venerdì 12 dicembre 2014

Le Regole del Gioco

 
Ognuno ricavi in sé le risorse del rinnovamento, sperduti come siamo nel fondo abbacinante della società tecnocratica.
 
Il gioco della modernità è perverso e noi rifiutiamo ogni perversione. Postmoderni consapevoli e fragilissimi rigettiamo ogni alibi ideologico. Il nostro massimo difetto è non essere capaci di esprimere slanci lirici, autentiche compassioni scaturite dalla volontà di preservare la bellezza residuale del mondo … di questo mondo.
Distanti dal misticismo pur essendo intimamente accresciuti da una lieve tensione per il trascendente, ricerchiamo il contatto appena impercettibile con un lembo di quella sapienza primordiale che, attraverso ogni suo atto, la società meccanizzata cospira a reprimere. Come già fu considerato dai migliori: la finalità ultima del cosiddetto “progresso” è la repressione nell’uomo della sua innata essenza devota.


Stare al “gioco moderno”, significa dichiararsi intimamente spenti ma esteriormente smaniosi di fruire della novità, dello “sviluppo”, che in definitiva costituiscono l’alibi ideologico attraverso il quale l’attuale forma di potere intende cristallizzare – plastificandola – la condizione del tempo presente; come annotò Elémire Zolla: “… poiché questo sarebbe uno dei ricatti della mentalità tecnocratica che vive del nuovo nella misura in cui non concepisce di poter dar spazio a qualcosa di diverso da se stessa”. Alibi e ricatti sono stati adoperati negli ultimi duecento anni per avvelenare gli equilibri di una realtà fondamentalmente sana.
 
Piccoli uomini, non dobbiamo tremare di fronte ai prodigi dell’inganno, siano essi “veterotestamentari” che “avveniristici”. Il piccolo uomo è fondamentalmente impotente, e tale deve “felicemente” rimanere.
 
In realtà è solo attraverso l’impotenza – incoerenza virtuosa – che possiamo tradurre in realtà il compassionevole nucleo della nostra rilevante radianza. Non a caso, tutte le dottrine new age diffondono il pensiero del “potere personale”, del “tutto è realizzabile”. Questo è un falso mito atto a disperdere la preziosa volontà dell’animo inquieto.
 
Il piccolo uomo non è se non come frammento. Attraverso la negazione post-moderna e post-nichilista, attraverso la negazione di ogni arido concettualismo noi rivendichiamo l’esser nostro patetici e ingenui. Attraverso un aspirazione legittimamente primordiale e assieme mozartiana, dolorosamente coltraniana, risiederebbe l’unica nostra possibilità di realizzare ciò che l’orfico Dino Campana un giorno definì come La Grande Salute: un aspirazione alla sopravvivenza dell’istinto nel sopraggiunto dominio del preconfezionato – sebbene lui morì in manicomio intuì il vero del vero – perché noi uomini nuovi – come scrisse – siamo senza nome (senza sostanziale identità anche se presenti nelle statistiche dei moduli 730) siamo difficilmente comprensibili – rimaniamo sconosciuti a noi stessi – NOI, ritardati figli precoci di un avvenire ancora non verificato – ma astrusamente pianificato – per poter vivere nell’irraggiamento della continua febbre elettromagnetica abbiamo bisogno di determinare una “nuova” salute … più scaltrita, più tenace, più gaia di quanto non sia stata fino a oggi ogni salute … una vitalità che dobbiamo conquistare nell’insignificanza e attraverso la mancanza stessa di forze. Siamo chiamati a giocare sì … ma ad un gioco tragico con tutto quanto fino ad oggi fu detto sacro, buono, intangibile, divino.
 
autore: Giovanni Ranella - (‘grassetto’ ed immagine inseriti da: freeskies)

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