Nel 1953 quella che fu allora chiamata legge elettorale truffa non scattò perché la Democrazia
Cristiana ed i suoi alleati non raggiunsero il quorum richiesto del
50%+1 dei voti validi. Quella che doveva essere un’alleanza al centro in
grado di acchiappare consenso in tutte le direzioni perse invece voti
ad ampio raggio, alla sua sinistra prima di tutto, ma anche alla sua
destra. Il progetto autoritario allora aveva respinto, invece che
attrarre. Oggi l’Italicum è molto più pericoloso della legge truffa del
‘53, che comunque assegnava un premio parlamentare consistente a chi già
avesse conseguito la maggioranza assoluta dei voti. Oggi, grazie al
trucco del ballottaggio che aggira la sentenza della Corte
Costituzionale, un partito come il Pd che, aldilà dell’exploit delle
europee, si attesta normalmente attorno al 30% dei voti validi, potrà
conseguire una maggioranza assoluta priva di contrappesi e controlli. Ho
detto il Pd ma in realtà avrei più correttamente dovuto dire il suo
segretario presidente Renzi, che si è costruito un sistema di governo
che gli darà un potere praticamente assoluto.
Come ha notato eufemisticamente Eugenio Scalfari siamo a una democrazia che affida il potere
all’esecutivo. Che è ciò che normalmente avviene in ogni dittatura.
Renzi sarà eletto direttamente dal ballottaggio come un sindaco e godrà
di un parlamento esautorato, composto da una netta maggioranza di
nominati o fedelissimi. Ci sarà una sola Camera che decide su tutto
sulla base degli ordini del capo del governo. Camera che nominerà gli
organismi di controllo senza, scusate il bisticcio, controlli. E se
pensiamo che la recente sentenza della Corte Costituzionale sulle
pensioni sembra sia stata decisa sei contro sei, con
il voto determinante del presidente, possiamo tranquillamente
concludere che al nuovo Parlamento renziano basterà nominare un solo
nuovo giudice costituzionale per cambiare gli orientamenti di tutta la
corte.
Un potere
pressoché assoluto, dunque, per fare che? Quello che sta costruendo
Renzi in realtà è un sistema autoritario che non è in proprio, ma è
fondato su una sorta di fideiussione bancaria. Il programma fondamentale
del governo è sempre quello della lettera del 5 agosto 2011 firmata da
Trichet e da Draghi. Che come presidente della Bce continua a vigilare
meticolosamente che quel programma stilato assieme al suo predecessore
sia scrupolosamente attuato. Il 28 maggio 2013 la Banca Morgan ha
presentato un documento politico che metteva sotto accusa la
Costituzione italiana assieme a quelle di tutti i paesi europei
“periferici” e in crisi.
Queste Costituzioni, secondo quel documento, nate dopo la vittoria sul
fascismo, sono segnate dal peso eccessivo della sinistra e del pensiero
socialista, e per questo ostacolano le riforme liberali che servono a
salvare l’euro.
Con toni più brutali un editoriale de “Il Sole 24 Ore”, pochi giorni
fa, polemizzava con la sentenza della Corte Costituzionale, affermando
che con il pareggio di bilancio come vincolo costituzionale, gli
obblighi del Fiscal Compact e il primato dei mercati globali, non ha più
senso parlare di diritti indisponibili. Non crediate di avere dei diritti, si diceva una volta. I poteri forti, le grandi multinazionali, la finanza e le banche hanno da tempo deciso che il sistema di diritti sociali europeo è, per i loro concreti interessi, insostenibile. La crisi
è stata un grande occasione per realizzare compiutamente un obiettivo
cui si lavora da oltre trenta anni, e le riforme politiche autoritarie
ne sono lo strumento. Renzi si è quindi trovato al posto giusto nel
momento giusto. Guai a fare nei suoi confronti lo stesso errore di
sottovalutazione compiuto dalla sinistra democratica verso Berlusconi; e non solo per il compatto sostegno che riceve dai poteri forti italiani ed europei e da tutto il sistema dei mass media. Anche Monti aveva questo stesso sostegno, per fare sostanzialmente la stessa politica, ma non ce l’ha fatta.
La forza di Renzi sta proprio nella posizione e nella rappresentanza politica assunta. È un errore credere che egli sia un democristiano. No, la sua formazione politica
non è tanto rilevante quanto il ruolo che ha deciso di interpretare. È
questo ruolo è tutto all’interno della sconfitta e della rassegnazione
della sinistra tradizionale. Matteo Renzi ha scalato il Pd, che è bene
ricordare inizialmente lo aveva respinto, dopo che il vecchio e
inconcludente riformismo era stato sconfitto. Egli ha usato
spregiudicatezza e populismo con una classe politica disposta a tutto pur di non perdere il potere.
Per capire quello che è successo dobbiamo pensare ad altri fenomeni di
trasformismo di massa nella storia della sinistra del nostro paese.
Crispi alla fine dell’800, Mussolini, Craxi e naturalmente Berlusconi
sono tutti predecessori non casuali di Matteo Renzi.
Il nostro è diventato il secondo paese cavia dell’esperimento
liberista dopo la Grecia. In quel paese la Troika ha esagerato e ne è
consapevole, per questo in Italia il progetto è diverso. Non negli
obiettivi, che sono gli stessi, dal lavoro, alla scuola, alla sanità,
alle pensioni, a tutti i diritti sociali. Si vuole arrivare alla stessa società di mercato brutalmente imposta alla Grecia, ma evitando la stessa reazione politica. Quindi più furbizia e anche tempo nelle misure da adottare e soprattutto lavoro per costruire
un blocco di consenso politico attorno ad esse. A questo serve la
mutazione genetica del Pd in partito della nazione. Che in realtà è un
partito collaborazionista con la Troika e con tutti i poteri economici
finanziari internazionali.
Il partito della nazione che collabora costruisce così le sue cordate
di consenso, da Marchionne ai sindacati complici, da Farinetti alla
nuova Milano da bere, dai presidi a tutto quel mondo politico e sociale
proveniente dalla sinistra il cui sentire di fondo può essere così
riassunto: abbiamo speso tanto senza risultati, ora si guadagna. Non è
vero che Renzi voglia liquidare i corpi intermedi, non è così sciocco sa
che sarebbe impossibile. Quello che vuole il segretario del Pd è un
corpo di organizzazioni addomesticate e funzionali e a questo sta
concretamente lavorando, come dopo il Jobs Act e la “Buona scuola”,
mostra il progetto di legge Civil Act sul terzo settore.
Renzi è l’espressione di un progetto politico reazionario di
adattamento dell’Italia ai più duri vincoli della peggiore
globalizzazione, per questo battere lui ed il suo partito della nazione
non sarà opera breve, né facile, ma è la condizione perché il paese
possa riprendere davvero a progredire. Oggi contro Renzi sta un destra
disfatta, nella quale lo stesso sistema mediatico renziano fa emergere
il nazista dell’Illinois Matteo Salvini come avversario di comodo. Poi
c’è il Movimento 5 Stelle che conduce
lotte importanti, ma in evidente difficoltà di fronte al populismo
anticasta fatto proprio dal renzismo. E infine c’è l’arcipelago delle
forze della sinistra politica e sociale. La forza di Renzi è la debolezza di questo fronte, il che permette alla sua politica di destra di contare su un vasto consenso elettorale nel popolo della sinistra.
Gli insegnanti che sfilavano in corteo il 5 maggio gridavano di non
votare più Pd. È un segnale importante, ma insufficiente. Occorre un
rottura più profonda. Occorre che tutto il corpo sociale e politico
della sinistra consideri il renzismo non come un gruppo di compagni che
sbagliano, ma come il primo e principale avversario. Le ambiguità ed i
compromessi di chi si dichiara contro Renzi ma poi si allea con il Pd
nelle elezioni locali, o dei dirigenti sindacali che lo criticano ma poi
lo votano, o degli ambientalisti che sostengono Expo, tutto questo
opportunismo porta solo fieno nella cascina del partito della nazione.
Ci vogliono scelte nette per costruire l’alternativa a Renzi e al suo
progetto, la prima e in fondo più semplice è non votare in ogni caso ed
in ogni situazione per il Pd ed i suoi alleati.
(Giorgio Cremaschi, “Non votare Pd, unico antidoto al potere assoluto renziano”, da “Micromega” del 21 maggio 2015).
fonte: http://www.libreidee.org/2015/05/renzi-completa-il-rigor-montis-diktat-ue-ma-con-linganno/
Nessun commento:
Posta un commento