Ci
sono precise indicazioni su molte telefonate tra i leader politici di
Washington e il Generale Abdul Fattah al-Sisi, capo dell’esercito,
ministro della Difesa e uomo forte dell’Egitto, durante le settimane che
precedevano l’esplosione di violenze di questi ultimi giorni. L’elenco è
impressionante e, in alcuni casi, si prolunga nel tempo ripetutamente.
Anche i risultati sono impressionanti, senza contare le centinaia di
morti per le strade della capitale egiziana: ma gli interventi degli
Stati Uniti non hanno avuto effetto.
• Il sito DefenseOne.com (16 agosto, 2013) fornisce molti dettagli dalle sue fonti al Pentagono, su ciò che il segretario alla Difesa Hagel ha detto al Generale Sisi. Questa è una splendida dimostrazione dell’argomento spesso sostenuto che una telefonata con i leader degli Stati Uniti di tali Paesi (l’Egitto in questo caso) significhi che gli Stati Uniti manipolano quei Paesi; in questo caso si tratta di telefonate quasi quotidiane per oltre un mese, e il risultato è la totale assenza di manipolazione, se non un’operazione inversa (cioè, Sisi suggeriva ai suoi interlocutori che avrebbe agito secondo ciò che richiedevano, facendo poi l’esatto contrario).
“Il
segretario alla Difesa Chuck Hagel è stato al telefono con il suo
omologo egiziano Gen. Abdul Fattah al-Sisi, quasi ogni giorno dalla
cacciata del presidente Muhammad Mursi, il 3 luglio. E ogni giorno ha
invitato il ministro della Difesa egiziano a trovare una soluzione
pacifica alla crisi politica. Ha chiamato al-Sisi almeno 15 volte da
quando i militari hanno deposto dal potere Mursi, ha detto un
funzionario del Pentagono a DefenseOne. A detta di tutti, al-Sisi aveva
accettato. Proprio la scorsa settimana, Hagel aveva riattaccato il
telefono con Cairo essendo stato rassicurato che l’esercito egiziano
voleva una transizione pacifica. “Il ministro al-Sisi ha sottolineato il
suo impegno per una risoluzione pacifica delle proteste in corso, e ha
ringraziato il segretario Hagel per il sostegno degli Stati Uniti”, ha
detto il Pentagono, descrivendo la telefonata del 5 agosto. “Dopo la
sanguinosa repressione di ieri, che nelle strade dell’Egitto ha lasciato
più di 500 morti, tra cui donne e bambini, e diverse decine di feriti, è
chiaro che le motivazioni di Hagel sono rimaste inascoltate o ignorate.
Mentre i leader mondiali, tra cui il presidente Barack Obama,
denunciavano il massacro, e ghiaccio e ventilatori cercavano inutilmente
di raffreddare i corpi negli obitori straripanti di Cairo, Hagel
chiamava nuovamente al-Sisi. Secondo una dichiarazione del Pentagono,
Hagel “ha ribadito che gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con tutte
le parti per contribuire a portare avanti un processo inclusivo e
pacifico. Il dipartimento della Difesa continua a mantenere le relazioni
militari con l’Egitto”, ha detto Hagel, “però ho messo in chiaro che
violenze e passi inadeguati verso la riconciliazione mettono a rischio
significativi elementi della nostra lunga collaborazione nella difesa.
[...] Ma la profonda preoccupazione, dopo più di una dozzina di
telefonate di Hagel e molte altre di altri membri dell’amministrazione
Obama, tra cui il segretario di Stato John Kerry, non sembra aver
influenzato la decisione di al-Sisi di perseguire altri obiettivi.”
• Quindi, aggiungasi i dettagli di DEBKAfiles (15 agosto 2013), su ciò che le fonti del sito israeliano riferiscono di un colloquio, che avrebbe dovuto essere diretto, tra il presidente Obama e il Generale Sisi. Possiamo riassumere questo colloquio con la frase “il numero dell’abbonato risulta inesistente“, e con il fatto che tutto ciò è accaduto come se gli egiziani abbiano bellamente ignorato il nostro PotUS in vacanza. DEBKAfiles ricorda ciò che fu la telefonata di Obama a Mubaraq, il 9 o 10 febbraio 2011, quando il primo, se così si può dire, intimava al secondo il pressante consiglio di rassegnare le dimissioni, in tal senso invertendo completamente la sua politica di sostegno fino ad allora seguita… “Quando gli scontri tra forze di sicurezza egiziane e manifestanti pro-Mursi erano al culmine a Cairo, il 14 agosto, con 525 morti e 3.700 feriti finora, il presidente Barack Obama telefonò all’uomo forte dell’Egitto, il ministro della Difesa Gen. Abdel-Fattah al-Sisi, secondo le fonti d’intelligence di DEBKAfile. Il presidente degli Stati Uniti ha voluto dare al generale una lavata di capo, molto in linea con le chiamate che fece per istruire il presidente Hosni Mubaraq nel febbraio 2011 […] Realizzando ciò che sarebbe successo, il Generale al-Sisi ha deciso di non accettare la chiamata del presidente Obama, riportano le nostre fonti. I funzionari egiziani avevano gentilmente informato che il presidente degli Stati Uniti doveva rivolgersi alla persona giusta, il presidente ad interim dell’Egitto Adly Mansour, e che sarebbero stati felici di trasferirgli la chiamata. Il chiamante dalla Casa Bianca declinò.”
• DEBKAfiles continua a dire che quando Obama cercava
di raggiungere al telefono Sisi, il generale egiziano discuteva con il
principe Bandar, capo dei servizi segreti sauditi. Poi questa
precisione, notando ancora “l’inesistenza dell’abbonato”: “Il 31
luglio, Bandar arrivava a Mosca e subito veniva ricevuto dal Presidente
Vladimir Putin per una chiacchierata durata quattro ore. Il principe
saudita poi riceveva l’invito a visitare Washington alla prima occasione
e d’incontrare il presidente Obama. Bandar non ha ancora risposto a
tale invito.” Vero o no, questa situazione di scarsa comunicazione
tra gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita è stata evidenziata dal sostegno
entusiasta e solenne, in contrasto assoluto alla posizione degli Stati
Uniti, fornita da re Abdullah ai militari egiziani, indicati impegnati
nella lotta contro il terrorismo (Yahoo News, 16 agosto 2013: “Il
Regno di Arabia Saudita, il suo popolo e governo, oggi sono accanto ai
loro fratelli egiziani nella lotta contro il terrorismo. Invito gli
uomini onesti dell’Egitto e delle nazioni arabe e musulmane… a
presentarsi come un sol uomo di fronte ai tentativi di destabilizzare un
Paese in prima linea nella Storia araba e musulmana“.)
Il tutto si
è concluso, sul lato statunitense, con un intervento il 15 agosto 2013
del presidente Obama dal luogo delle sue vacanze, per contrastare
l’affermazione di re Abdullah. Ancora una volta, Obama ha espresso le
proprie posizioni con una rara mediocrità, accumulando a ripetizione
luoghi comuni e contraddizioni che segnano l’impotenza della politica
degli Stati Uniti attraverso le sue contraddizioni implicite: il
sostegno militare travestito da condanna felpata delle stragi, e
richiamo degli aspetti antidemocratici delle politiche del presidente
Mursi democraticamente eletto e sempre sostenuto dagli Stati Uniti, e
così via. BHO riafferma tutto e il contrario di tutto, senza impegno di
alcun tipo, come le fondamenta sabbiose e paludose della politica degli
Stati Uniti in Egitto, descritta volta sia a difendere gli interessi
degli Stati Uniti che a far valere i principi degli Stati Uniti, allo
stesso tempo… Questa pantomima politica, quasi infantile a forza di
argomenti tronchi e annacquati per nasconderne le contraddizioni, segna
il notevole effetto del naufragio dell’influenza degli Stati Uniti. La
crisi egiziana è anche la grave crisi terminale dell’influenza degli
Stati Uniti in Egitto, e anche in generale nella regione chiave del
Medio Oriente.
La politica USA verso l’Egitto sembra ridursi oggi a questa dichiarazione del portavoce della Casa Bianca in vacanza: “Vediamo cosa succederà dopo nel Paese” mentre l’uno o l’altro (John Glaser, 16 agosto 2013 Antiwar.com)
ironizzano sulla presenza nell’amministrazione Obama di due arpie
dell’interventismo umanitario, Susan Rice e Samantha Power, il cui
silenzio sui cumuli di cadaveri a Cairo è assordante. L’incredibile
magia della politica egiziana e mediorientale degli Stati Uniti è che
essa è insussistente, evitando una qualsiasi netta decisione, vale a
dire, ad usare tutta l’influenza degli Stati Uniti per non esercitare
tale influenza ma per preservarla, così infine arrivando alla rapida
dissoluzione di tale influenza. Questo straordinario fenomeno si compie
sotto i nostri occhi: un’emarginazione reale e presunta, che si presenta
quale “auto-emarginazione” degli Stati Uniti in Medio Oriente. Tale
risultato è ottenuto in conseguenza di una serie di eventi e
sconvolgimenti orchestrati principalmente dagli Stati Uniti, iniziando
dall’invasione dell’Iraq il 19 marzo 2003; eventi e cambiamenti volti a
trasformare il Medio Oriente, allora sotto i decisi colpi dell’influenza
degli Stati Uniti che stilava una mappatura (neocon) seguendo le
ambizioni economiche, sociali e democratiche di una efficace e
definitiva americanizzazione della regione. Il risultato è la rapida
dissoluzione dell’influenza statunitense che si osserva oggi. L’esempio
perfetto è questa “auto-emarginazione”, come tocco finale del maestro
per il proprio capolavoro, una dinamica da superpotenza che in modo
elegante, seguendo il ritmo e il passo di Obama, dopo tutto, si
trasforma nella dinamica dell’auto-distruzione.
http://aurorasito.wordpress.com/2013/08/18/washington-cairo-non-risponde/
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