martedì 15 dicembre 2015

La Cina abbandona con cura il dollaro

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Mentre Washington sembra ossessionata dal tentativo di umiliare il presidente cinese Xi Jinping e fargli perdere la faccia, inviando navi da guerra nelle acque territoriali cinesi nel Mar Cinese Meridionale, pochi giorni dopo la riunione alla Casa Bianca di Obama con il Presidente Xi, e altri atti provocatori, il governo della Gran Bretagna approfitta della crescente spaccatura tra Washington e Pechino. 

Muovendosi sapientemente per sviluppare un ruolo di primo piano in ciò che vede passaggio della moneta cinese, Renminbi (RMB), a importante valuta di riserva globale. La Cina da parte sua compie passi prudenti ma fermi per creare tale status del renminbi, che potrebbe spianare la via d’uscita della Cina ed altri dal dollaro e dall’esercizio del debito del Tesoro degli USA.

Xi compiva una visita importante a Londra a fine ottobre, incontrando non solo il primo ministro Cameron, ma anche la regina della Gran Bretagna. Dopo i colloqui con Cameron, il presidente cinese proclamava che Cina e Gran Bretagna costruiranno un “partenariato strategico globale” nel 21° secolo. Per la Gran Bretagna è una mossa astuta delle istituzioni finanziarie della City di Londra saldare il proprio futuro finanziario con quello della Cina mentre il drago cinese agisce per fare del renminbi una delle principali valute commerciali e di riserva del mondo. E’ anche una cattiva notizia per i possessori del dollaro, dato che chiaramente Pechino avrà scarso interesse a sostenerne il sistema, carico di debiti, nei prossimi anni.

La dichiarazione congiunta rilasciata dopo i colloqui di Londra dai governi cinese e inglese dichiarava, “Il Regno Unito sostiene l’inclusione del RMB nel paniere dei DSP soggetto ai criteri vigenti, nella prossima revisione dei DSP del FMI. Entrambe le parti esortano i membri che devono ancora ratificare le quote e la riforma della governance del 2010 a farlo senza indugio migliorando ulteriormente la voce dei mercati emergenti e dei Paesi in via di sviluppo”. L’ultima è una frecciata diretta a Washington e al senato degli Stati Uniti, che bloccano l’approvazione delle riforme sul voto del FMI. 

La dichiarazione congiunta continua, “la Cina si congratula con la Gran Bretagna per essere stata il primo grande Paese occidentale a diventare uno dei membri fondatori dell’Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB). Siamo ansiosi d’iniziare l’attività e l’integrazione dell’AIIB nel sistema finanziario globale da istituzione ‘snella, pulita e nuova’ che affronta le esigenze infrastrutturali dell’Asia”. Dopo le devastazioni della seconda guerra mondiale, la City di Londra fu costretta a cedere il ruolo di principale centro finanziario mondiale a New York e al sistema del dollaro. 

Il potere passò dall’impero formale inglese all’impero informale statunitense. Wall Street sostituì la City di Londra dopo i colloqui del 1944 di Bretton Woods. I tempi sono cambiati. Oggi la City di Londra è il principale centro mondiale finanziario, e il luogo dove si cambia più valuta che a New York. È già stato concluso un accordo bilaterale con la Banca Popolare della Cina sullo scambio del Renminbi, il terzo più grande centro del RMB al mondo. La questione è se la Gran Bretagna, o come Charles de Gaulle la definì, la “perfida Albione”, sia il cavallo di Troia di Washington, insinuandosi tra le pieghe del Grande Piano cinese. O il cavallo di Troia si appresta a galoppare via dal partner transatlantico degli Stati Uniti, verso est?

Il Grande Piano del CIPS della Cina
Ciò che appare chiaro al dipartimento del Tesoro di Washington è che la Cina ha una strategia a lungo termine, il Grande Piano, per acquisire la piena autonomia dal dollaro come valuta di riserva, che può essere usata per ingaggiare guerre valutarie contro una Cina recalcitrante. Oggi la Cina è il maggiore detentore straniero di debito del governo statunitense, un tallone d’Achille che una situazione di sanzioni finanziarie o congelamento dei beni degli Stati Uniti potrebbe essere devastante per Pechino. 

Un passo da gigante per rendere non solo la Cina ma anche la Russia e altre nazioni meno vulnerabili alle azioni finanziarie terroristiche del dipartimento del Tesoro degli USA, s’è avuto questo ottobre, quando Pechino ha avviato il proprio sistema di compensazione interbancaria SWIFT. Nelle sanzioni statunitensi contro l’Iran, Washington è riuscita ad obbligare il sistema interbancario privato SWIFT, in Belgio, a congelare i trasferimenti bancari internazionali dell’Iran, di fatto strangolandone l’economia, rendendo l’esportazione di petrolio quasi impossibile. Nel 2014, quando Washington impose numerose sanzioni alla Russia, fece pressione su SWIFT, sistema privato di circa 200 grandi banche internazionali, per impedire alla Russia di usarlo, cosa che la Russia avrebbe considerato atto di guerra. 

In quel caso, almeno quella volta, i membri del SWIFT rifiutarono d’imporre il divieto dei pagamenti. Stupidamente, l’inglese Cameron e il russofobo governo polacco, si unirono a Washington nell’agosto 2014 per far sì che SWIFT congelasse le banche russe. In risposta, il Presidente Vladimir Putin ordinò la creazione di un sistema di compensazione interbancaria russo, oggi operativo. La Cina ha seguito i piani per internazionalizzare il proprio sistema di compensazione interbancario, anche con le banche russe; un duro colpo per il SWIFT delle banche occidentali politicizzate. Ora la Cina ha avviato limitate operazioni del proprio SWIFT, che si chiama CIPS o Sistema di pagamenti internazionali della Cina. 

Utilizza lo stesso sistema di codifica di altri sistemi di pagamento internazionali, rendendo le operazioni più fluide e rapide. Si tratta di un super-rete che sostituirà i cambi esistenti che elaborano i pagamenti in yuan, rivaleggiando con Visa e MasterCard. CIPS sarà un sostegno importante all’internazionalizzazione del RMB e in realtà sarà più significativo, sotto molti aspetti, per la sicurezza finanziaria internazionale della Cina contro gli attacchi finanziari degli USA, con l’azione della Cina per far accettare la valuta dal Fondo monetario internazionale tra i Diritti speciali di prelievo (DSP) del paniere di valute del FMI, assieme a dollaro, yen, sterlina e euro. 

La Banca nazionale cinese ne ha posto le basi da qualche tempo. Già il RMB è la quarta valuta più scambiata al mondo superando lo yen giapponese. Prima del lancio del CIPS, l’uso del RMB nei rapporti finanziari internazionali era lungo e costoso con banche di cambio off-shore solo a Hong Kong, Singapore e Londra capaci di fare transazioni. Con CIPS sarà molto più veloce e più economico. SWIFT ne uscirà perdente per volontà di Washington e delle su sciocche sanzioni da guerra finanziaria. CIPS faciliterà anche il coordinamento finanziario tra Cina e Paesi partner del BRICS, in particolare la Russia. 

Il Ministero delle Finanze russo annunciava il 6 novembre che il governo russo emetterà titoli di Stato nel 2016, per un importo ancora indeterminato in RMB, nel tentativo di aggirare le sanzioni degli Stati Uniti avvicinandosi al partner strategico, la Cina. Le sanzioni dell’unità del terrorismo finanziario del Tesoro di Washington, imposte alla Russia nel 2014, miravano alle grandi banche statali Sberbank, VTB, Vnesheconombank, Gazprombank e Rosselkhozbank (Banca dell’Agricoltura russa) escluse a lungo termine (oltre 30 giorni) dal finanziamento occidentale. La Cina potrebbe compensarle, ora.

Pechino blocca la liberalizzazione finanziaria
Un’altra mossa strategica che si distingue proteggendo la Cina dagli attacchi speculativi finanziari che devastarono le economie delle tigri asiatiche nel 1997-98, è la decisione della leadership cinese di congelare le principali “riforme” per liberalizzare il mercato finanziario, almeno fino al 2020. Washington ha apertamente sostenuto le riforme per togliere i controlli sui capitali, consentendone la libera circolazione dentro e fuori la Cina. Lo scorso giugno i mercati azionari di Shanghai e Shenzhen cominciarono a crollare mentre scoppiava la bolla febbrile incoraggiata dal governo cinese, nella vana speranza di risucchiare il capitale necessario per le imprese di proprietà statale indebitate. Circa 2 trilioni di dollari in azioni svanirono nel nulla in quattro settimane, insieme ai risparmi di circa 90 milioni di cittadini cinesi che acquistarono il sogno di “arricchirsi”. 

Ciò che è emerso da questa esperienza è che governo e autorità di regolamentazione finanziaria avevano imitato i modelli della borsa di Wall Street, senza capirne il rischio, con tecniche che consentivano agli investitori di comprare titoli a margine o fondi di prestito dai broker. Il 6 novembre, il governo cinese annunciava che i piani iniziali per consentire il libero flusso di capitali in Cina, la cui adozione era in programma per la fine dell’anno, venivano rinviati alla fine del 2020. Questo è un passo importante nella stabilizzazione dei tumulti borsistici e su altri mercati della Cina. 

Inoltre isola la Cina dalla speculazione degli hedge fund che ha distrutto la crescita economica in Thailandia, Malesia, Corea del Sud nel 1997, quando George Soros guidò una banda di hedge fund contro quei mercati finanziari. Come inutilmente ci prova oggi con la Cina, il Tesoro degli Stati Uniti a metà degli anni ’90 convinse le economie delle tigri asiatiche a “riformare e liberalizzare” i mercati finanziari, rendendoli vulnerabili. Vi sarebbe stato un teso dibattito a porte chiuse, il 22 settembre, nella riunione presieduta dal Presidente Xi tra il Ministero delle Finanze cinese, quello dello Sviluppo nazionale, la Commissione per le riforme e l’Agenzia per la pianificazione responsabile delle infrastrutture e altre opere. 

I funzionari del Ministero delle Finanze sostenevano una maggiore liberalizzazione finanziaria, come fece il segretario al Tesoro Jacob Lew, nella pessima convinzione che i risparmiatori cinesi guadagnassero di più investendo in azioni o obbligazioni straniere che in Cina, utilizzandone l'”effetto ricchezza” degli investimenti esteri comprando più smart phone o computer portatili Huawei, e stimolando la crescita interna. Qualsiasi serio gestore di fondi occidentale che detenga azioni o obbligazioni sui mercati UE o USA, oggi passa notti insonni trattenendo il respiro e temendo il collasso delle bolle indotte dalle banche centrali sui mercati azionari e obbligazionari, risultato di anni di politiche di Quantitative Easing a zero tassi d’interesse perseguiti da Federal Reserve e Banca centrale europea dalla crisi finanziaria degli Stati Uniti nel 2007-2008.

In retrospettiva i leader cinesi si renderebbero conto dall’esperienza con bolle e crash del mercato azionario di stampo USA, di concentrare più forze e attenzione sulle ben più economicamente importanti passi per costruire la rete di infrastrutture ferroviarie e marittime della Via e Cintura in Eurasia. Il Giappone subì la più devastante distruzione dal dopoguerra del modello economico del MITI, dopo gli accordi del Plaza del settembre 1985, quando il segretario del Tesoro di Washington James Baker III fece pressione sul Giappone per apprezzare lo yen e adottare altre misure che gonfiarono i mercati azionari e immobiliari mondiali. 

La bolla scoppiò nel 1990 e il Giappone è alle prese con la deflazione cronica e deve ancora riprendersi. Il mondo non ha bisogno di una nuova versione “con caratteristiche cinesi” del modello di Wall Street. Il mondo ha bisogno di solidi investimenti nelle necessarie infrastrutture sulle ampie distese di Eurasia, Medio Oriente e Africa. Sembra che la leadership cinese abbia appreso una lezione dolorosa. Fortunatamente, il programma Via e Cintura di Xi Jinping è già stato designato priorità strategica nazionale.


F. William Engdahl New Eastern Outlook 14/12/2015

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F. William Engdahl è consulente di rischio strategico e docente, laureato in Scienze Politiche all’Università di Princeton è autore di best-seller su petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2015/12/15/la-cina-abbandona-con-cura-il-dollaro/ 

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