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Sputnik. Alexandr Maksimenko
Il ministro degli esteri tedesco,
Steinmeyer, non ha soltanto spento l'illusione di un prossimo ingresso
dell'Ucraina nell'Unione Europea, ma ha segnato una netta svolta
politica della Germania nei confronti dell'Ucraina di Petro Poroshenko.
Va
detto che le appena defunte speranze di Kiev in questa direzione erano
nate proprio nel corso della cosiddetta "rivoluzione" di Euromaidan,
quando sia Bruxelles che Washington (quest'ultima senza averne,
in verità, alcun titolo) inviarono decine di loro alti e meno alti
rappresentanti sulla famosa piazza della capitale ucraina a invitare,
eccitare, incoraggiare la folla al "passo storico" dell'"uscita
dall'orbita russa" e l'ingresso nell'abbraccio occidentale. Berlino, con
le ripetute dichiarazioni della signora Merkel non era stata da meno,
nel corso degli ultimi mesi del 2013 e in buona parte dello scorso anno,
nel far credere ai manifestanti russofobi che, da ora in avanti,
sarebbero stati accolti a braccia aperte nella famiglia europea.
Dunque le parole di Steinmeyer suonano oggi come un'esplicita e anche amara autocritica.
Fu infatti responsabilità tedesca e, in generale, dell'Unione, l'affrettata decisione del premier Yatseniuk — nell'agosto 2014 — di introdurre nella legislazione ucraina una modifica sostanziale, la fine della posizione come "paese non allineato" che il governo di Ucraina aveva assunto nel momento della proclamazione dell'indipendenza dall'Unione Sovietica.
Decisione molto affrettata, visto che oggi Steinmeyer comunica ufficialmente — ed è davvero una svolta di 180 gradi — che l'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea non solo "non è, al momento, in un orizzonte prevedibile", ma non lo sarà nel corso "di alcune generazioni". Tante quanto sarà il tempo necessario per "rimettere ordine nella situazione economica e politica del paese".
Per misurare il voltafaccia tedesco basti ricordare che lo stesso presidente Poroshenko si era spinto fino a misurare il percorso da compiere per raggiungere l'agognata meta dell'ingresso in Europa nel modico intervallo di cinque anni. Lo fece nel settembre 2014, quando ancora le sorti della guerra civile contro il Donbass sembravano favorevoli a Kiev. Fu in quel contesto euforico che venne enunciata la "Strategia-2020", un piano di riforme che avrebbe dovuto mettere in ordine la casa prima della festa. Steinmeyer a Berlino devono avere rifatto i loro conti e concluso che è più probabile che la casa crolli prima di ogni prevedibile data.
Molti osservatori internazionali, inclusi i commentatori americani, sono giunti alla conclusione che nemmeno il secondo piano di salvataggio dell'economia ucraina, quello dei quindici miliardi di dollari che sarà erogato dal Fondo Monetario Internazionale, sarà sufficiente. Ci vorranno iniezioni da 40-50 miliardi di dollari aggiuntivi. Che dovranno poi essere restituiti ai tassi d'interesse che, come sappiamo, affondarono diversi paesi, tra cui l'Argentina. Per la gioia degli speculatori della grande finanza che già si aggirano nei cieli bancari di Kiev, come George Soros e i Rothschield.
Resta, di quel "sogno europeo", soltanto la Nato. I falchi di Kiev speravano — e sperano — che, anche se l'Europa si allontana, ci sarà il modo di avvicinarsi entrando almeno nella Nato.
Steinmeyer, cioè la Germania, non la pensa nello stesso modo. E dice che, al massimo, Kiev potrà ottenere lo status di "partner speciale non membro" della Nato.
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AP Photo/ Lefteris Pitarakis - Il ministro degli esteri tedesco Steinmeier
Dunque le parole di Steinmeyer suonano oggi come un'esplicita e anche amara autocritica.
Fu infatti responsabilità tedesca e, in generale, dell'Unione, l'affrettata decisione del premier Yatseniuk — nell'agosto 2014 — di introdurre nella legislazione ucraina una modifica sostanziale, la fine della posizione come "paese non allineato" che il governo di Ucraina aveva assunto nel momento della proclamazione dell'indipendenza dall'Unione Sovietica.
Decisione molto affrettata, visto che oggi Steinmeyer comunica ufficialmente — ed è davvero una svolta di 180 gradi — che l'adesione dell'Ucraina all'Unione Europea non solo "non è, al momento, in un orizzonte prevedibile", ma non lo sarà nel corso "di alcune generazioni". Tante quanto sarà il tempo necessario per "rimettere ordine nella situazione economica e politica del paese".
Per misurare il voltafaccia tedesco basti ricordare che lo stesso presidente Poroshenko si era spinto fino a misurare il percorso da compiere per raggiungere l'agognata meta dell'ingresso in Europa nel modico intervallo di cinque anni. Lo fece nel settembre 2014, quando ancora le sorti della guerra civile contro il Donbass sembravano favorevoli a Kiev. Fu in quel contesto euforico che venne enunciata la "Strategia-2020", un piano di riforme che avrebbe dovuto mettere in ordine la casa prima della festa. Steinmeyer a Berlino devono avere rifatto i loro conti e concluso che è più probabile che la casa crolli prima di ogni prevedibile data.
Molti osservatori internazionali, inclusi i commentatori americani, sono giunti alla conclusione che nemmeno il secondo piano di salvataggio dell'economia ucraina, quello dei quindici miliardi di dollari che sarà erogato dal Fondo Monetario Internazionale, sarà sufficiente. Ci vorranno iniezioni da 40-50 miliardi di dollari aggiuntivi. Che dovranno poi essere restituiti ai tassi d'interesse che, come sappiamo, affondarono diversi paesi, tra cui l'Argentina. Per la gioia degli speculatori della grande finanza che già si aggirano nei cieli bancari di Kiev, come George Soros e i Rothschield.
Resta, di quel "sogno europeo", soltanto la Nato. I falchi di Kiev speravano — e sperano — che, anche se l'Europa si allontana, ci sarà il modo di avvicinarsi entrando almeno nella Nato.
Steinmeyer, cioè la Germania, non la pensa nello stesso modo. E dice che, al massimo, Kiev potrà ottenere lo status di "partner speciale non membro" della Nato.
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Sputnik. Ministry of Foreign Affairs of the Russian Federation - Un momento dell'incontro fra Kerry e Lavrov a Sochi.
Qui Berlino deve tenere conto dei voleri di Polonia, e delle tre repubbliche del Baltico, che invece vorrebbero un ingresso immediato dell'Ucraina nell'Alleanza Atlantica. Ma anche i "quattro cavalieri dell'Apocalisse" europea dovranno a loro volta tenere conto che il resto dell'Europa non ha nessun desiderio di trovarsi come alleato un paese il cui parlamento, la Verkhovna Rada, ha approvato una legge che cancella i diritti civili nel Donbass.
Italia, e Francia, per esempio, oltre che Grecia e Spagna, hanno già ripetutamente manifestato segni di irritazione per lo stato del disordine interno in Ucraina. Uccisioni di oppositori politici, arresti, intimidazioni, presenza di bande armate naziste, evidentemente incontrollabili, invitano gran parte dell'Europa alla prudenza. E, a quanto pare — lo dimostra l'improvviso viaggio di John Kerry a Sochi, per incontrare Putin e Lavrov — anche a Washington c'è chi pensa che non è con questa leadership ucraina che la situazione politica e sociale potrà essere riportata a livelli di elementare decenza.
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