Mentre
Washington sembra ossessionata dal tentativo di umiliare il presidente
cinese Xi Jinping e fargli perdere la faccia, inviando navi da guerra
nelle acque territoriali cinesi nel Mar Cinese Meridionale, pochi giorni
dopo la riunione alla Casa Bianca di Obama con il Presidente Xi, e
altri atti provocatori, il governo della Gran Bretagna approfitta della
crescente spaccatura tra Washington e Pechino.
Muovendosi sapientemente
per sviluppare un ruolo di primo piano in ciò che vede passaggio della
moneta cinese, Renminbi (RMB), a importante valuta di riserva globale.
La Cina da parte sua compie passi prudenti ma fermi per creare tale
status del renminbi, che potrebbe spianare la via d’uscita della Cina ed
altri dal dollaro e dall’esercizio del debito del Tesoro degli USA.
Xi compiva una visita importante a Londra a fine ottobre, incontrando non solo il primo ministro Cameron, ma anche la regina della Gran Bretagna. Dopo i colloqui con Cameron, il presidente cinese proclamava che Cina e Gran Bretagna costruiranno un “partenariato strategico globale” nel 21° secolo. Per la Gran Bretagna è una mossa astuta delle istituzioni finanziarie della City di Londra saldare il proprio futuro finanziario con quello della Cina mentre il drago cinese agisce per fare del renminbi una delle principali valute commerciali e di riserva del mondo. E’ anche una cattiva notizia per i possessori del dollaro, dato che chiaramente Pechino avrà scarso interesse a sostenerne il sistema, carico di debiti, nei prossimi anni.
La dichiarazione congiunta
rilasciata dopo i colloqui di Londra dai governi cinese e inglese
dichiarava, “Il Regno Unito sostiene l’inclusione del RMB nel paniere
dei DSP soggetto ai criteri vigenti, nella prossima revisione dei DSP
del FMI. Entrambe le parti esortano i membri che devono ancora
ratificare le quote e la riforma della governance del 2010 a farlo senza
indugio migliorando ulteriormente la voce dei mercati emergenti e dei
Paesi in via di sviluppo”. L’ultima è una frecciata diretta a Washington
e al senato degli Stati Uniti, che bloccano l’approvazione delle
riforme sul voto del FMI.
La dichiarazione congiunta continua, “la Cina
si congratula con la Gran Bretagna per essere stata il primo grande
Paese occidentale a diventare uno dei membri fondatori dell’Asian
Infrastructure Investment Bank (AIIB). Siamo ansiosi d’iniziare
l’attività e l’integrazione dell’AIIB nel sistema finanziario globale da
istituzione ‘snella, pulita e nuova’ che affronta le esigenze
infrastrutturali dell’Asia”. Dopo le devastazioni della seconda guerra
mondiale, la City di Londra fu costretta a cedere il ruolo di principale
centro finanziario mondiale a New York e al sistema del dollaro.
Il
potere passò dall’impero formale inglese all’impero informale
statunitense. Wall Street sostituì la City di Londra dopo i colloqui del
1944 di Bretton Woods. I tempi sono cambiati. Oggi la City di Londra è
il principale centro mondiale finanziario, e il luogo dove si cambia più
valuta che a New York. È già stato concluso un accordo bilaterale con
la Banca Popolare della Cina sullo scambio del Renminbi, il terzo più
grande centro del RMB al mondo. La questione è se la Gran Bretagna, o
come Charles de Gaulle la definì, la “perfida Albione”, sia il cavallo
di Troia di Washington, insinuandosi tra le pieghe del Grande Piano
cinese. O il cavallo di Troia si appresta a galoppare via dal partner
transatlantico degli Stati Uniti, verso est?
Il Grande Piano del CIPS della Cina
Ciò che appare chiaro al dipartimento del Tesoro di Washington è che la Cina ha una strategia a lungo termine, il Grande Piano, per acquisire la piena autonomia dal dollaro come valuta di riserva, che può essere usata per ingaggiare guerre valutarie contro una Cina recalcitrante. Oggi la Cina è il maggiore detentore straniero di debito del governo statunitense, un tallone d’Achille che una situazione di sanzioni finanziarie o congelamento dei beni degli Stati Uniti potrebbe essere devastante per Pechino.
Ciò che appare chiaro al dipartimento del Tesoro di Washington è che la Cina ha una strategia a lungo termine, il Grande Piano, per acquisire la piena autonomia dal dollaro come valuta di riserva, che può essere usata per ingaggiare guerre valutarie contro una Cina recalcitrante. Oggi la Cina è il maggiore detentore straniero di debito del governo statunitense, un tallone d’Achille che una situazione di sanzioni finanziarie o congelamento dei beni degli Stati Uniti potrebbe essere devastante per Pechino.
Un passo da gigante per rendere non solo la Cina
ma anche la Russia e altre nazioni meno vulnerabili alle azioni
finanziarie terroristiche del dipartimento del Tesoro degli USA, s’è
avuto questo ottobre, quando Pechino ha avviato il proprio sistema di
compensazione interbancaria SWIFT. Nelle sanzioni statunitensi contro
l’Iran, Washington è riuscita ad obbligare il sistema interbancario
privato SWIFT, in Belgio, a congelare i trasferimenti bancari
internazionali dell’Iran, di fatto strangolandone l’economia, rendendo
l’esportazione di petrolio quasi impossibile. Nel 2014, quando
Washington impose numerose sanzioni alla Russia, fece pressione su
SWIFT, sistema privato di circa 200 grandi banche internazionali, per
impedire alla Russia di usarlo, cosa che la Russia avrebbe considerato
atto di guerra.
In quel caso, almeno quella volta, i membri del SWIFT
rifiutarono d’imporre il divieto dei pagamenti. Stupidamente, l’inglese
Cameron e il russofobo governo polacco, si unirono a Washington
nell’agosto 2014 per far sì che SWIFT congelasse le banche russe. In
risposta, il Presidente Vladimir Putin ordinò la creazione di un sistema
di compensazione interbancaria russo, oggi operativo. La Cina ha
seguito i piani per internazionalizzare il proprio sistema di
compensazione interbancario, anche con le banche russe; un duro colpo
per il SWIFT delle banche occidentali politicizzate. Ora la Cina ha
avviato limitate operazioni del proprio SWIFT, che si chiama CIPS o
Sistema di pagamenti internazionali della Cina.
Utilizza lo stesso
sistema di codifica di altri sistemi di pagamento internazionali,
rendendo le operazioni più fluide e rapide. Si tratta di un super-rete
che sostituirà i cambi esistenti che elaborano i pagamenti in yuan,
rivaleggiando con Visa e MasterCard. CIPS sarà un sostegno importante
all’internazionalizzazione del RMB e in realtà sarà più significativo,
sotto molti aspetti, per la sicurezza finanziaria internazionale della
Cina contro gli attacchi finanziari degli USA, con l’azione della Cina
per far accettare la valuta dal Fondo monetario internazionale tra i
Diritti speciali di prelievo (DSP) del paniere di valute del FMI,
assieme a dollaro, yen, sterlina e euro.
La Banca nazionale cinese ne ha
posto le basi da qualche tempo. Già il RMB è la quarta valuta più
scambiata al mondo superando lo yen giapponese. Prima del lancio del
CIPS, l’uso del RMB nei rapporti finanziari internazionali era lungo e
costoso con banche di cambio off-shore solo a Hong Kong, Singapore e
Londra capaci di fare transazioni. Con CIPS sarà molto più veloce e più
economico. SWIFT ne uscirà perdente per volontà di Washington e delle su
sciocche sanzioni da guerra finanziaria. CIPS faciliterà anche il
coordinamento finanziario tra Cina e Paesi partner del BRICS, in
particolare la Russia.
Il Ministero delle Finanze russo annunciava il 6
novembre che il governo russo emetterà titoli di Stato nel 2016, per un
importo ancora indeterminato in RMB, nel tentativo di aggirare le
sanzioni degli Stati Uniti avvicinandosi al partner strategico, la Cina.
Le sanzioni dell’unità del terrorismo finanziario del Tesoro di
Washington, imposte alla Russia nel 2014, miravano alle grandi banche
statali Sberbank, VTB, Vnesheconombank, Gazprombank e Rosselkhozbank
(Banca dell’Agricoltura russa) escluse a lungo termine (oltre 30
giorni) dal finanziamento occidentale. La Cina potrebbe compensarle,
ora.
Pechino blocca la liberalizzazione finanziaria
Un’altra mossa strategica che si distingue proteggendo la Cina dagli attacchi speculativi finanziari che devastarono le economie delle tigri asiatiche nel 1997-98, è la decisione della leadership cinese di congelare le principali “riforme” per liberalizzare il mercato finanziario, almeno fino al 2020. Washington ha apertamente sostenuto le riforme per togliere i controlli sui capitali, consentendone la libera circolazione dentro e fuori la Cina. Lo scorso giugno i mercati azionari di Shanghai e Shenzhen cominciarono a crollare mentre scoppiava la bolla febbrile incoraggiata dal governo cinese, nella vana speranza di risucchiare il capitale necessario per le imprese di proprietà statale indebitate. Circa 2 trilioni di dollari in azioni svanirono nel nulla in quattro settimane, insieme ai risparmi di circa 90 milioni di cittadini cinesi che acquistarono il sogno di “arricchirsi”.
Un’altra mossa strategica che si distingue proteggendo la Cina dagli attacchi speculativi finanziari che devastarono le economie delle tigri asiatiche nel 1997-98, è la decisione della leadership cinese di congelare le principali “riforme” per liberalizzare il mercato finanziario, almeno fino al 2020. Washington ha apertamente sostenuto le riforme per togliere i controlli sui capitali, consentendone la libera circolazione dentro e fuori la Cina. Lo scorso giugno i mercati azionari di Shanghai e Shenzhen cominciarono a crollare mentre scoppiava la bolla febbrile incoraggiata dal governo cinese, nella vana speranza di risucchiare il capitale necessario per le imprese di proprietà statale indebitate. Circa 2 trilioni di dollari in azioni svanirono nel nulla in quattro settimane, insieme ai risparmi di circa 90 milioni di cittadini cinesi che acquistarono il sogno di “arricchirsi”.
Ciò che è emerso da
questa esperienza è che governo e autorità di regolamentazione
finanziaria avevano imitato i modelli della borsa di Wall Street, senza
capirne il rischio, con tecniche che consentivano agli investitori di
comprare titoli a margine o fondi di prestito dai broker. Il 6 novembre,
il governo cinese annunciava che i piani iniziali per consentire il
libero flusso di capitali in Cina, la cui adozione era in programma per
la fine dell’anno, venivano rinviati alla fine del 2020. Questo è un
passo importante nella stabilizzazione dei tumulti borsistici e su altri
mercati della Cina.
Inoltre isola la Cina dalla speculazione degli
hedge fund che ha distrutto la crescita economica in Thailandia,
Malesia, Corea del Sud nel 1997, quando George Soros guidò una banda di
hedge fund contro quei mercati finanziari. Come inutilmente ci prova
oggi con la Cina, il Tesoro degli Stati Uniti a metà degli anni ’90
convinse le economie delle tigri asiatiche a “riformare e liberalizzare”
i mercati finanziari, rendendoli vulnerabili. Vi sarebbe stato un teso
dibattito a porte chiuse, il 22 settembre, nella riunione presieduta dal
Presidente Xi tra il Ministero delle Finanze cinese, quello dello
Sviluppo nazionale, la Commissione per le riforme e l’Agenzia per la
pianificazione responsabile delle infrastrutture e altre opere.
I
funzionari del Ministero delle Finanze sostenevano una maggiore
liberalizzazione finanziaria, come fece il segretario al Tesoro Jacob
Lew, nella pessima convinzione che i risparmiatori cinesi guadagnassero
di più investendo in azioni o obbligazioni straniere che in Cina,
utilizzandone l'”effetto ricchezza” degli investimenti esteri comprando
più smart phone o computer portatili Huawei, e stimolando la crescita
interna. Qualsiasi serio gestore di fondi occidentale che detenga azioni
o obbligazioni sui mercati UE o USA, oggi passa notti insonni
trattenendo il respiro e temendo il collasso delle bolle indotte dalle
banche centrali sui mercati azionari e obbligazionari, risultato di anni
di politiche di Quantitative Easing a zero tassi d’interesse
perseguiti da Federal Reserve e Banca centrale europea dalla crisi
finanziaria degli Stati Uniti nel 2007-2008.
In retrospettiva i leader cinesi si renderebbero conto dall’esperienza con bolle e crash del mercato azionario di stampo USA, di concentrare più forze e attenzione sulle ben più economicamente importanti passi per costruire la rete di infrastrutture ferroviarie e marittime della Via e Cintura in Eurasia. Il Giappone subì la più devastante distruzione dal dopoguerra del modello economico del MITI, dopo gli accordi del Plaza del settembre 1985, quando il segretario del Tesoro di Washington James Baker III fece pressione sul Giappone per apprezzare lo yen e adottare altre misure che gonfiarono i mercati azionari e immobiliari mondiali.
La bolla scoppiò nel 1990 e il Giappone è alle prese con la deflazione
cronica e deve ancora riprendersi. Il mondo non ha bisogno di una nuova
versione “con caratteristiche cinesi” del modello di Wall Street. Il
mondo ha bisogno di solidi investimenti nelle necessarie infrastrutture
sulle ampie distese di Eurasia, Medio Oriente e Africa. Sembra che la
leadership cinese abbia appreso una lezione dolorosa. Fortunatamente, il
programma Via e Cintura di Xi Jinping è già stato designato priorità
strategica nazionale.
F. William Engdahl New Eastern Outlook 14/12/2015
F. William Engdahl
è consulente di rischio strategico e docente, laureato in Scienze
Politiche all’Università di Princeton è autore di best-seller su
petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2015/12/15/la-cina-abbandona-con-cura-il-dollaro/
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