“L'uomo è dove è il suo cuore,
non dove è il suo corpo.”
(Mahatma Gandhi)
“La
mancanza d’amore costituisce uno stato di ottusità spirituale, poiché
l’amore è la perfezione della coscienza. Noi non amiamo perché non
comprendiamo, piuttosto non comprendiamo, perchè non amiamo. Giacché
l’amore è lo scopo ultimo di tutte le cose intorno a noi; non è un
semplice sentimento, ma è la verità, la gioia posta a base di tutta la
creazione, la splendida luce della coscienza pura che emana da Brahma.
Quindi
per divenire una cosa sola con questo Sarvanubhuh, questo Essere
Onnisenziente che risiede nel cielo esterno come nell’intimo dell’anima
nostra, dobbiamo raggiungere la suprema altezza della coscienza che è
l’amore. “Chi avrebbe avuto respiro e moto se il cielo non fosse ricolmo
di gioia e di amore?” innalzando la nostra coscienza fino all’amore, ed
estendendo questo all’intero universo, noi possiamo conseguire
Brahma-vihara, la comunione con l’infinita gioia.
L’amore
largisce se stesso spontaneamente in infinito numero di doni; ma questi
doni perdono il loro più alto significato se noi non raggiungiamo per
mezzo loro quell’amore che è il donatore. E, per ottenere ciò, bisogna
che l’amore riempia il nostro cuore. Chi non nutre amore apprezzerà i
doni di un amante solo in quanto possono essergli utili; ma l’utilità è
cosa temporanea e limitata, non può mai prendere tutto l’essere nostro.
Le
cose che ci sono utili interessano solo quella parte di noi che è
soggetta a qualche bisogno. E quando questo bisogno è soddisfatto,
l’oggetto che era utile diviene fastidioso. Al contrario il più tenue
ricordo ci è di gran valore quando il nostro cuore ama, perché esso non
ci serve a un qualsiasi uso, ma è fine in se stesso, riguarda tutto
l’essere nostro e perciò non ci stancherà mai. Ora si domanda: in che
modo ci comportiamo noi al riguardo del mondo che è un perfetto dono
della gioia?
Abbiamo
saputo accoglierlo nel nostro cuore insieme alle cose di infinito
valore che vi conserviamo religiosamente? Noi ci adoperiamo con ardore a
sfruttare tutte le forze dell’universo per aumentare sempre di più la
nostra potenza; ricaviamo dai suoi prodotti il nutrimento e i mezzi per
coprirci. Ci azzuffiamo per le sue ricchezze; lo trasformiamo in un
campo di feroci pretese. Ma eravamo nati per questo, per badare solo ad
accrescere i nostri diritti di proprietà sul mondo e ridurlo ad una
mercanzia posta in vendita?
Quando
la mente nostra si rivolge tutta solo a utilizzare le cose del mondo,
questo perde il suo vero valore per noi. Ciò che si dice dell’uomo vale
anche per l’universo. Quando guardiamo questo mondo attraverso il velo
dei nostri desideri, lo rendiamo piccolo e meschino, e non riusciamo
quindi a comprenderne la piena verità. Certamente è naturale che noi ci
serviamo delle cose del mondo ogni volta che ci siano necessarie, ma i
nostri rapporti con esso non devono arrestarsi qui.
Noi
siamo congiunti all’universo con vincoli più reali e più intimi che
quello della sola necessità. L’anima nostra è attratta verso di esso;
infatti il nostro amore per la vita non è che il desiderio di mantenere
durevoli i nostri rapporti con l’universo; e questi rapporti devono
essere d’amore. Noi siamo felici di trovarci al mondo, e vi siamo
attaccati per innumerevoli fili che si estendono da questa terra fino
alle stelle.
L’uomo
cerca vanamente di provare la sua superiorità pretendendo di essere
sostanzialmente distinto da quello che egli chiama "il mondo fisico" e
nella sua cieca esaltazione egli arriva fino a ignorarlo addirittura, o a
ritenerlo il suo peggior nemico. Tuttavia, più la scienza progredisce
più si rende difficile all’uomo stabilire tale distinzione, e tutti i
confini immaginari che egli ha elevato intorno a sé vanno cadendo uno
dopo l’altro.
Quindi
ogni volta che noi perdiamo qualcuno di quei segni di assoluta
distinzione per i quali avevamo dato alla nostra umanità il diritto di
ritenersi diversa dalle cose d’intorno è una grave umiliazione che ci
viene inflitta; pure ci è necessario sopportarla. Se noi eleviamo lungo
il cammino della conoscenza di noi stessi la nostra superbia, per
stabilire separazioni e disunione, prima o poi quella superbia dovrà
andare travolta sotto le ruote della verità e ridursi in polvere.
No,
noi non siamo sotto l’oppressione di questa mostruosa superiorità, che
sarebbe priva di senso nel suo strano isolamento. Sarebbe la nostra
degradazione il dover vivere in un mondo immensamente inferiore a noi
per valore spirituale nello stesso modo che ci ripugnerebbe e
avvilirebbe essere circondati e serviti da uno stuolo di schiavi, giorno
e notte, dalla nascita fino alla morte. Al contrario, il mondo è nostro
pari, anzi, noi siamo una sola cosa con esso.”
(Rabindranath Tagore)
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