L’articolo intitolato “L’apologo di Menenio Agrippa:
esortazione alla concordia sociale o apologia dello Stato-Leviatano?”
potrebbe sembrare infirmato da una contraddizione: come può un uomo
disconoscere uno Stato dei cui servizi, per quanto scadenti, usufruisce?
Come può un cittadino essere un impiegato statale e, nel contempo,
sconfessare l’Istituzione per eccellenza?
Orbene, vedremo con logica stringente che le argomentazioni non sono inficiate da alcuna incongruenza. Infatti dal momento in cui lo Stato viola il tacito patto sociale, esso è in difetto nei confronti del singolo: è come se avesse contratto un debito di cui deve versare gli interessi al cittadino.
Proponiamo l’esempio del fisco: visto che lo Stato contemporaneo destina una quota abnorme del gettito erariale alle spese militari (biogeoingegneria inclusa), al mantenimento di una cricca parassitaria di “politici”, burocrati e funzionari, alla costruzione di opere “pubbliche” che devastano l’ambiente, al pagamento dell’usura sul signoraggio bancario etc., è palese la violazione del dettato costituzionale.[1] La Costituzione, infatti, prevede un sistema tributario informato a criteri di progressività e concepito affinché ciascuno concorra con le imposte alle “spese pubbliche”. Per “spese pubbliche” non si possono certo intendere esborsi con cui è arricchita una masnada di profittatori né investimenti addirittura impiegati per danneggiare la collettività.[2]
Orbene, vedremo con logica stringente che le argomentazioni non sono inficiate da alcuna incongruenza. Infatti dal momento in cui lo Stato viola il tacito patto sociale, esso è in difetto nei confronti del singolo: è come se avesse contratto un debito di cui deve versare gli interessi al cittadino.
Proponiamo l’esempio del fisco: visto che lo Stato contemporaneo destina una quota abnorme del gettito erariale alle spese militari (biogeoingegneria inclusa), al mantenimento di una cricca parassitaria di “politici”, burocrati e funzionari, alla costruzione di opere “pubbliche” che devastano l’ambiente, al pagamento dell’usura sul signoraggio bancario etc., è palese la violazione del dettato costituzionale.[1] La Costituzione, infatti, prevede un sistema tributario informato a criteri di progressività e concepito affinché ciascuno concorra con le imposte alle “spese pubbliche”. Per “spese pubbliche” non si possono certo intendere esborsi con cui è arricchita una masnada di profittatori né investimenti addirittura impiegati per danneggiare la collettività.[2]
Già la sola introduzione delle imposte indirette infrange la lettera e
lo spirito dell’articolo 53: dunque il cittadino che decide di non
alimentare un sistema iniquo ed illegittimo per mezzo di uno sciopero
fiscale, agisce in modo lodevole e giuridicamente ineccepibile. Non
solo, egli vanta sempre un credito nei confronti dello Stato, giacché,
con i gravami indiretti su beni e servizi, obtorto collo sovvenziona gli apparati.
Quando il singolo riceve uno stipendio dallo Stato o qualsiasi altro emolumento (assegno previdenziale, di disoccupazione...), senza dimenticare che molti Italiani, pur disoccupati, sono scorticati da un fisco esoso, egli ottiene sempre una quota irrisoria di quanto meriterebbe. Nel caso dei disoccupati si crea una situazione di inammissibile squilibrio, poiché chi non ha un impiego sostiene con i balzelli uno Stato che non gli elargisce alcunché. Comunque ciò che è introitato è un’esigua frazione di un indennizzo che lo Stato deve versare per non aver ottemperato alle regole del contratto generale. Questo vale soprattutto per quegli uomini che con la loro cultura ed il loro ingegno dànno lustro e prosperità al paese cui appartengono. Aveva ragione Socrate: il filosofo non solo chiese ai giudici ateniesi di assolverlo senza esitazioni, ma di essere mantenuto a spese della pòlis.
E’ naturale quindi che, mentre l’azione penale esercitata ai danni di un cittadino rinviato a giudizio o processato o condannato in modo arbitrario, è nulla, perché priva di qualsiasi valore giuridico ed etico, la denuncia che il cittadino libero sporge nei rispetti di coloro che trasgrediscono le leggi ed i princìpi morali alla base dell’accordo sociale, è l’unica ad essere legittima e valida.
E’ sufficiente che anche una sola norma sia conculcata per invalidare l’intero impianto su cui si fonda il patto tra i componenti della compagine pubblica.[3] In tal caso, il cittadino di cui sono stati lesi i diritti, è abilitato e tenuto a disconoscere lo Stato (inteso sia come organismo sia come insieme dei rappresentanti infedeli) che, nelle more di una ridefinizione del concordato, dovrà conformarsi alla volontà del singolo, una volontà ispirata a valori imperituri e non, a differenza di quanto avviene all’interno della controparte, a cavilli vessatori, ad imbrogli pseudo-legali. Il cittadino libero si trova a vivere in una situazione de facto, ma scevra di qualsiasi fondamento giuridico: ne deriva una sproporzione che esige un ristabilimento dell’equità minata dall’usurpazione di poteri non delegati.
Giustamente Thomas Jefferson e James Madison nelle "Kentucky e Virginia resolutions" (1798 e 1799) affermano: “Ogni qualvolta il Governo generale assuma poteri non delegati, i suoi atti non sono autorevoli, sono vuoti e senza alcuna autorità”. Si può soltanto essere d’accordo.
[1] L’art. 32 risulta senza alcun dubbio violato dalle attività di geoingegneria clandestina: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Stesso discorso per il secondo comma dell’art. 9 “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
[2] Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
[3] Ad esempio, gli artt. 2 e 3. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Quando il singolo riceve uno stipendio dallo Stato o qualsiasi altro emolumento (assegno previdenziale, di disoccupazione...), senza dimenticare che molti Italiani, pur disoccupati, sono scorticati da un fisco esoso, egli ottiene sempre una quota irrisoria di quanto meriterebbe. Nel caso dei disoccupati si crea una situazione di inammissibile squilibrio, poiché chi non ha un impiego sostiene con i balzelli uno Stato che non gli elargisce alcunché. Comunque ciò che è introitato è un’esigua frazione di un indennizzo che lo Stato deve versare per non aver ottemperato alle regole del contratto generale. Questo vale soprattutto per quegli uomini che con la loro cultura ed il loro ingegno dànno lustro e prosperità al paese cui appartengono. Aveva ragione Socrate: il filosofo non solo chiese ai giudici ateniesi di assolverlo senza esitazioni, ma di essere mantenuto a spese della pòlis.
E’ naturale quindi che, mentre l’azione penale esercitata ai danni di un cittadino rinviato a giudizio o processato o condannato in modo arbitrario, è nulla, perché priva di qualsiasi valore giuridico ed etico, la denuncia che il cittadino libero sporge nei rispetti di coloro che trasgrediscono le leggi ed i princìpi morali alla base dell’accordo sociale, è l’unica ad essere legittima e valida.
E’ sufficiente che anche una sola norma sia conculcata per invalidare l’intero impianto su cui si fonda il patto tra i componenti della compagine pubblica.[3] In tal caso, il cittadino di cui sono stati lesi i diritti, è abilitato e tenuto a disconoscere lo Stato (inteso sia come organismo sia come insieme dei rappresentanti infedeli) che, nelle more di una ridefinizione del concordato, dovrà conformarsi alla volontà del singolo, una volontà ispirata a valori imperituri e non, a differenza di quanto avviene all’interno della controparte, a cavilli vessatori, ad imbrogli pseudo-legali. Il cittadino libero si trova a vivere in una situazione de facto, ma scevra di qualsiasi fondamento giuridico: ne deriva una sproporzione che esige un ristabilimento dell’equità minata dall’usurpazione di poteri non delegati.
Giustamente Thomas Jefferson e James Madison nelle "Kentucky e Virginia resolutions" (1798 e 1799) affermano: “Ogni qualvolta il Governo generale assuma poteri non delegati, i suoi atti non sono autorevoli, sono vuoti e senza alcuna autorità”. Si può soltanto essere d’accordo.
[1] L’art. 32 risulta senza alcun dubbio violato dalle attività di geoingegneria clandestina: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Stesso discorso per il secondo comma dell’art. 9 “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
[2] Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
[3] Ad esempio, gli artt. 2 e 3. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
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