lunedì 20 ottobre 2014

Agricoltura, meglio ‘al naturale’


John Lawes, di professione agronomo, nel 1842 trovò il modo di ottenere del perfosfato, forma in cui si presenta il fosforo nei fertilizzanti chimici, trattando la fosforite con acido fosforico. Qualche decennio più tardi, il chimico tedesco Fritz Haber sintetizzò ammoniaca, alla base dei concimi azotati, partendo da azoto e idrogeno. Nessun agricoltore moderno che si occupi di monocolture intensive può sopravvivere senza i fertilizzanti, che hanno rimpiazzato su larga scala gli scarti organici usati un tempo. Azoto, potassio e fosforo vengono iniettati per incrementare il contenuto dei nutrienti del suolo e per far crescere le piante rigogliose in breve tempo. 

I concimi sintetici accelerano la crescita delle piante ma il costo collaterale da pagare, per quanto occultato, è a carico di chi consuma i prodotti: il terreno viene progressivamente sovraccaricato degli stessi elementi e prosciugato di tutti gli altri nutrienti che non sono funzionali alla crescita delle piante (e che non vengono ricostituiti) ma che fungono da base di approvvigionamento per il nostro organismo. CI ritroviamo a mangiare frutta e verdura “povere” di nutrienti essenziali, per quanto belle a vedersi, e potenzialmente contaminate. 


Per secoli, più o meno dalla scoperta dell’agricoltura, per rendere la terra fertile si sono usati materiali organici come deiezioni animali e umane, rami, foglie e scarti di lavorazioni vegetali. Tutto quello che nasceva dalla terra tornava alla terra, restituendo i preziosi nutrienti precedentemente ricevuti. La pedosfera, ovvero lo strato che separa la litosfera dall’atmosfera e che può essere arato e coltivato, è una sottile striscia che richiede per la sua formazione un periodo che va dai 1000 ai 100.000 anni. E’ un lungo processo di disgregazione della roccia madre in cui intervengono la totalità degli agenti naturali: l’alternanza di alte e basse temperature crea le prime crepe in cui si incuneano acqua e vento, aumentandone le dimensioni. 

Poi arriva il turno del vento, con un meticoloso lavoro di abrasione. In questa altalena tra disgregazione e frantumazione, l’ultimo passaggio è costituito dall’intervento della componente organica, che rende il suolo una materia vivente a tutti gli effetti. L’humus, con la sua catena detrivora (batteri, funghi, microfauna e macrofauna), lavora i residui organici restituendo al suolo i componenti elementari di cui sono formati; nutre le piante e ne ospita le radici, aumenta la capacità del suolo di trattenere l’acqua e lo rende fertile. Dopo innumerevoli anni passati a seguire pazientemente i cicli naturali, rispettando le caratteristiche della terra e cercando di mantenerle inalterate, due brillanti scienziati cambiarono per sempre il corso dell’agricoltura.

John Lawes, di professione agronomo, nel 1842 trovò il modo di ottenere del perfosfato, forma in cui si presenta il fosforo nei fertilizzanti chimici, trattando la fosforite con acido fosforico. Qualche decennio più tardi, il chimico tedesco Fritz Haber sintetizzò ammoniaca, alla base dei concimi azotati, partendo da azoto e idrogeno. Nessun agricoltore moderno che si occupi di monocolture intensive può sopravvivere senza i fertilizzanti, che hanno rimpiazzato su larga scala gli scarti organici usati un tempo. Azoto, potassio e fosforo vengono iniettati per incrementare il contenuto dei nutrienti del suolo e per far crescere le piante rigogliose in breve tempo. 

I concimi sintetici accelerano la crescita delle piante ma il costo collaterale da pagare, per quanto occultato, è a carico di chi consuma i prodotti: il terreno viene progressivamente sovraccaricato degli stessi elementi e prosciugato di tutti gli altri nutrienti che non sono funzionali alla crescita delle piante (e che non vengono ricostituiti) ma che fungono da base di approvvigionamento per il nostro organismo. CI ritroviamo a mangiare frutta e verdura “povere” di nutrienti essenziali, per quanto belle a vedersi, e potenzialmente contaminate.

L’azoto, ad esempio, è uno dei componenti della clorofilla. Una grande quantità di azoto nel suolo fa crescere le piante di un verde intenso, poiché raccolgono più luce da trasformare in tessuti; ma le rende più bisognose di acqua e fisiologicamente più deboli, più vulnerabili agli attacchi di parassiti e malattie. L’eccessiva concentrazione di azoto nitrico nel suolo causa la penetrazione delle sue molecole nelle falde freatiche: i nitrati in sé non sono dannosi ma, in ambiente acido come quello del tratto gastrointestinale, legandosi con le ammine possono trasformarsi in nitrosammine, composti cancerogeni. Nel corpo umano i nitrati reagiscono con l’emoglobina, formando la metaemoglobina, la quale pregiudica una corretta ossigenazione dei tessuti. 

Mangiare alimenti carichi di nitrati, come verdura, acqua o cibi con additivi alimentari a base di azoto, ci espone al rischio di accumulo e ai conseguenti danni per la salute. Inoltre i composti chimici a base di nitrati possono essere cancerogeni per 40 specie diverse di animali. Il fosforo, elemento molto mobile, è sottoposto al processo detto di “lisciviazione”, ovvero il trasporto, per effetto dello scorrimento, lontano dal punto di origine. Tutti gli elementi solubili presenti nel suolo possono finire a chilometri di distanza, soprattutto nel mare. 

L’eccesso di fosforo negli oceani causa l’eutrofizzazione, la proliferazione incontrollata di alghe e plancton che alterano il meccanismo di scambio gassoso delle acque marine con l’aria. Le alghe, pur non essendo organismi tossici, impediscono il ricambio di ossigeno uccidendo tutte le specie presenti nella zona e la loro fermentazione libera gas tossici, esalazioni di ammoniaca, metano e acido solforico.

Un ritorno al passato sarebbe qualcosa di più di semplice buonsenso. Potremmo seguire l’esempio dell’agronomo inglese sir Albert Howard, un precursore dei tempi. Studiando le conoscenze indiane sulla coltivazione della terra all’inizio del secolo scorso, elaborò il modello di compostaggio Indore, che prende il nome dall’omonimo distretto indiano e prevede l’accumulo di diversi strati di materiali, ognuno con i suoi tempi di decomposizione, uno sull’altro: cellulosa, scarti di frutta e verdura, concime animale e terra fertile. Con aggiunta di acqua, in tre mesi si ha la degradazione completa delle sostanze presenti nel cumulo che vanno a formare nuovo humus.

Un terreno povero non raccoglie più acqua, tende a inaridirsi, e diviene facile preda dell’erosione da parte del vento, tramutandosi in materia inerte e sterile. Per restituire fertilità al suolo non c’è bisogno di inventare niente di nuovo: basta affidarsi alla secolare saggezza contadina.


Fabrizio Maggi


Sitografia

fonte: http://www.lintellettualedissidente.it/societa/ritorno-alla-natura/

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