John Lawes, di professione agronomo, nel 1842 trovò il modo di ottenere del perfosfato, forma in cui si presenta il fosforo nei fertilizzanti chimici, trattando la fosforite con acido fosforico. Qualche decennio più tardi, il chimico tedesco Fritz Haber sintetizzò ammoniaca, alla base dei concimi azotati, partendo da azoto e idrogeno. Nessun agricoltore moderno che si occupi di monocolture intensive può sopravvivere senza i fertilizzanti, che hanno rimpiazzato su larga scala gli scarti organici usati un tempo. Azoto, potassio e fosforo vengono iniettati per incrementare il contenuto dei nutrienti del suolo e per far crescere le piante rigogliose in breve tempo.
I concimi sintetici accelerano la crescita delle piante ma il costo collaterale da pagare, per quanto occultato, è a carico di chi consuma i prodotti: il terreno viene progressivamente sovraccaricato degli stessi elementi e prosciugato di tutti gli altri nutrienti che non sono funzionali alla crescita delle piante (e che non vengono ricostituiti) ma che fungono da base di approvvigionamento per il nostro organismo. CI ritroviamo a mangiare frutta e verdura “povere” di nutrienti essenziali, per quanto belle a vedersi, e potenzialmente contaminate.
Per secoli, più o meno dalla scoperta
dell’agricoltura, per rendere la terra fertile si sono usati materiali
organici come deiezioni animali e umane, rami, foglie e scarti di
lavorazioni vegetali. Tutto quello che nasceva dalla terra tornava alla
terra, restituendo i preziosi nutrienti precedentemente ricevuti. La
pedosfera, ovvero lo strato che separa la litosfera dall’atmosfera e che
può essere arato e coltivato, è una sottile striscia che richiede per
la sua formazione un periodo che va dai 1000 ai 100.000 anni. E’ un
lungo processo di disgregazione della roccia madre in cui intervengono
la totalità degli agenti naturali: l’alternanza di alte e basse
temperature crea le prime crepe in cui si incuneano acqua e vento,
aumentandone le dimensioni.
Poi arriva il turno del vento, con un
meticoloso lavoro di abrasione. In questa altalena tra disgregazione e
frantumazione, l’ultimo passaggio è costituito dall’intervento della
componente organica, che rende il suolo una materia vivente a tutti gli
effetti. L’humus, con la sua catena detrivora (batteri, funghi,
microfauna e macrofauna), lavora i residui organici restituendo al suolo
i componenti elementari di cui sono formati; nutre le piante e ne
ospita le radici, aumenta la capacità del suolo di trattenere l’acqua e
lo rende fertile. Dopo innumerevoli anni passati a seguire pazientemente
i cicli naturali, rispettando le caratteristiche della terra e cercando
di mantenerle inalterate, due brillanti scienziati cambiarono per
sempre il corso dell’agricoltura.
John Lawes, di professione agronomo, nel
1842 trovò il modo di ottenere del perfosfato, forma in cui si presenta
il fosforo nei fertilizzanti chimici, trattando la fosforite con acido
fosforico. Qualche decennio più tardi, il chimico tedesco Fritz Haber
sintetizzò ammoniaca, alla base dei concimi azotati, partendo da azoto e
idrogeno. Nessun agricoltore moderno che si occupi di monocolture
intensive può sopravvivere senza i fertilizzanti, che hanno rimpiazzato
su larga scala gli scarti organici usati un tempo. Azoto, potassio e
fosforo vengono iniettati per incrementare il contenuto dei nutrienti
del suolo e per far crescere le piante rigogliose in breve tempo.
I
concimi sintetici accelerano la crescita delle piante ma il costo
collaterale da pagare, per quanto occultato, è a carico di chi consuma i
prodotti: il terreno viene progressivamente sovraccaricato degli stessi
elementi e prosciugato di tutti gli altri nutrienti che non sono
funzionali alla crescita delle piante (e che non vengono ricostituiti)
ma che fungono da base di approvvigionamento per il nostro organismo. CI
ritroviamo a mangiare frutta e verdura “povere” di nutrienti
essenziali, per quanto belle a vedersi, e potenzialmente contaminate.
L’azoto, ad esempio, è uno dei
componenti della clorofilla. Una grande quantità di azoto nel suolo fa
crescere le piante di un verde intenso, poiché raccolgono più luce da
trasformare in tessuti; ma le rende più bisognose di acqua e
fisiologicamente più deboli, più vulnerabili agli attacchi di parassiti e
malattie. L’eccessiva concentrazione di azoto nitrico nel suolo causa
la penetrazione delle sue molecole nelle falde freatiche: i nitrati in
sé non sono dannosi ma, in ambiente acido come quello del tratto
gastrointestinale, legandosi con le ammine possono trasformarsi in
nitrosammine, composti cancerogeni. Nel corpo umano i nitrati reagiscono
con l’emoglobina, formando la metaemoglobina, la quale pregiudica una
corretta ossigenazione dei tessuti.
Mangiare alimenti carichi di
nitrati, come verdura, acqua o cibi con additivi alimentari a base di
azoto, ci espone al rischio di accumulo e ai conseguenti danni per la
salute. Inoltre i composti chimici a base di nitrati possono essere
cancerogeni per 40 specie diverse di animali. Il fosforo, elemento molto
mobile, è sottoposto al processo detto di “lisciviazione”, ovvero il
trasporto, per effetto dello scorrimento, lontano dal punto di origine.
Tutti gli elementi solubili presenti nel suolo possono finire a
chilometri di distanza, soprattutto nel mare.
L’eccesso di fosforo negli
oceani causa l’eutrofizzazione, la proliferazione incontrollata di
alghe e plancton che alterano il meccanismo di scambio gassoso delle
acque marine con l’aria. Le alghe, pur non essendo organismi tossici,
impediscono il ricambio di ossigeno uccidendo tutte le specie presenti
nella zona e la loro fermentazione libera gas tossici, esalazioni di
ammoniaca, metano e acido solforico.
Un ritorno al passato sarebbe qualcosa
di più di semplice buonsenso. Potremmo seguire l’esempio dell’agronomo
inglese sir Albert Howard, un precursore dei tempi. Studiando le
conoscenze indiane sulla coltivazione della terra all’inizio del secolo
scorso, elaborò il modello di compostaggio Indore, che prende il nome
dall’omonimo distretto indiano e prevede l’accumulo di diversi strati di
materiali, ognuno con i suoi tempi di decomposizione, uno sull’altro:
cellulosa, scarti di frutta e verdura, concime animale e terra fertile.
Con aggiunta di acqua, in tre mesi si ha la degradazione completa delle
sostanze presenti nel cumulo che vanno a formare nuovo humus.
Un terreno povero non raccoglie più acqua, tende a inaridirsi, e diviene facile preda dell’erosione da parte del vento, tramutandosi in materia inerte e sterile. Per restituire fertilità al suolo non c’è bisogno di inventare niente di nuovo: basta affidarsi alla secolare saggezza contadina.
Fabrizio Maggi
Sitografia
fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/societa/ritorno-alla-natura/
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