Se
vi fosse nelle faccende degli uomini una marea, come dice Bruto nel
Giulio Cesare di William Shakespeare, sarebbe lo stesso per gli affari
delle nazioni.
Meno di una settimana fa, l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico strisciava verso i confini della Russia provocandola inesorabilmente, ma la marea è cambiata bruscamente, e la politica eurasiatica non sarà mai più la stessa dopo la Brexit. Indirizzandosi allo stesso tempo alla Duma russa a Mosca, il Presidente Vladimir Putin confidava alle élite politiche della Russia che la nazione affronta un’altra volta la minaccia ai confini, simile all’invasione nazista di esattamente 75 anni fa.
Tuttavia, due giorni dopo, a Tashkent, Putin ha
risposto con calma e tono distaccato, alla domanda della sua reazione
alla Brexit. Vi ha accennato abbastanza intuitivamente, riconoscendo
l’opportunità data dal destino. Putin ha detto:
“La Brexit avrà “conseguenze” per la Gran Bretagna e l’Europa, e avrà inevitabilmente “effetti globali… sia positivi che negativi”; “Il tempo ci dirà se ci saranno più vantaggi o svantaggi”; la Brexit avrà un impatto su mercato e valute, ma difficilmente sarò uno “sconvolgimento globale”; sulle sanzioni contro la Russia, se i Paesi dell’UE sono pronti al “dialogo costruttivo”, Mosca sarà “non solo pronta, lo vuole e risponderà positivamente ad iniziative positive”. Detto questo, la Russia ha dei limiti nell’onere dell’attuazione dell’accordo Minsk sull’Ucraina, che spetta a Kiev e “senza, non possiamo fare nulla”.”
Putin ha
recentemente visitato la Grecia, il Paese dell’UE più vicino alla
Russia. Significativamente, secondo il Primo ministro greco Alexis
Tsipras, la Brexit “conferma la crisi politica profonda, la crisi di
identità e la crisi della strategia europea”. Questo riecheggerebbe
ampiamente nell’opinione russa.
I commentatori russi sono entusiasti del
voto per la Brexit che inesorabilmente indebolirà le sanzioni UE. In
effetti, si aspettano un significativo miglioramento delle relazioni
della Russia con la Gran Bretagna.
Londra è il ricettacolo preferito
degli oligarchi russi e delle élite di Mosca. Boris Johnson, molto
probabilmente il primo ministro del Regno Unito post-Brexit, è un netto
sostenitore di saldi rapporti con la Russia, e le élite di Mosca lo
considerano un politico insolito senza una mentalità da guerra fredda e,
ancora più interessante, senza mentalità da politica estera.
Chiaramente, la congettura degli analisti russi è che Washington
faticherà ad imporre la propria leadership transatlantica come in
passato, e nella stessa Unione europea probabilmente non ci sarà
consenso nell’estendere le sanzioni contro la Russia all’anno prossimo.
Queste sono le puntate migliori della Russia.
Tuttavia, le parole caute
di Putin suggeriscono che Mosca manterrà le dita incrociate su come
Washington potrà permettersi che la Brexit volga verso la logica
conclusione, semplicemente permettendo ai cittadini inglesi di lasciare
l’Unione europea. Ovviamente, Putin ha ordinatamente eluso qualsiasi
discorso sulla disintegrazione europea. D’altra parte, Mosca non può
ignorare che l’euroscetticismo è un fenomeno diffuso in Europa. Se la
Brexit ha un ‘effetto domino’ e avvia referendum in altri Paesi europei,
l’impensabile potrebbe accadere. Anche in caso contrario, i gruppi
euroscettici in Europa hanno già rafforzato la loro posizione. Comunque,
se George Soros ha scritto nel fine settimana che la disintegrazione
dell’UE è “praticamente irreversibile”, avrebbe centrato il punto.
Chiaramente, ci sono punti interrogativi sulla sopravvivenza della Gran Bretagna. La Russia potrebbe trarne dei vantaggi, perché la Gran Bretagna è tradizionalmente non solo l’auriga degli interessi degli Stati Uniti in Europa, ma anche ‘arbitro’ nell’UE, un ruolo in cui è insostituibile. Di fronte alla crescente pressione occidentale, Mosca ultimamente si concentra ad espandere la propria influenza e a consolidare la propria leadership in Eurasia. Al St. Petersburg International Economic Forum di una settimana prima, Putin presentava il progetto di Grande Eurasia.
Tutto indica che questo sia anche un punto
all’ordine del giorno chiave nelle discussioni con la leadership cinese,
nella prossima visita a Pechino. Putin prevede una grande
collaborazione nell’ambito del piano della Grande Eurasia, coinvolgendo
l’Unione Eurasiatica Economica (EEU) guidata dalla Russia, Cina e
possibilmente India e Iran, ampliando efficacemente lo ‘spazio
post-sovietico’ verso est, ovest e sud-est asiatico. La visione della
Grande Eurasia di Putin ha tre modelli, sicurezza, mercato comune e
governo interno.
L’intenzione russa sembra sia portare la dilagante
influenza cinese nello spazio eurasiatico entro negoziati multilaterali,
in particolare sull’Iniziativa Fascia e Via della Cina. Ma la Cina
difficilmente sarebbe d’accordo. La Cina ha avuto una giornata campale,
con le tensioni in aumento tra Russia e occidente all’ombra
dell’espansione della NATO.
Ma con la Brexit, la dinamica di potere in
Eurasia potrebbe cambiare radicalmente a favore della Russia.
Probabilmente, la Brexit riduce la pressione occidentale sulla Russia e
fornisce la tregua per prestare maggiore attenzione alla realtà degli
ultimi anni, con la Cina che costantemente espande la propria influenza
in Eurasia, non solo in Asia centrale, ma anche nei Balcani e in Europa
centrale. La cosa più importante per Mosca sarà se la Brexit arresti la
tendenza, incoraggiata in non piccola misura da Washington, alla
militarizzazione dell’Europa.
Il prossimo vertice della NATO a Varsavia (8-9 luglio) si svolgerà all’ombra della Brexit. Può essere foriero del futuro che Bulgaria e Romania si siano opposte all’idea di una flotta NATO nel Mar Nero. Il primo ministro bulgaro Bojko Borisov ha detto con una punta di sarcasmo che il Mar Nero dovrebbe essere destinato a yacht e navi cariche di turisti piuttosto che essere un’arena militare. La cooperazione nell’alleanza potrà continuare nel breve termine.
Ma resta da vedere
fino a che punto Washington riuscirà ad impensierire gli europei con la
tesi assai artificiosa della Russia quale Stato revisionista che pone la
mobilitazione militare al centro del pensiero strategico. La Brexit
pone delle questioni alla NATO, anche se i cittadini inglesi non hanno
votato l’uscita dall’alleanza. Con un commento perspicace, la nota ‘mano
russa’ nella rivista National Interest. Nikolas Gvosdev, notava che la
Brexit
“convalida due linee di tendenza in via di sviluppo in Europa“, spiegando: “La prima è l’esitazione nei Paesi dell’Europa occidentale a farsi trascinare in conflitti e problemi della periferia orientale del continente o nello spazio post-sovietico. La seconda sarà risvegliare la divisione regionale persistente nell’alleanza, con alcuni membri che sostengono che se la NATO avesse prestato molta più attenzione alle minacce sul Mediterraneo alla sicurezza europea, piuttosto che farsi coinvolgere nei giochi geopolitici in Eurasia, la crisi migratoria avrebbe potuto essere evitata o ridotta e, quindi, uno dei fattori chiave della Brexit sarebbe stato neutralizzato”.
La linea di fondo
è che UE e NATO sono complementari. E la Brexit sostiene che gli
interessi nazionali prevalgono sugli interessi collettivi europei. Senza
dubbio, la Brexit è anche, almeno in parte, un riflesso della
stanchezza generale in Europa per la continua espansione della NATO ad
est.
MK Bhadrakumar, Asia Times 27 giugno 2016
L’Ambasciatore MK Bhadrakumar è stato un diplomatico di carriera per più di 29 anni, ed ambasciatore dell’India in Uzbekistan (1995-1998) e in Turchia (1998-2001). Scrive sul blog Indian Punchline” e per Asia Times dal 2001.
India e Pakistan hanno firmato un memorandum d’intesa il 24 giugno, unendosi formalmente alla Shanghai Cooperation Organization. Lo stesso giorno, i risultati del referendum sull’adesione della Gran Bretagna nell’Unione europea sono stati dichiarati, con il 51,9% degli inglesi che opta per la Gran Bretagna fuori dall’Unione europea, lasciando un’Unione dal futuro travagliato.
L’idea di questo titolo viene da una
serie di eventi evidenti, dato che India e Pakistan hanno firmato
documenti chiave per aderire alla SCO al vertice di Tashkent, e gli
inglesi hanno votato per ritirarsi dall’UE. È successo questo,
l’integrazione qui e il collasso di là, tutto in un giorno. E poi ci
sono le particolarità, anche molto interessanti, come sempre.
Dal punto
di vista formale, non sono state osservate grandi cerimonie per
l’integrazione di India e Pakistan, non ci sono due nuove bandiere che
si aggiungono alle sei attuali della SCO: Cina, Russia, Kazakistan,
Uzbekistan, Kirghizistan e Tagikistan. La decisione fondamentale sul
loro ingresso fu presa un anno fa, al vertice di Ufa, e ciò che è
successo oggi è stato questo: al vertice, i leader dei sei stati membri
della SCO hanno adottato un memorandum sugli obblighi delle controparti
indiane e pakistane per l’adesione alla Convenzione dell’associazione,
obbligatorio per gli Stati aderenti. Il Presidente Vladimir Putin,
parlando su questo tema in occasione della conferenza stampa finale, ha
detto:
“Avete visto, accogliamo due grandi Paesi, India e Pakistan. Il resto è puramente formale, si può supporre che, a partire dal prossimo anno, saranno membri a pieno titolo dell’organizzazione. Con la loro adesione, naturalmente, l’organizzazione assume un valore e un peso diversi… e in questo senso, possiamo dire con piena fiducia che il vertice è stato un successo“.
Dopo di che ha risposto alle domande
su Regno Unito e UE. Come si veda, non è uno stadio, nessuno gioca la
partita “Eurasia-UE: 1 – 0”. La SCO non si confronta con gli altri,
soprattutto non per propaganda. Allo stesso tempo, coinvolgere indiani e
pakistani a diversi livelli nei meccanismi della SCO è un processo, un
lungo processo. Ci sono ancora circa 30 documenti che vanno firmato. Si
tratta di una procedura burocratica lunga che a volte richiede negoziati
con parlamenti e ministeri.
Non ripetere gli errori altrui
La SCO non è un’alleanza o un’unione, dato che i suoi membri ritengono che il tempo delle ‘unioni’ sia passato (ciò che accade a UE e NATO è molto evidente oggi). Ma se non è un’unione, allora cos’è? Forse un tentativo di costruire un nuovo, moderno modello di relazioni tra Paesi uniti dalla geografia, ma divisi da varie caratteristiche distinte che desiderano mantenere, piuttosto che muoversi su regole e norme rigorose. La SCO sfida l’occidente standardizzato? No, è il tentativo di non ripetere gli errori dell’Unione europea, in particolare quelli resi evidenti nel “giorno dell’indipendenza del Regno Unito”. Si tratta di “aperto regionalismo”, il che significa che nulla impedisce ai Paesi membri di far parte di altre associazioni. Questo non è assolutamente l’approccio occidentale e a volte inibisce fortemente l’organizzazione della SCO. Ma a quanto pare, è l’unica via.
La SCO non è un’alleanza o un’unione, dato che i suoi membri ritengono che il tempo delle ‘unioni’ sia passato (ciò che accade a UE e NATO è molto evidente oggi). Ma se non è un’unione, allora cos’è? Forse un tentativo di costruire un nuovo, moderno modello di relazioni tra Paesi uniti dalla geografia, ma divisi da varie caratteristiche distinte che desiderano mantenere, piuttosto che muoversi su regole e norme rigorose. La SCO sfida l’occidente standardizzato? No, è il tentativo di non ripetere gli errori dell’Unione europea, in particolare quelli resi evidenti nel “giorno dell’indipendenza del Regno Unito”. Si tratta di “aperto regionalismo”, il che significa che nulla impedisce ai Paesi membri di far parte di altre associazioni. Questo non è assolutamente l’approccio occidentale e a volte inibisce fortemente l’organizzazione della SCO. Ma a quanto pare, è l’unica via.
La SCO diventa una potenza eurasiatica: Segretario Generale
Un’altra cosa nel documento (MO) firmato da India e Pakistan ipotizza che i membri della SCO non operino contro i mutui interessi. Ma l’atteggiamento di molti rimane oscuro e teso. Un’altra cosa è che la SCO è almeno una piattaforma dove provare a negoziare. Diamo un’occhiata a chi è interessato in qualche modo alla SCO. Sono 18 Paesi. Nel 2017 vi saranno 8 Paesi pienamente aderenti al vertice di Astana. Cina, India, Russia. Kazakistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan.
Un’altra cosa nel documento (MO) firmato da India e Pakistan ipotizza che i membri della SCO non operino contro i mutui interessi. Ma l’atteggiamento di molti rimane oscuro e teso. Un’altra cosa è che la SCO è almeno una piattaforma dove provare a negoziare. Diamo un’occhiata a chi è interessato in qualche modo alla SCO. Sono 18 Paesi. Nel 2017 vi saranno 8 Paesi pienamente aderenti al vertice di Astana. Cina, India, Russia. Kazakistan, Pakistan, Uzbekistan, Tagikistan e Kirghizistan.
Gli altri 10 Paesi hanno lo status di osservatori. Sarebbe
difficile immaginare dei Paesi più diversi. All’inizio
dell’integrazione, i Paesi europei erano diversi, ma seguirono la via
del livellamento dei caratteri e della riduzione della sovranità. Come
possiamo vedere, si sbagliavano. “La formula SCO” a questo punto sembra
semplice, non consente alcun rivolgimento politico-militare in Asia
centrale e costruisce le infrastrutture (strade, informazioni e
legislazione) collegando tutti i Paesi della regione. Tale
infrastruttura comprende cultura e istruzione attive nel quadro della
SCO, creando uno spazio umanitario comune eurasiatico.
Questo processo
non è solo enorme, è difatti eterno. Non dimentichiamo che la SCO non
riguarda tutti i rapporti tra, per esempio, India e Russia o Cina e
Russia, ma solo ciò che riguarda essenzialmente la riformulazione
dell’Asia centrale, facendone un puro progetto regionale. Si può dire
quanto si vuole, come fanno i cinesi, che il vecchio modello mondiale è
stato ricreato, al centro del quale per secoli vi era la Grande Via
della Seta dalla Cina all’Europa, ma tutti sappiamo che di fatto si
tratta di modellare il futuro e non di ripristinare il passato.
Dmitrij Kosyrev, RIA Novosti, 28 giugno 2016 – RBTH
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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