Negli
ultimi anni gli allevamenti di bovini e di altri ruminanti sono stati
additati come un’importante causa del Riscaldamento Globale. Questi
animali con i loro flati ed eruttazioni producono una quantità notevole
di gas serra che, secondo alcuni, contribuirebbe non poco ai cambiamenti
climatici, sebbene pare che dopo i primi catastrofici annunci la
questione sia stata ridimensionata.
Un miliardo e mezzo di soli bovini
attualmente nel mondo sembra eccessivo, ma prima della crescita numerica
di questi animali il Pianeta era decisamente più affollato di ruminanti
di adesso. Infatti, pare che nell’America del Nord poco prima che i
bianchi ci mettessero piede prosperassero 70 milioni di bisonti, dai 30
ai 40 milioni di antilopi, 10 milioni di alci, 10 milioni di cervi e
qualcosa come 2 milioni di capre di montagna. E questo solo nel Nord
America. Se poi aggiungiamo tutti gli altri ruminanti, rigorosamente
metano-produttori, che popolavano numerosi le pianure africane, come
giraffe, gazzelle, bufali, antilopi, kudu, ecc, arriviamo a cifre
astronomiche, che fanno impallidire quelle degli attuali bovini di
allevamento, cui si attribuiscono così gravi danni per il Pianeta.
Inoltre, l’innalzamento dei gas serra
atmosferici iniziarono ad aumentare vistosamente solo dagli anni ’40,
quando l’incremento numerico di animali da allevamento era già iniziato
da un pezzo. Infatti nel 1870 nel Nord America si contavano 25 milioni
di bovini e 28 milioni di pecore, mentre tra il 1880 e il 1920
l’Argentina aveva già un notevole stock di bovini che pascolavano sulle
sue estese pianure.
Tuttavia, sicuramente, i moderni
allevamenti di animali da carne o da latte non sono certo un toccasana
per l’atmosfera e per l’ambiente. Un certo vegetarianesimo salvifico e
irrazionale vorrebbe che questi e tutte le altre forme di allevamento
animale per scopi alimentari sparissero, ma questa è pura fantasia, il
vegetarianesimo non è la soluzione. Su di un fatto però sono d’accordo:
considerato l’aumento della popolazione mondiale, si tratta di
riconsiderare i consumi individuali di carne, rivedere gli attuali
metodi intensivi di allevamento e rivalutare quelli tradizionali. Il
paesaggio, l’agricoltura e, come vedremo, anche l’ambiente, hanno
bisogno degli animali, così è stato per millenni, tempo in cui l’uomo ha
addomesticato animali e plasmato l’ambiente. Inoltre, vaste zone
prative del Pianeta non sono sfruttabili dall’agricoltura, ma lo sono da
parte di animali al pascolo, che trasformano in cibo vegetali per noi
non commestibili.
Quindi, il primo passo non è diventare
tutti vegetariani o vegani, ma innanzitutto sostenere e ampliare forme
di allevamento più ecosostenibili. Infatti, quando adeguatamente
gestito, l’allevamento brado o semibrado, rispetto a quello intensivo,
porta a notevoli benefici all’ambiente ed è ecologicamente superiore
alle colture cerealicole. Questo è quello che emerge da diversi studi e
dalle esperienze di gruppi di allevatori che attuano un tipo di
allevamento che non solo non danneggia il suolo, ma lo rende ancora più
fertile.
Nel caso dei bovini, una dieta a base di
erba da pascolo richiede un minor consumo di petrolio rispetto ad una a
base di insilati di mais o di soia. Inoltre, pascolando, gli animali si
procurano da soli il cibo e fertilizzano la terra, due operazioni che
se condotte dall’uomo prevedono un maggiore consumo di pesticidi e
combustibili fossili. Se ben concepito, l’allevamento brado garantisce
un terreno sempre coperto di erba, che in questo modo trattiene umidità e
fertilità e assorbe energia solare. Inoltre, come si evince da uno
degli studi citati più avanti, le superfici mantenute dall’uomo a
pascolo rimuovono la CO2 dall’atmosfera in modo molto più efficiente
rispetto alle superfici erbose non destinate al pascolo animale e
addirittura rispetto alle superfici coperte di foreste, contribuendo in
questo modo al rallentamento del cosiddetto Global Warming.
Secondo alcuni esperti, il 75% delle
superfici mondiali a pascolo sono degradate non perché ci sono troppi
bovini che le pascolano, ma perché ce ne sono troppo pochi.
Vediamo adesso alcuni studi scientifici:
1) Allevare i bovini al pascolo, come si
faceva una volta, ha notevoli effetti positivi per l’ambiente e per la
salute dell’uomo. Questa è la conclusione cui è giunto uno studio della
USDA Agricultural Research Service. Vacche da latte allevate brade
liberano nell’atmosfera il 30% in meno di ammoniaca rispetto a quelle
che vivono confinate negli allevamenti intensivi. Questa riduzione
riguarda anche altri gas serra, come metano, ossido di azoto e CO2.
Infine la “carbon footprint” dell’allevamento brado è del 6% in meno
rispetto ad un allevamento convenzionale. E come al solito, si conferma
che il latte delle vacche libere ha una qualità decisamente superiore
rispetto a quello delle vacche stabulate.
2) Lo scorso aprile, il ministro
dell’Agricoltura britannico, Jim Page, ha reso pubblici i risultati di
un nuovo studio che mostra come l’arricchimento di zucchero dell’erba da
pascolo riduca le emissioni di gas serra del 20%. Lo zucchero permette
agli animali di digerire con molta più efficienza le proteine dell’erba
3) Uno studio americano durato circa 12
anni ha studiato l’impatto che gli animali da pascolo hanno sul suolo.
Rispetto alle superfici erbose non adibite al pascolo, quelle
moderatamente pascolate hanno più CO2 immagazzinato nel terreno.
Maggiore è il CO2 è immagazzinato nel suolo, migliore è la sua fertilità
e minore sono gas serra nell’atmosfera.
4) La UCS (Union for Concerned
Scientists), durante un convegno, tenuto nello scorso febbraio, dal
titolo “Il riscaldamento globale e l’allevamento brado negli USA” ha
affermato che, nonostante il bestiame produca gas serra, è provato che
allevare in modo corretto gli animali allo stato brado permette il
mantenimento di ampi pascoli capaci di assorbire grandi quantità di gas
serra e trasformali in nutrimento. Gli scienziati della UCS danno un
giudizio globalmente positivo a questo modo di allevare gli animali.
Ecco riassunte alcune delle loro raccomandazioni principali:
a)migliorare la qualità del pascolo aggiungendo il trifoglio; b) gestire
gli animali in modo che disseminino le loro deiezioni in modo
uniforme; c) evitare il “sovrappascolo” e l’impoverimento del suolo; d)
attuare il metodo della rotazione; e) trovare il modo di incrementare la
produzione di erba durante tutto l’anno; f) arricchire il terreno con
giuste quantità di azoto a lento rilascio e nel periodo più appropriato.
5) Sempre più gente è convinta che
consumare carne abbia un impatto negativo per l’ambiente. Questo
potrebbe essere vero soprattutto se si consuma carne, ma anche latte e
latticini, di allevamenti intesivi. Invece il consumo di prodotti
animali di allevamenti tradizionali, bradi o semibradi ha un netto
vantaggio per l’ambiente. Uno studio scientifico del Natural Resources
Conservation Service (USA) indica i seguenti punti: a) gli animali da
pascolo si nutrono di piante comunque non commestibili per l’uomo; b) la
carne proveniente da animali bradi necessita solo di una caloria di
carburante per produrre due calorie di cibo. La gran parte delle
coltivazioni cerealicole e di altre piante necessitano dalle 5 alle 10
calorie di combustibile fossile per ogni caloria di cibo prodotta; c) un
pascolo ben gestito trattiene più acqua piovana rispetto a terreni
agricoli con altra destinazione; d) le superfici a pascolo rallentano il
riscaldamento globale, assorbendo efficacemente la CO2 dall’atmosfera.
Le Grandi Pianure americane assorbono 40 tonnellate di CO2 per acro, un
terreno della stessa superficie coltivato per altri scopi ne assorbe
solo 26; e) un territorio a pascolo ben gestito è anche più ricco di
fauna selvatica e biodiversità, trattiene molto meglio la pioggia e
produce corsi d’acqua più pulita, più abbondante, sia per gli animali
che per l’uomo. Mantenere un territorio a pascolo vuol dire anche
conservare ambienti tradizionali e caratteristici, poco o nulla
antropizzati.
6) Tutti i ruminanti, inclusi i bovini,
ovini e caprini producono una notevole quantità di metano dovuta alla
digestione di una dieta vegetariana. Il metano è un principale gas
serra, pertanto ridurre la produzione di questo gas è importante per
proteggere l’ambiente. Gli zoologi hanno scoperto che dividere il
pascolo in settori separati dove gli animali stazionano in tempi diversi
porta alla crescita di erba più nutriente. Inoltre, le vacche che
pascolano su quest’erba producono il 20% in meno di metano. Questo
sistema di gestione del pascolo è stato denominato MiG (Management
Intesive Grazing) e attuato da molti allevatori americani.
7) L’agricoltura non può dirsi
sostenibile se continua ad impoverire lo strato superiore fertile del
terreno. Uno studio condotto dalla University of Wisconsin Discovery
Farms Program ha mostrato che le coltivazioni estensive di soia e mais
erodono e impoveriscono il suolo di 6 volte di più rispetto ad un
allevamento brado di animali. Secondo Dennis Frame, il direttore di
Discovery Farms, se la tendenza di molti agricoltori di abbandonare
l’allevamento brado e di darsi alle coltivazioni cerealicole non si
inverte, l’impoverimento del suolo sarà inarrestabile.
8) Ecco un altro studio simile al
precedente. Sei allevatori di bovini bradi del Minnesota hanno chiesto a
dei ricercatori di confrontare la fertilità dei propri pascoli con i
terreni coltivati a mais, soia, avena e fieno dei loro vicini
agricoltori. Dopo quattro anni di studio, i ricercatori hanno concluso
che se il terreno a pascolo è ben gestito, rispetto al terreno coltivato
a cereali, ha i seguenti vantaggi: a)
131% in più di lombrichi (quindi,
più fertilità); b) 53% in più di stabilità del terreno (meno erosione);
c) decisamente più materia organica; d) meno inquinamento delle falde;
e) corsi d’acqua più puliti; f) migliore habitat per uccelli selvatici e
altra fauna. Quindi, gli allevamenti di animali non sono in assoluto
negativi per l’ambiente, ma dipende da come vengono gestiti.
9) Le vacche da latte allevate in modo
intensivo vivono meno. Sono munte con ritmi innaturali, stressate,
nutrite con molti cereali e non vedono mai un prato. Hanno
infiammazioni, infezioni e problemi di infertilità che le portano a
morte dopo 2 o 3 anni dalla nascita. Le vacche allevate al pascolo sono
più forti, sane e fertili. Danno un latte decisamente migliore e possono
vivere fino a 12 anni. Si tratta di animali decisamente meno stressati e
più felici e secondo uno studio britannico producono l’11% in meno di
metano.
10) Attualmente gli USA stanno perdendo 3
miliardi di tonnellate di strato di terreno fertile ogni anno. Questo è
dovuto principalmente alle coltivazioni convenzionali di soia e mais
per uso animale. In paragone, una corretta gestione a pascolo delle
terre riduce del 93% la perdita di superficie fertile.
11) Un numero sempre più numeroso di
allevatori americani si sta convertendo al “green grazing”, un modo di
far pascolare gli animali che permette di conservare o ricostituire la
fertilità della terra. La T.O Cattle Company in San Juan Bautista, in
California, ha praticato questo tipo di allevamento dal 1993. Si tratta
di controllare attentamente le mandrie al pascolo, in modo da mimare
l’impatto che avrebbe un branco di ungulati selvatici (cervo, alce,
antilope ) sull’ambiente. Studiando bene questo metodo si è capito che:
a) aumenta il numero delle specie di piante autoctone e delle erbe
perenni; b) aumenta la copertura vegetale delle sponde dei torrenti; c)
aumenta l’estensione delle zone umide; d) accelera la decomposizione
del letame bovino; e) aumenta il periodo vegetazionale dei pascoli.
12) E’ cosa nota che gli alberi
assorbono CO2 dall’atmosfera e la immagazzinano come carbonio. Tuttavia,
un nuovo studio della Duke University mostra che la gestione e
conservazione delle zone a pascolo è meglio di piantare alberi. I
ricercatori affermano. “I prati ingannano, non sono come gli alberi che
accumulano gas serra e crescono vistosamente. I prati accumulano sotto
terra, nella massa radicale e lo fanno meglio degli alberi”.
Francesco Perugini Billi©
Bibliografia presso l’autore.
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