lunedì 19 agosto 2013

La finanza congela Findus


La finanza congela Findus (immagini di da internet)
La sequenza dei passaggi di proprietà è iniziata dieci anni fa: da allora i lavoratori sono scesi da 1.300 a 350. E oggi è in atto uno scontro tra azienda e sindacato secondo solo a quello avvenuto alla Fiat di Marchionne

Alla Findus di Cisterna di Latina non si entra senza permesso e non si possono neppure scattare foto dall’esterno. All’ingresso dello stabilimento italiano della multinazionale del cibo surgelato non troviamo ad accoglierci il volto sorridente e bonario, da vecchio lupo di mare, del capitano che ha fatto sognare generazioni di ragazzini davanti a un bastoncino di pesce, bensì due mozzi maldisposti che mettono alla porta il fotografo piuttosto sbrigativamente. Quel che riusciamo a portare a casa è solo un’immagine del centro sportivo – un tempo moderno, oggi segnato da qualche ruga – che la Findus noleggia a una locale società calcistica, e un ben più cospicuo cahier de doléances messoci a disposizione dai sindacalisti. Non ce ne duole, ma mi chiedo, e giro la domanda al nuovo amministratore delegato di Findus Italia David Pagnoni: quale misteriosa logica sottende il rendere una fabbrica simile a un lager, impossibile persino da riprendere da lontano?


Il nuovo Capitan Findus nostrano è stato nominato il 4 marzo ed è pertanto incolpevole e probabilmente ignaro dell’operato della sua ciurma. Avrà tempo per aggiustare le cose. Appena insediato, ha dichiarato: “Sono convinto che riusciremo a ottenere una crescita del business italiano, continuando a offrire prodotti di alta qualità che soddisfano i bisogni dei nostri consumatori”. Auguri, perché la società “leader nel settore del frozen food”, come la compagnia si definisce, si trova di fronte a una doppia, micidiale congiuntura negativa: la riduzione dei consumi figlia della recessione economica e le conseguenze dello scandalo delle lasagne con tracce di carne equina. Una vicenda, quest’ultima – cui i media hanno dato ampio risalto e che ha poi coinvolto altri grandi marchi come Buitoni e Star – che ha immediatamente intaccato l’immagine “buona” del capitano nordico che tutti noi che siamo stati bambini qualche tempo fa ci portiamo dietro come quella di uno zio lontano. Il danno immediato dalla carne di cavallo nelle paste pronte è stato stimato dalla Coldiretti in un 30 per cento in meno di surgelati venduti, nonostante Findus Italia abbia immediatamente precisato – anche acquistando pubblicità a pagamento sui media – che con le lasagne inglesi non ha niente a che fare, non solo dal punto di vista produttivo ma addirittura da quello societario. Insomma, si tratta di due compagnie diverse che in comune hanno solo il marchio. Però in tempi in cui il brand è tutto – come ci ricordava già un decennio orsono Naomi Klein con il suo No Logo – non è per niente agevole riuscire a far passare il messaggio che due prodotti all’apparenza identici possono nascondere in realtà proprietari differenti.

Il motivo per cui sono qui, in ogni modo, ha poco a che vedere con la carne di cavallo. Alla Findus è in corso una ristrutturazione molto pesante, paradigmatica della nuova fase di relazioni industriali “dopo Cristo” inaugurata da Sergio Marchionne a Pomigliano, e lo scontro in corso tra la Cgil e l’azienda è secondo solo a quello avvenuto alla Fiat un anno fa. Questo spiega, in tutta evidenza, il nervosismo ai cancelli della fabbrica, che devo accontentarmi di osservare da dietro il reticolato che la delimita, inquadrato dalle telecamere fisse aziendali, lungo la via Appia nella zona industriale di Cisterna di Latina, nel basso Lazio. A guidarmi è la mappa fornitami dalla Flai Cgil, che mi lascia solo immaginare il capannone in cui vengono sfornati i Quattro salti in padella – una rivoluzione per chi ha poco tempo o nessuna voglia di mettersi ai fornelli – e quello dove invece si producono i sofficini, altro pezzo fondamentale del fast food casalingo. Non è difficile invece intuire come funzionino i due sportelli di agenzie interinali da poco aperti all’interno – l’Adecco e la Ramstad, in concorrenza fra loro – per far fronte alla carenza di personale dopo la mobilità e la cassa integrazione che hanno dimezzato i lavoratori.  Quella avviata dall’azienda è una ristrutturazione pesantissima che ha causato la perdita del 45 per cento dell’efficienza produttiva e che oggi fa dire al segretario della Flai di Latina, Giovanni Gioia, che il veliero sul quale immaginavo di salire e che posso solo circumnavigare è in realtà “una portaerei che viaggia come un motoscafo”.

Così come il piano di ristrutturazione aziendale di Cisterna di Latina simboleggia l’era “dopo Cristo” delle relazioni industriali in Italia, il castello societario della Findus – marchio unico e prodotti in larga misura identici, ma padroni diversi da paese a paese, ad esempio in Svizzera la proprietà è della Nestlè – è paradigmatico del capitalismo finanziario ai tempi del logo. I due paradigmi sono strettamente intrecciati, nel senso che man mano che le società si finanziarizzano e finiscono nelle mani delle banche, non scommettono più sulla produzione e operano solo con la mannaia per salvaguardare i profitti.

Alla Findus di Cisterna tutto comincia nel 2010, quando la Unilever Italia – ramo nostrano della multinazionale anglo-olandese che commercia anche i gelati Algida – vende il frozen food – ovverossia lo stabilimento di Cisterna, la sede di Roma e il marchio Findus Italia – alla Compagnia Italiana Surgelati (Csi), che a sua volta è di proprietà della Byrd’s Eye Igloo, società che ha rilevato anche gli altri tre stabilimenti europei dell’ormai pensionato capitano svedese – due in Germania e uno in Inghilterra – e il marchio Igloo. La Byrd’s Eye Igloo, a sua volta, fa capo a Permira, un fondo di private equity. In parole povere, si tratta di un’operazione tutta finanziaria costata 805 milioni di euro. Soldi in parte investiti da Goldman Sachs, una delle più grandi banche d’affari del mondo, attraverso Permira, appunto.

Al momento della vendita, nonostante il credit crunch la società ha un giro d’affari di circa 450 milioni di euro e un margine operativo lordo attorno agli 85 milioni. I margini per rilanciare ci sarebbero tutti. Invece l’obiettivo evidente pare da subito quello di ridimensionare. Il mantra recitato è quello dell’ “incremento di produttività e di efficienza organizzativa”; il sospetto è che invece ai finanzieri interessi molto poco la produzione e molto più ristrutturare l’azienda in modo da poterla in seguito rivendere, se sarà il caso. Non è un’ipotesi ideologica o frutto di prevenzione: dal 2000 a oggi, l’attuale società ha subito ben tre passaggi di proprietà, ogni volta da un equity group a un altro, e gli effetti collaterali di queste transazioni hanno sempre riguardato i lavoratori: alla fine del millennio erano 1.300, oggi non superano i 350. Ed è legittimo temere che potrebbe non essere finita.
A pochi mesi dall’insediamento, dunque, la nuova società apre una procedura di cassa integrazione per 152 lavoratori e una di mobilità per altri 97, e disdetta immediatamente tutti gli accordi sindacali. Nel marzo scorso arriva, del tutto inattesa, una seconda mobilità, con altri 127 esuberi. Nel giro di un paio d’anni il personale è dimezzato, i salari diminuiti – “mediamente ogni lavoratore ha perso 4-5 mila euro all’anno”, dice Gioia – e i diritti dei lavoratori stramazzano al suolo uno dietro l’altro come pere mature. I costi della ristrutturazione sono accollati allo Stato, che nell’assenza di una politica industriale concede stati di crisi senza fiatare, i guadagni sono salvi e l’azienda non è svalutata sul mercato e rimane appetibile come una vecchia automobile riverniciata. Il sindacato? O tace e si adegua, oppure è tagliato fuori.

Il segretario della Flai mi mostra un verbale di conciliazione sottoposto di recente all’approvazione di un lavoratore. La Findus sta convocando gli operai uno per uno, proponendo loro di firmare un testo in cui rinunciano a qualsiasi vertenza in cambio di un bonus – 500 euro subito a gennaio su un totale di mille. Nel frattempo, denuncia la Flai Cgil, non sarebbero stati rispettati i turni di rotazione della cassa integrazione e a essere discriminati sarebbero disabili e iscritti al sindacato di Corso d’Italia. Non solo. Dal premio di produzione di 1.250 euro previsto dall’accordo siglato da Confindustria, Cisl e Uil – ma non dalla categoria della Cgil – sarebbero escluse donne in maternità e infortunati sul lavoro, in quanto bastano dieci giorni di malattia durante l’anno – cosa non improbabile per chi lavora in una cella frigorifera a – 40 gradi – per perderlo, senza possibilità di giustificazione. In compenso, le agenzie interinali aperte all’interno della fabbrica funzionano come un Bancomat: su richiesta sfornano contratti anche di un solo giorno, spesso per sostituire il consolidato ricorso al lavoro stagionale, che fino a qualche anno fa vedeva coinvolti un centinaio di lavoratori a termine.
Qui andrebbe aperta un’altra parentesi di questo curioso reportage dal di fuori di una fabbrica alimentare che riusciamo solo a immaginare. Riguarda la filiera della produzione: un tempo, infatti, si faceva ricorso quasi esclusivamente ai prodotti locali. Era il contadino, in buona sostanza, a fornire i piselli da congelare, con un lavoro – e un relativo contratto – per sua natura stagionale. Oggi in parte è ancora così, ma molto meno di prima.

Ricapitolando, dunque, alla Findus di Latina – a tre anni dall’arrivo dei “nuovi” finanzieri – la situazione è la seguente: il personale è dimezzato, al lavoro ci sono quotidianamente 350 persone più qualche decina di interinali; i salari per chi è rimasto sono tornati al minimo e molti diritti andranno ormai riconquistati, un giorno, con altre battaglie. È così che la portaerei è diventata un motoscafo anche se, vista da fuori, conserva la sua maestosità e imponenza. Ma la domanda che è necessario porsi è la seguente: uno stabilimento così, che dieci anni fa impiegava 1.300 persone e oggi sforna 70.000 tonnellate in meno di bastoncini e Quattro salti in padella rispetto a qualche anno fa, potrà reggere? Lo scandalo della carne di cavallo, per quanto l’azienda italiana sia senza alcun dubbio innocente, aggiunge solo benzina su un fuoco che divampa da tempo e che – ho l’impressione – è alimentato dai suoi stessi controllori. Bisognerà vedere come saprà cavarsela il nuovo amministratore delegato, che si troverà a gestire – suo malgrado – una strategia di pesante ridimensionamento. Di certo oggi non ho avuto l’impressione di aver parcheggiato la mia auto su un ameno fiordo svedese, qui a Cisterna di Latina. Facendo riemergere dalle nebbie della memoria il bambino che ognuno di noi ha dentro, vado via con la certezza che il vecchio Capitan Findus avrebbe saputo come condurre la nave in porto con tutto l’equipaggio.

Angelo Mastrandrea

Fonte: http://www.rassegna.it/articoli/2013/03/15/98122/la-finanza-congela-findus
 http://www.signoraggio.it/la-finanza-congela-findus-ale-13/

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