Molti settori di regolamentazione sono eccessivamente
concentrate sulle società straniere, mette in rilievo la Camera di
commercio americana. Innanzitutto ciò riguarda il settore di IT,
l'industria automobilistica e high-tech. Cosicché le autorità hanno
avviato le indagini antimonopoliste nei confronti delle società
Microsoft, Qualcomm e Chrysler. Simili problemi stanno sperimentando
anche imprenditori europei operanti nella Repubblica Popolare Cinese.
Lo
scorso agosto la Camera di commercio europea ha comunicato le pressioni
esercitata sulle società europee da parte degli organismi regolatori.
Audi, AG e Daimler AG sono state colpite da multe antimonopoliste. La
Commissione nazionale per lo sviluppo e riforme della Repubblica
Popolare Cinese ha dichiarato che le case automobilistiche devono pagare
le multe che ammontano a 30 milioni di euro per ciascuna. Pechino non
ha bypassato nemmeno produttori giapponesi di componenti
automobilistici. Questi ultimi sono stati accusati di collusione
finalizzata all'aumento dei prezzi per i loro prodotti e sono stati
complessivamente multati per 202 milioni di dollari.
Le
autorità della Repubblica Popolare Cinese respingono le accuse di un
atteggiamento prevenuto nei confronti di imprenditori stranieri. Loro
mettono in rilievo che lo scopo dei controlli antimonopolisti è di
tutelare consumatori e creare le condizioni per un'onesta e trasparente
competizione.
Ciononostante molti esperti hanno
l'opinione diversa. Loro mettono in rilievo che l'ingerenza diretta
dello stato riduce il livello di una libera concorrenza, pur con una
riserva: in una determinata fase la tutela dei produttori nazionali in
alcuni segmenti del mercato diventa una misura necessaria per lo
sviluppo dell'economia. Evidentemente la Cina è entrata proprio in
questa fase. Imprenditori stranieri dovranno adattarsi alle nuove regole
del gioco, afferma Vladislav Belov, esperto dell'Istituto dell'Europa
dell'Accademia Russa della Scienze:
Evidentemente investitori americani ed europei ritenevano che i fattori sui quali contavano al momento di prendere le rispettive decisioni sugli investimenti negli anni '90 e 2000 rimanessero immutabili. Che si sarebbero mantenuti manodopera a basso costo, il voluminoso mercato interno e la lealtà delle autorità. Invece il fato sta che i cinesi stanno imparando dagli europei e americani non solo a fabbricare prodotti innovativi di qualità, ma anche si fanno propria l'arte di lobbismo a favore dei propri produttori.
Negli
ultimi alcuni decenni la crescita dell'economia in gran parte è
sostenuta grazie agli investimenti stranieri. Le autorità non sono non
hanno ostacolato l'arrivo delle società straniere, ma hanno perfino
assicurato loro le condizioni privilegiate per la conduzione di loro
affari. Il fato sta che però che in questo tempo alla pari del settore
straniero si stava sviluppando attivamente il mercato del produttore
nazionale. E' arrivato il momento quando i loro interessi si sono
scontrati.
Le società straniere, lamentandosi della
discriminazione, minacciano di ridurre gli investimenti e mettono in
rilievo che la Cina può perdere completamente lo status di una regione
attraente per gli investimenti. D'altronde è una tendenza oggettiva.
Cresce il tenore di vita, aumenta il costo di manodopera. Perfino le
società locali delocalizzano nei paesi più "economici" del Sud-Est
Asiatico.
Le autorità della Repubblica Popolare Cinese
si rendono conto che il modello di crescita dell'economia che si basa su
investimenti stranieri è già stata superata. Il nuovo motore di
sviluppo devono essere consumi interni e il settore di servizi. E' poco
probabile che in queste condizioni il protezionismo cinese possa avere
una matrice politica ed è diretto contro specifici paesi o contro
specifiche società. La Cina semplicemente aspira a incentivare
l'esportazione dei propri capitali. Per questo motivo lo stato comincia a
difendere strenuamente gli interessi nazionali.
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