Nella
guerra contro il SIIL (Stato islamico) che si svolge in Iraq e Siria,
un eventuale cambio di alleanze, che potrebbe modificare sostanzialmente
l’equilibrio di potere nella regione, si svolge senza che nessuno
sembri notarlo. In particolare, il rapporto nascente tra Repubblica
islamica dell’Iran e regione semi-autonoma del Kurdistan del nord
dell’Iraq può mutare il panorama politico del Medio Oriente.
Naturalmente, un tale sviluppo è parte di una più ampia azione
geopolitica dall’Iran, e avrà conseguenze significative per tutti gli
attori regionali. Tuttavia, Turchia, monarchie del Golfo e Israele
avranno più da perdere da tale sviluppo.
Mentre l’Iran ha vecchie
controversie con elementi della propria minoranza curda, ha palesemente
preso l’iniziativa di favorire i curdi iracheni nella guerra contro gli
estremisti del SIIL. Come il presidente curdo Massud Barzani ha spiegato
a fine agosto, “La Repubblica islamica dell’Iran è stato il primo Stato
ad aiutarci… fornendoci armi e attrezzature”. Questo fatto da solo,
insieme ad accuse plausibili anche se non confermate, del coinvolgimento
militare iraniano nell’Iraq curdo, dimostra chiaramente l’alta priorità
che Teheran concede alla cooperazione con il governo di Barzani e il
popolo curdo nella lotta ai militanti filo-sauditi e filo-qatariori del
SIIL. La domanda è perché? Cosa spera di ottenere l’Iran da un
coinvolgimento in questa lotta? Cosa rischia di perdere? E come potrebbe
cambiare la regione?
L’equazione iraniana
Mentre molte sopracciglia si aggrottano sul coinvolgimento iraniano al fianco dei curdi nella lotta contro il SIIL, forse non dovrebbe sorprendere. Teheran ha costantemente puntellato le sue relazioni con Irbil, sia come genuino desiderio di formare un’alleanza che come contromisura alla cacciata dell’alleato e partner ex-primo ministro iracheno Nuri al-Maliqi. Dalla guerra statunitense in Iraq iniziata nel 2003, e soprattutto dopo che le truppe statunitensi l’hanno lasciato nel 2011, l’Iran si è posizionato come attore chiave, e per certi versi dominante, in Iraq. Non solo aveva un’influenza significativa con Maliqi e il suo governo, ma vedeva l’Iraq come opportunità per spezzare l’isolamento imposto da Stati Uniti, Unione europea e Israele per il controverso programma nucleare. Per l’Iran, l’Iraq di Maliqi era un ponte fisico (collegando l’Iran ai suoi alleati Siria e in Libano meridionale) e politico (da intermediario nei negoziati con l’occidente). Inoltre, l’Iraq di Maliqi doveva essere il fulcro di una nuova strategia economica che includeva il proposto gasdotto Iran-Iraq-Siria, un progetto che avrebbe fornito all’Iran accesso al mercato europeo dell’energia, consentendo così alla Repubblica islamica di togliere al Qatar il dominio regionale nell’esportazione del gas all’Europa.
Mentre molte sopracciglia si aggrottano sul coinvolgimento iraniano al fianco dei curdi nella lotta contro il SIIL, forse non dovrebbe sorprendere. Teheran ha costantemente puntellato le sue relazioni con Irbil, sia come genuino desiderio di formare un’alleanza che come contromisura alla cacciata dell’alleato e partner ex-primo ministro iracheno Nuri al-Maliqi. Dalla guerra statunitense in Iraq iniziata nel 2003, e soprattutto dopo che le truppe statunitensi l’hanno lasciato nel 2011, l’Iran si è posizionato come attore chiave, e per certi versi dominante, in Iraq. Non solo aveva un’influenza significativa con Maliqi e il suo governo, ma vedeva l’Iraq come opportunità per spezzare l’isolamento imposto da Stati Uniti, Unione europea e Israele per il controverso programma nucleare. Per l’Iran, l’Iraq di Maliqi era un ponte fisico (collegando l’Iran ai suoi alleati Siria e in Libano meridionale) e politico (da intermediario nei negoziati con l’occidente). Inoltre, l’Iraq di Maliqi doveva essere il fulcro di una nuova strategia economica che includeva il proposto gasdotto Iran-Iraq-Siria, un progetto che avrebbe fornito all’Iran accesso al mercato europeo dell’energia, consentendo così alla Repubblica islamica di togliere al Qatar il dominio regionale nell’esportazione del gas all’Europa.
Inoltre, l’Iraq era in prima linea nella continua lotta
dell’Iran contro i gruppi terroristici filo-occidentali, il più infame
dei quali è il Mujahidin-e-Khalq (MeK). Fu il governo di Maliqi
che chiuse Camp Ashraf, la base da cui il famigerato MeK operava
conducendo una continua guerra terroristica contro l’Iran. Naturalmente
non è un segreto che il MeK sia il beniamino della dirigenza neocon,
lodato da quasi ogni architetto, supporter e attuatore della guerra in
Iraq di Bush. Visto così, l’Iraq era una necessità economica e politica
per l’Iran, che non poteva semplicemente far scivolare di nuovo
nell’orbita di Washington. E così, con l’emergere del SIIL e il
conseguente rovesciamento del governo Maliqi tramite pressioni e
propaganda globali occulte, che lo ritraevano come un dittatore brutale
pari a Sadam Husayn, l’Iran chiaramente dovette ricalcolare la propria
strategia. Sapendo di non poter fidarsi del nuovo governo di Baghdad,
più o meno scelto dagli Stati Uniti, Teheran vede chiaramente una nuova
opportunità nel Kurdistan.
Perché il Kurdistan?
Mentre gli imperativi per l’Iran ad impegnarsi in Iraq sono chiari, rimane la domanda su ciò che specificamente il Kurdistan offre a Teheran come necessità strategica e geopolitica della proiezione di potenza. Per capire il movente iraniano, si deve esaminare come curdi e Kurdistan rientrano nelle relazioni nazionali ed internazionali dell’Iran. Prima di tutto l’Iran, come Iraq, Siria e Turchia, ospita una considerevole minoranza curda costantemente manipolata da Stati Uniti e Israele, ed usata come pedina nella partita a scacchi geopolitica con la Repubblica islamica. Con il caos in Iraq e Siria, e la continua oppressione ed emarginazione della minoranza curda in Turchia, sembra che un Kurdistan indipendente che possa modificare sostanzialmente la mappa regionale sia una possibilità sempre più praticabile. Quindi, al fine di evitare ogni possibile destabilizzazione curda dell’Iran e del suo governo, Teheran sembra aver iniziato un alleanza, invece che di contrastare, con gli interessi curdi in Iraq. Probabilmente l’Iran vede in questa alleanza un tacito, se non palese, accordo che una qualsiasi indipendenza curda non venga usata come arma contro Teheran.
Mentre gli imperativi per l’Iran ad impegnarsi in Iraq sono chiari, rimane la domanda su ciò che specificamente il Kurdistan offre a Teheran come necessità strategica e geopolitica della proiezione di potenza. Per capire il movente iraniano, si deve esaminare come curdi e Kurdistan rientrano nelle relazioni nazionali ed internazionali dell’Iran. Prima di tutto l’Iran, come Iraq, Siria e Turchia, ospita una considerevole minoranza curda costantemente manipolata da Stati Uniti e Israele, ed usata come pedina nella partita a scacchi geopolitica con la Repubblica islamica. Con il caos in Iraq e Siria, e la continua oppressione ed emarginazione della minoranza curda in Turchia, sembra che un Kurdistan indipendente che possa modificare sostanzialmente la mappa regionale sia una possibilità sempre più praticabile. Quindi, al fine di evitare ogni possibile destabilizzazione curda dell’Iran e del suo governo, Teheran sembra aver iniziato un alleanza, invece che di contrastare, con gli interessi curdi in Iraq. Probabilmente l’Iran vede in questa alleanza un tacito, se non palese, accordo che una qualsiasi indipendenza curda non venga usata come arma contro Teheran.
In secondo luogo, schierandosi
con il governo di Barzani e fornendogli sostegno materiale e tattico,
l’Iran chiaramente manovra per posizionarsi contro i rivali regionali.
Da un lato, l’Iran riconosce la minaccia rappresentata dal membro della
NATO Turchia, il cui governo guidato da Erdogan e Davutoglu è
intimamente coinvolto nella guerra contro la Siria e nell’armamento e
finanziamento del SIIL e degli altri gruppi terroristici nel Paese.
Mentre Ankara ha pubblicamente rifiutato di partecipare ad operazioni
militari in Siria, le sue azioni dimostrano il contrario. Ospitando e
rifornendo i terroristi tramite CIA ed altre agenzie d’intelligence,
fomentando la guerra civile in Siria, la Turchia si è dimostrata parte
integrante del tentativo USA-NATO-GCC di effettuare un cambio di regime.
Ovviamente non sfugge ai curdi esattamente ciò che la Turchia ha fatto e
continua a fare. Non solo conduce una guerra ultradecennale contro il
Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ma ha sempre rifiutato di
considerare la propria minoranza curda come qualcosa di diverso da
cittadini di seconda classe. E ora, dato il ruolo centrale che Erdogan,
Davutoglu & Co. giocano nel fomentare la guerra in Siria, permettono
ai loro ascari terroristici del SIIL di massacrare altri curdi. Non
dovrebbe quindi sorprendere che molti curdi vedano la Turchia, e non
Siria o Iran, come grave minaccia e nemico del proprio popolo. E così
l’Iran colma il vuoto, offrendo ai curdi non solo sostegno materiale, ma
anche politico e diplomatico.
Dal punto di vista di Teheran, la Turchia
continua ad essere il rappresentante dell’agenda USA-NATO-GCC; Ankara
ha svolto un ruolo chiave nel bloccare lo sviluppo economico iraniano,
in particolare sull’esportazione di energia. Va ricordato che la Turchia
è uno dei principali attori nella corsa all’energia nel Caspio,
fornendo gli oleodotti necessari sia al TANAP (Trans-Anatolian Pipeline)
che al progetto di gasdotto Nabucco ovest, tra gli altri. Tali
progetti sono sostenuti dagli Stati Uniti in concorrenza al South
Stream della Russia (gasdotto russo verso l’Europa meridionale) e alla
proposta pipeline Iran-Iraq-Siria. In sostanza quindi la Turchia
dovrebbe essere un potente pezzo degli scacchi utilizzato per bloccare
le mosse iraniane verso l’indipendenza economica e l’egemonia regionale.
Le aperture iraniane verso i curdi e il coinvolgimento nella lotta contro il SIIL in generale, devono essere interpretati come un passo contro i rivali regionali dell’Iran, Arabia Saudita e Qatar. Entrambi implicati nell’organizzazione e finanziamento di gruppi e reti di terroristi operanti sotto la bandiera del SIIL, usato come ascaro per spezzare l'”Asse della Resistenza” tra Hezbollah, partito Baath siriano e Iran. Gli interessi economici e politici di Arabia Saudita e Qatar, in particolare delle famiglie regnanti di tali Paesi, sono evidenti; la loro presa sul potere è possibile solo mantenendo il dominio sul commercio dell’energia. Nell’Iran, le monarchie del Golfo vedono una potente e ricca nazione che, data l’opportunità di svilupparsi economicamente, probabilmente li eliminerebbe quali leader regionali.
Quindi, naturalmente, devono attivare le loro reti jihadiste per privare
l’Iran dei suoi due alleati strategici Iraq e Siria, spezzando così il
legame con Hezbollah e rompendo l’arco sciita. Una politica di potenza,
in sostanza, grazie a cui ora i curdi pagano con la propria vita le
aspirazioni meschine dei monarchi del Golfo. Infine, l’azione in
Kurdistan degli iraniani rappresenta una nuova fase della lunga guerra
per procura tra Iran e Israele. Non è un segreto che, come detto sopra,
alcune fazioni e organizzazioni curde siano state a lungo assai vicine a
Tel Aviv. In realtà, il rapporto ultradecennale tra i due è uno dei
motivi principali dell’acquiescenza curda ai piani occidentali contro
Iraq e Iran. Come il blogger filo-israeliano e auto-proclamatosi “saggio
prodigioso” Daniel Bart ha scritto:
“Ci fu un assai stretta cooperazione tra Israele e KDP nel 1965-1975. In quel periodo vi erano di solito circa 20 specialisti militari di stanza in una località segreta nel sud del Kurdistan. Rehavam Zeevi e Moshe Dayan erano tra i generali israeliani che prestarono servizio in Kurdistan… Gli israeliani addestrarono l’esercito curdo di Mustafa Barzani e persino ne guidarono le truppe in battaglia… La cooperazione “segreta” tra Kurdistan e Israele fu principalmente in due campi. Il primo nell’intelligence e questo è difficilmente notevole avendo avuto la metà del mondo, tra cui molti Stati musulmani, tali rapporti con Israele. Il secondo è l’influenza a Washington”.
Bart, basandosi sul lavoro dello
scrittore e ricercatore israeliano Shlomo Nakdimon, ha ragione nel
sottolineare che l’intelligence israeliana, tra cui alcuni dei più
celebri (o famigerati, a seconda della prospettiva) leader israeliani,
ebbe rapporti con la leadership curda per più di mezzo secolo. Anche se
le prove sono scarse, coloro che seguono da vicino la vicenda in
generale credono che la cooperazione tra Tel Aviv e Irbil sia aumentata
drammaticamente, soprattutto dopo l’invasione statunitense dell’Iraq nel
2003, infatti Israele ha probabilmente agenti segreti e ufficiali dei
servizi segreti in Kurdistan, e da qualche tempo. Questo non è
certamente un segreto per gli iraniani, convinti (e probabilmente a
ragione) che molti degli omicidi, attentati e altri atti terroristici
perpetrati da Israele siano stati pianificati e organizzati dal
territorio curdo. Tale pensiero è sostenuto dalle indagini del
giornalista premio Pulitzer Seymour Hersh che notò nel 2004:
“Gli israeliani hanno avuto lunghi legami con i clan Talabani e Barzani (in) Kurdistan e molti ebrei curdi emigrati in Israele hanno ancora molti contatti. Ma a un certo momento, prima della fine dell’anno (2004), non mi è chiaro esattamente quando, sicuramente direi sei/otto mesi fa, Israele ha iniziato a collaborare con alcuni commando curdi, apparentemente con l’idea di alcuni comandanti israeliani di unità d’élite antiterrorismo, o terroristiche a seconda dei punti di vista, di accelerare l’addestramento dei curdi”.
I leader iraniani sono
profondamente consapevoli della presenza di forze speciali ed
intelligence israeliane in Kurdistan, sapendo che in ultima analisi
Teheran è nel mirino. Così l’Iran ha chiaramente approfittato di
un’opportunità per affermare la propria influenza sul Kurdistan,
inserendosi in quello che era, finora, un dominio degli israeliani.
Resta da vedere come Tel Aviv risponderà.
Mentre il mondo guarda con orrore la continua avanzata del SIIL in Iraq e Siria, c’è un’altra storia che si svolge, quella di come l’Iran, da tempo demonizzato come paria regionale, trasformi un caos volto a distruggerlo con i suoi alleati in un possibile trampolino per una futura cooperazione. E’ la storia di ex-nemici che terrorismo e guerra per procura hanno avvicinato, esponendo al mondo il tradimento dei governi una volta visti come alleati. E’ la storia di alleanze mutevoli come la sabbia del deserto. Ma in questa storia, il prossimo capitolo deve ancora essere scritto.
Eric Draitser New Eastern Outlook
Eric Draitser
è analista geopolitico indipendente di New York City, fondatore di
StopImperialism.org, ed editorialista di RT, in esclusiva per la rivista
online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/10/17/iran-e-la-guerra-per-procura-in-kurdistan/
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