Martedì il prezzo del petrolio Brent del Mare del Nord è
calato a meno di 60 dollari al barile. Secondo l’opinione di una serie
di analisti, i prezzi sono caduti più di quanto lo richiedessero i
principi di mercato. Tale stato delle cose è dovuto come minimo a due
motivi, rileva Rustam Tankaev, esperto dell’Unione dei petrolieri della
Russia:
In questo caso operano, purtroppo, fattori difficilmente controllabili dall’esterno. Il primo fattore è lo Stato islamico che immette sul mercato mondiale petrolio a prezzi stracciati. I guerriglieri vendono il petrolio per comprarsi armi e munizioni. Anche se è vero che poi il petrolio viene fatto passare attraverso alcune mani per nascondere le tracce del contrabbando. Ma arriva lo stesso sul mercato ad un prezzo inferiore a 60 dollari al barile. Il secondo fattore è la guerra dei prezzi condotta dall’Arabia Saudita contro il petrolio da scisti prodotto negli USA. Sono questi processi a determinare il basso livello dei prezzi. Per quanto riguarda lo Stato islamico, gli americani devono porre fine al contrabbando del petrolio dalle zone occupate dai guerriglieri. Mentre i sauditi non riusciranno a mantenere i prezzi ad un livello basso. È da aspettarsi prossimamente un aumento dei prezzi. Tanto più che con i prezzi bassi del petrolio ne cresce il consumo, il che incide sul rapporto tra domanda e offerta.
L’attuale
situazione influisce immediatamente sulle cosiddette “petrovalute”, tra
cui il rublo russo. Le economie di una serie di paesi emergenti – oltre
alla Russia è l’Iran, Venezuela, Ecuador, Nigeria, Algeria – dipendono
direttamente dagli alti prezzi dell’“oro nero”. Questi paesi chiedono
alle monarchie del Golfo persico di ridurre l’estrazione. Ma, a quanto
risulta, queste non intendono retrocedere. Anche le stesse dipendono
interamente dal petrolio, ma il punto è che il costo di estrazione del
petrolio mediorientale è pari a 10 dollari.
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Secondo
l’opinione dei rappresentanti dell’Arabia Saudita, 40 dollari al barile
non sono il limite minimo. I sauditi non ridurranno l’estrazione neanche
con tale prezzo, in quanto il mercato potrà stabilizzarsi da solo. Gli
esperti dell’Agenzia internazionale per l’energia ritengono che la
tendenza di calo dei prezzi del petrolio non si sia ancora esaurita.
Anche l’OPEC pronostica nel 2015 una diminuzione della domanda di
petrolio. D’altronde, German Gref, presidente della Sberbank, esprime un
moderato ottimismo:
La dinamica dei prezzi del petrolio è negativa. Ma ci sarà una svolta. Più probabilmente, ciò succederà nella seconda metà del prossimo anno. Ma i prezzi non saliranno lo stesso alle stelle.
La
maggioranza degli esperti russi è del parere che i prezzi del petrolio
cominceranno a ritornare al livello di 80 dollari già nel prossimo anno.
Si può certo discutere sui ritmi di questo processo, ma nel mondo
contemporaneo il petrolio non può essere a buon mercato, sostiene
Marsel’ Salikhov, direttore del dipartimento di economia dell’Istituto
dell’energia e delle finanze:
La tendenza a lungo termine è quella dell’aumento dei prezzi. Qui bisogna partire dal costo di produzione nei nuovi progetti di estrazione sulla piattaforma continentale e in altre complesse condizioni geoclimatiche. Tali progetti non funzioneranno con il prezzo di 70 dollari al barile. Ma se non funzioneranno, il petrolio non basterà per un’economia in crescita. Allora il prezzo subito raddoppierà. L’estrazione non reagisce sull’istante a questi processi. Prima del ripristino dell’estrazione possono passare anche cinque anni. La penuria del prodotto viene sempre equilibrata dal suo prezzo.
Il mercato delle
risorse energetiche, come tutti gli altri mercati, passa attraverso
cicli. Su questo mercato incidono, indubbiamente, fattori geopolitici.
Adesso è la politica a determinare la linea economica. I maggiori
giocatori vanno coscientemente contro il mercato. Ma ben presto
l’istinto di conservazione li costringerà a ritornare al buonsenso e
alla razionalità.
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