La digitalizzazione del sapere
ci rende completamente dipendenti da chi controlla il traffico
di dati nell’etere e dai pochissimi che detengono il potere
‘informatico’. Tutto è stato digitalizzato: fotografie, film, opere
d’arte, disegni tecnici, musica, persino intere biblioteche … tutta
questa mole di dati è solo parzialmente gestibile dal singolo
individuo perché dipende in gran parte da sistemi sovranazionali sui
quali non ha nessun controllo. Questa mole di dati
inoltre non è protetta e risulta esposta all'attenzione di chi
possiede le chiavi giuste per accedervi. La digitalizzazione è
un cavallo di Troia all’interno della nostra sfera personale.
I
files delle nostre produzioni digitali non sono al sicuro da sguardi
indiscreti e sono comunque sempre a
rischio, trattandosi di elementi concretamente installati su di un
supporto fisico, così come lo sono libri, tele e carta. La possibilità
di farne infinite copie e di inviarli in tutto il mondo
in tempo reale è senz’altro una conquista ma occorre comunque
considerarne gli aspetti più oscuri.
L’e-book ad esempio, in ascesa verticale nelle vendite,
fornisce copia digitale di tutta la produzione libraria oppure seleziona dal principio l’offerta in base alla quantità di lettori per ogni opera?
Immagino che sia vera
la seconda parte della domanda. Mi chiedo perciò se sia opportuno
‘abbandonarsi’ all’e-book invece che ricercare opere ‘fisiche’, sulle
quali magari compaiono preziose annotazioni o risvolti ed
edizioni imprevedibili. La maggior parte delle informazioni sul
mondo reale che possiedo si basa su libri che hanno avuto una tiratura
esigua (poche centinaia di copie) e che spesso sono da
decenni fuori produzione, sono certo che quei libri non compariranno
mai in formato digitale.
Chi ci garantisce inoltre che i files siano sempre leggibili nel tempo?
Ricordiamoci
cosa accadde con formati video ormai relegati alla preistoria oppure
con i primi files di dati di programmi che non ‘girano’ più sugli
attuali PC. Conservare un file può diventare quindi
un’occupazione inutile mentre non lo è conservare opere in formato
tradizionale: libri, disegni, dipinti.
La riproduzione digitale ha inoltre modificato drasticamente la
produzione! La comparsa di strumenti di
produzione digitale di opere creative o tecniche ha modificato in modo
evidente la metodologia creativa andando ad influenzare aree
della nostra mente un tempo nostro esclusivo appannaggio. ‘Pensa digitale’
è lo slogan di questo nuovo mondo nel quale le insidie risiedono
soprattutto nella faciloneria con la quale gli esseri umani si
abbandonano alle novità, credute ingenuamente il frutto esclusivo del
progresso e della buona fede dei signori dei ‘piani alti’, non
è sempre così.
Ad ogni novità sul piano pratico ne corrisponde un’altra al livello del controllo
globale. La digitalizzazione del sapere è una di
quelle, forse la più insidiosa. Una novità ormai accettata da tutti
sulla quale non abbiamo il minimo controllo. Quando tutti i
libri saranno trasposti nel mondo virtuale cosa accadrà? Il rischio è
una omologazione culturale in un apparente stato di universalità e
libertà: l’incubo peggiore che il Nuovo Ordine
Mondiale incarna. E’ poi possibile in pochi secondi accedere a tutti i
dati digitali con cui un individuo ha avuto a che fare, dove
è finita la privacy? Se digitalizziamo tutto, tutto è accessibile ed
a nulla varranno le motivazioni ‘non ho nulla da nascondere’, perché è
proprio su chi crede di non avere nulla da
nascondere che si addensano gli interessi delle ‘ombre’, promotrici e
beneficiarie del digitale.
Ovviamente
il discorso sulla digitalizzazione potrebbe essere ampliato alla sfera
della genetica e della
memoria in generale ma occorrerebbe troppo tempo e troppo spazio.
Vorrei solo che si riflettesse sulla mancanza di aderenza tra digitale e
realtà. Il
digitale è una semplificazione della realtà. E’ una realtà
surrogata. E’ una scansione imposta della realtà che non la
rappresenterà mai per quanto possa essere
preciso.
Nessun commento:
Posta un commento