E’
normale definirsi cattolici romani? E’ normale svolgere un lavoro salariato? E’
normale condurre le proprie vite in un contesto familiare codificato? E’
normale ricevere un’alfabetizzazione imposta?
La
lista delle domande retoriche potrebbe prolungarsi all’infinito. Per la
neuropsichiatria, la normalità è lo stato di riferimento verso il quale l’individuo
e la terapia dovrebbero procedere. Per lo Stato, le maglie della normalità sono
ancora più strette. Per le multinazionali infine, ad un’apparente libertà esteriore
accettata ed a volte incoraggiata, segue una definizione di normalità come
propensione alla predazione ed al consumo.
Alcuni
esseri umani, la cui esistenza è stata fonte di esempio e sommo interesse, come
San Francesco od Ernesto Guevara, non rientrano senza dubbio nella definizione
di persone normali. Quando è ammesso quindi svincolarsi dai rigidissimi binari
della normalità? In che modo ciò è permesso?
Normalità
è un concetto che ‘dialoga’ sempre con Libertà. I nostri ‘gradi di libertà’ si
riducono ogni giorno che passa. Quelle mostruose sovrastrutture definite Stati
o Comunità infatti ridefiniscono in continuazione l’archetipo del ‘cittadino
normale’, delineandone gli aspetti (sempre più intimi e reconditi) attraverso
leggi, protocolli sanitari, istruzione, norme e balzelli.
Negli
ultimi tempi, stiamo assistendo ad un processo costrittivo di normalizzazione
dell’individuo che rasenta il grottesco. Alle tradizionali imposizioni sociali
se ne sono aggiunte, spesso a loro parziale sostituzione, delle nuove ben
codificate ed ispirate ad un idea di individuo sorprendente e schizofrenica.
Se da
un lato infatti si inneggia alla libertà sessuale, dall’altro si costringe ad un
quadro vaccinale obbligatorio denso e preoccupante. Uno stato ebetoide viene
indotto con tutti i mezzi a disposizione dei ‘pastori’ (leciti ed illeciti – ma
cosa è più definibile illecito?) mentre si procede alla ridefinizione dei settaggi
esistenziale collettivi, sin negli aspetti più profondi ed intimi della natura
umana.
Esiste
quindi un chiaro intento di ridefinire l’archetipo della normalità verso la serializzazione
delle esperienze. Il controllo della comunicazione è esaustivo. I modelli
proposti sono volutamente schizoidi e deleteri. Alla religione di Stato, quella
cattolica, si sono mescolate le lusinghe costrittive di una normalità oppiacea,
ebbra della sua deficienza.
Sopravvivono
- ma ancora per quanto? – slanci di generosità e compassione, annacquati dai
loro surrogati codificati propinati alle masse dalle sedicenti organizzazioni
umanitarie. Languono residui di originalità intellettuale, ben repressi dalle
psichiatrie inquisitorie e reindirizzati in lidi sterili dalle abili mani dei
registi, scrittori e imbonitori di regime.
E’
normale seguire ritmi imposti alla propria giornata? E’ normale sottostare al
ricatto della ‘pagnotta’? E’ normale chinare il capo di fronte ad invisibili
entità superiori indecifrabili ed oscure? Renzi, è un individuo normale?
Giocare a calcetto od andare agli 'scout' è normale? Andare alla prima comunione con un lucidissimo nero SUV è normale?
Normalità,
nel prossimo futuro, sarà un concetto sempre più abbinato e confuso con la superficialità, la socialità
imposta, lo stato oppiaceo, la produzione di inutili e deleterie performance (come
quelle sportive codificate oppure quelle intellettuali quantificate), l'assenza
di pensiero creativo od indefinibile (non sia mai). Una normalità che somiglia sempre più ad un freddo carcere con
le mura di vetro.
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