copre circa un quarto delle emissioni legate ai trasporti e il
5-6% delle emissioni globali.
Lavorazioni e packaging (8-10%).
La trasformazione dei cibi in piatti pronti, alimenti confezionati,
snack o bevande richiede un’enorme quantità di energia e genera gas
serra.
Congelamento e vendita al dettaglio (2-4%).
Dovunque arrivi il cibo industriale, là deve essere alimentata la
catena del freddo e questo è responsabile del consumo del 15% di energia
elettrica nel mondo. Inoltre i refrigeranti chimici sono responsabili
di emissioni di gas serra.
Rifiuti (3-4%).
L’industria alimentare scarta fino al 50% del cibo che produce durante
tutta la catena di lavorazione e trasporto, i rifiuti vengono smaltiti
in discariche o inceneritori.
La Via Campesina rivendica la sovranità alimentare dei popoli e indica 5 passi fondamentali per arrivarci. Eccoli.
1. Prendersi cura della terra.
L’equazione cibo/clima ha radici nella terra. La diffusione delle pratiche agricole industriali nell’ultimo secolo ha portato alla distruzione del 30-75% della materia organica sul suolo arabile e del 50% della materia organica nei pascoli. Ciò è responsabile di circa il 25-40% dell’eccesso di CO2 in atmosfera. Questa CO2 potrebbe essere riportata al suolo ripristinando le pratiche dell’agricoltura su piccola scala, quella portata avanti dai contadini per generazioni. Se fossero messe in pratiche le giuste politiche e le giuste pratiche in tutto il mondo, la materia organica nei suoli potrebbe essere riportata ad un livello pre-industriale già in 50 anni.
2. Agricoltura naturale, no alla chimica.
L’uso di sostanze chimiche nell’agricoltura industriale è aumentata in maniera esponenziale e continua ad aumentare. I suoli sono stati impoveriti e contaminati, sviluppando resistenza a pesticidi e insetticidi. Eppure ci sono contadini che mantengono le conoscenze di ciò che è giusto fare per evitare la chimica diversificando le colture, integrando coltivazioni e allevamenti animali, inserendo alberi, piante e vegetazione spontanea.
3. Limitare il trasporto dei cibi e concentrarsi sui cibi freschi e locali.
Da una prospettiva ambientale non ha alcun senso far girare il cibo per il mondo, mentre ne ha solo ai fini del business. Non ha senso disboscare le foreste per coltivare il cibo che poi verrà congelato e venduto nei supermercati all’altro capo del mondo, alimentando un sistema altamente inquinante. Occorre dunque orientare il consumo sui mercati locali e sui cibi freschi, stando lontani dalle carni a buon mercato e dai cibi confezionati.
4. Restituire la terra ai contadini e fermare le mega-piantagioni.
Negli ultimi 50 anni, 140 milioni di ettari sono stati utilizzati per quattro coltivazioni dominanti ed intensive: soia, olio di palma, olio di colza e zucchero di canna, con elevate emissioni di gas serra. I piccoli contadini oggi sono confinati in meno di un quarto delle terre coltivabili nel mondo eppure continuano a produrre la maggior parte del cibo (l’80% del cibo nei paesi non industrializzati). Perché l’agricoltura su piccola scala è più efficiente ed è la soluzione migliore per il pianeta.
5. Dimenticate le false soluzioni, concentratevi su ciò che funziona
Ormai si ammette che la questione agricola è centrale per i cambiamenti climatici. Eppure non ci sono politiche che sfidino il modello dominante dell’agricoltura e della distribuzione industriali, anzi: governi e multinazionali spingono per far passare false soluzioni. Per esempio, i grandi rischi legati agli organismi geneticamente modificati, la produzione di “biocarburanti” che sta contribuendo ancor più alla deforestazione e all’impoverimento dei suoli, continuano ad essere utilizzati i combustibili fossili, si continua a devastare le foreste e a cacciare le popolazioni indigene. Tutto ciò va contro la soluzione vera che può essere solo il passaggio da un sistema industriale di produzione del cibo a un sistema nelle mani dei piccoli agricoltori.
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