Il 25 dicembre l’Iran ha iniziato una vasta esercitazione militare intitolata “Muhammad Rosulullah”
(Muhammad Messaggero di Allah), dimostrando la capacità di respingere
un attacco lanciato dal Golfo di Oman. L’esercitazione si svolge su una
superficie di 2,2 milioni di chilometri quadrati dallo Stretto di Hormuz
al confine con il Pakistan e al 1° parallelo nord nell’Oceano Indiano
comprendendo alcune parti orientali e meridionali del territorio
iraniano. Il comandante della Marina iraniana Contrammiraglio Hobibullah
Sayari ha commentato dicendo che l’Iran non nutre piani aggressivi
contro i confinanti e che la sua crescente potenza militare sarà
utilizzata per la difesa degli interessi e del territorio nazionali.
Ha
sottolineato la disponibilità dell’Iran a garantire la sicurezza
dell’Oceano Indiano settentrionale ad est dello Stretto di Hormuz e di
avere esercitazioni congiunte con gli Stati confinanti, in futuro. La
dichiarazione s’integra con la posizione ufficiale della leadership
iraniana, che ritiene che i Paesi del Medio Oriente possano affrontare i
problemi della sicurezza in modo indipendente e senza una presenza
militare straniera.
Le attività dell’Iran nella regione non sono
limitate solo alle esercitazioni militari su larga scala. Teheran
aumenta anche gli aiuti militari e di altro tipo all’Iraq in lotta
contro il gruppo terroristico Stato islamico. Ali Yunessi, l’assistente
speciale al presidente per le minoranze etniche e religiose in Iran, ha
detto che l’Iran considera la sicurezza dell’Iraq propria. Il principio
definisce la politica verso il prossimo. Questa estate l’esercito
iracheno ha subito una sconfitta nella lotta ai militanti dello Stato
islamico. Anche le unità di autodifesa peshmerga curde combattono gli
islamisti, ma soprattutto perseguono obiettivi che hanno poco a che fare
con l’integrità territoriale dell’Iraq.
Le formazioni armate sciite
hanno inflitto allo Stato islamico delle sconfitte in Iraq di recente.
Sono l’unica forza su cui Haydar al-Abadi, il nuovo primo ministro
dell’Iraq, può contare. Nello Yemen gli sciiti del gruppo ribelle al-Huthi (Partigiani di Dio) hanno avuto numerosi successi militari sulle forze governative. Ora avanzano dai governatorati (Muhafazah)
di Sadah, Hajah e al-Jawf prendendo il controllo di gran parte di
Sanaa, capitale della nazione, compresi gli edifici governativi, facendo
dimettere il primo ministro yemenita Muhamad Salim Basindwa. Anche se
gli Huthi non hanno alcuna rappresentanza nel nuovo governo, esercitano
una forte influenza su esso e sulla situazione nel Paese in generale.
L’Iran è il principale sostenitore del gruppo.
I colloqui sul nucleare sono il problema principale che definisce la politica estera iraniana. Vi sono state molte indicazioni sui media secondo cui un accordo globale USA-Iran è prossimo rendendo possibile la revoca delle sanzioni. In questo caso i Paesi non saranno più avversari. Ciò gli consentirebbe di compiere progressi nelle relazioni bilaterali. Potrebbero anche diventare quasi partner. Molti credono che l’emergere del comune nemico Stato islamico potrebbe ridurre le differenze e riavviare il rapporto magari rendendolo più stretto come ai tempi dello Shah. Tali speculazioni evocano grande preoccupazione tra molti attori del Medio Oriente, non importa quanto diversi siano per esempio Israele e Arabia Saudita.
I suggerimenti secondo cui Stati Uniti
e Iran si avvicinano al disgelo nelle loro relazioni si sono rafforzati
il 24 dicembre quando i colloqui sul nucleare “big six” – Iran si
avvicinavano alla scadenza. Non è così. Le differenze sono troppo ampie e
i colloqui sul nucleare non si sono conclusi entro la data fissata, per
estendersi fino a luglio 2015. Le sanzioni statunitensi continuano a
rimanere in vigore e gli iraniani non fanno nulla per nascondere la loro
frustrazione. Inoltre, in Iran è sempre più forte la sensazione che il
calo del prezzo del petrolio non sia diretto solo contro la Russia, ma
anche ad indebolire la posizione iraniana ai colloqui sul nucleare.
Forse Washington ritiene che il calo del prezzo del petrolio con il
fallimento alla tavola rotonda comporterebbe una frattura nella
leadership iraniana, per esempio tra moderati come il Presidente Ruhani e
il ministro degli Esteri Muhamad Javad Zarif, da un lato, e il leader
spirituale dell’Iran Ali Khamenei, fortemente sostenuto dal Corpo delle
Guardie Rivoluzionarie dell’Iran (IRGC) dall’altro. Le voci sulla
frattura sono circolate sui media occidentali per molto tempo senza
essere mai confermate. Inoltre, il Comandante in Capo del Corpo delle
Guardie Rivoluzionarie, Generale Muhamad Ali Jafari, ha categoricamente
negato tali speculazioni dicendo che erano il risultato di “operazioni
psicologiche del nemico”. Secondo lui, il Presidente Ruhani si fida
pienamente delle Guardie Rivoluzionarie. Senza dubbio, la dichiarazione
del comandante delle Guardie Rivoluzionarie riecheggia le opinioni del
leader spirituale iraniano.
Sembra che l’Iran cerchi di lasciare a Stati Uniti e altri Stati sapere se ha abbastanza carte vincenti nella manica. Gli eventi in Yemen ricordano agli statunitensi che gli sciiti vivono anche in diverse parti del Medio Oriente, per esempio nelle zone orientali dell’Arabia Saudita, dove si trovano i principali impianti di produzione di petrolio. Questo fatto può essere usato a vantaggio dell’Iran in diverse combinazioni geopolitiche. Semjon Bagdasarov, Direttore del Centro di Studi per il Medio Oriente e dell’Asia centrale (Russia), ha paragonato l’Arabia Saudita senza le sue province orientali a un deserto senza petrolio. I territori sunniti dell’Iraq ora sotto il controllo dello Stato islamico non hanno giacimenti di petrolio. Il controllo di questa parte dell’Iraq non comporta il profitto economico necessario per finanziare il costoso processo per minare la stabilità del Medio Oriente.
L’Iran è seriamente intenzionato ad effettuare attacchi di
precisione sui punti deboli individuati nel sistema di relazioni
internazionali statunitense che trasforma i gruppi terroristici sotto
bandiera islamica nel motore principale della destabilizzazione globale.
Da un lato, gli Stati Uniti usano l’aeronautica per colpire lo Stato
Islamico mentre, dall’altra parte, fanno grandi sforzi per eliminare
tutti gli ostacoli sulla via islamista.
La comprensione reciproca tra Iran, Russia e Cina fermò l’offensiva degli Stati Uniti in preparazione contro la Siria nel 2013. Il rifiuto di Teheran nel rinunciare al programma nucleare in cambio delle vuote promesse statunitensi è una prova del fatto che gli iraniani hanno tratto le giuste conclusioni osservando il destino di Milosevic, Sadam Husayn e Muammar Gheddafi.
Arkadij Dzjuba Strategic Culture Foundation
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line della Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2014/12/30/liran-pronto-a-un-nuovo-confronto-con-gli-stati-uniti-se-non-ce-altra-opzione/
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