“Un albero è un meraviglioso organismo vivente, che dona riparo, nutrimento, calore e protezione ad ogni forma di vita. Offre la propria ombra persino a coloro che reggono nelle proprie mani un’ascia per abbatterlo”. – Buddha
Nella letteratura storico-religiosa,
spirituale ed esoterica, l’universalità culturale della simbologia
legata all’albero e l’intrinseca sacralità attribuitagli, non
necessitano di dimostrazione alcuna perché risultano evidenti di per sé.
Le interpretazioni, invece, differiscono lievemente in relazione alle
credenze religiose e ai dogmi che ogni singola cultura ha adottato.
Dall’immagine biblica dell’Albero della Vita o della Conoscenza del bene e del male, alla Cabala ebraica con i suoi tre pilastri verticali paralleli costituenti la sintesi dell’insegnamento religioso.
Tre pilastri corrispondenti alle tre vie che l’uomo può intraprendere: l’Amore (a destra), la Forza (a sinistra) e la Compassione (al centro). Solo la via mediana è l’unificazione degli opposti, detta anche “via regale”, la cum-patior indica infatti la capacità di partecipare al dolore degli altri con amore e la forza del distacco.
I
testi Veda, ad esempio, le più antiche scritture sacre dell’induismo e
forse di tutta l’umanità, indicano una concezione dell’universo diviso
in tre parti: il cielo, la terra e l’aria, sorrette dal Skambha, l’Albero Cosmico, indifferenziato pilastro o fulcro o supporto cosmico, precedente e superiore all’essere stesso:
“quello sul quale il Signore della vita vi si appoggiò per sostenersi quando mise in moto il mondo” (Atharva Veda – Conoscenze del Sacerdote del fuoco, XV-XII sec. a.C.)
ed ancora:
“E’ lo Skhambha che mantiene immobili il fuoco, la luna, il sole ed il vento, e sostiene allo stesso tempo il cielo la terra e l’atmosfera immensa, così come le sei vaste direzioni dell’universo.”- Atharva Veda
Mentre in epoche più recenti, nelle
tradizioni nordiche, romane e greche, la terra, da cui si erige il
tronco, rappresentava il mondo dei mortali, al sottosuolo veniva
associato il mondo degli inferi (radici) mentre il cielo era considerato
la dimora degli dèi (chioma). Dunque un altro assioma è che l’albero ha
sempre rappresentato il mezzo di interconnessione tra terra e cielo,
tra uomo, figlio della terra e dèi, signori del cielo.
La centralità della natura si manifesta attraverso due fondamenti della dottrina etica celtista, ovvero l’insegnamento degli alberi e l’insegnamento degli animali.
Questi due precetti sono le vie di ricerca che il celtista può seguire e
attraverso le quali può comprendere l’essenza della spiritualità. La via degli alberi
passa attraverso l’amore per la natura e la preservazione di questa.
L’insegnamento degli alberi è il dettame sul quale si fonda l’attivismo
ambientalistico di molte comunità celtiste, e legato ad esso è il
sistema filosofico dell’ogam,
il quale consiste in una serie di tecniche attraverso cui interpretare
metafisicamente la natura e gli eventi che la caratterizzano.
Uno dei simboli più potenti dei nativi americani è l’Albero Sacro. La simbologia dell’albero sacro permette di comprendere i valori su cui si basa la Medicina dei nativi americani:
le radici affondano nella Madre Terra, attingendo alla fonte del
nutrimento, i rami e le foglie si ergono verso Padre Cielo, ricevendo la
luce e l’energia della vita, la corteccia dell’albero rappresenta la
protezione e la sicurezza, i frutti dell’albero rappresentano i doni che
il Creatore ha dato agli uomini, come l’Amore, la Compassione, la
Generosità, la Pazienza, la Saggezza, la Giustizia, il Coraggio, il
Rispetto, l’Umiltà. Secondo gli insegnamenti dei nativi americani la
vita dell’Albero Sacro rappresenta la vita delle persone.
Filosofi, maestri spirituali, sciamani,
nell’insegnamento delle antiche conoscenze ed in risposta alle grandi
domande degli uomini sui misteri della vita, hanno spesso utilizzato
questa simbologia.
“Se stabilisci un rapporto con l’albero, lo stabilisci anche con l’umanità. In quel momento sei responsabile di quell’albero e di tutti gli alberi del mondo. Non osserviamo mai profondamente la qualità dell’albero, non lo tocchiamo mai veramente, non percepiamo la sua solidità, la ruvida corteccia, e non ascoltiamo il suono che è parte dell’albero. Non il suono del vento tra le foglie, ma il suo suono, il suono del tronco e il suono silenzioso delle radici. Devi essere straordinariamente sensibile per sentirne il suono. Non è il rumore del mondo, ne il rumore del chiacchiericcio della mente, ma il suono dell’Universo.” – Jiddu Krishnamurti – (Tratto dal documentario: “Noi siamo il Mondo“)
Carl Gustav Jung, nel suo libro in parte autobiografico ed autoanalitico “Ricordi, sogni, riflessioni” (Erinnerungen, Träume, Gedanken) così enuncia:
Una delle più belle immagini dell’Albero della Conoscenza è probabilmente l’Albero della Bodhi, a Bodhgaya in India, un Peepal (Ficus religiosa),
sotto cui Siddharta ottenne l’illuminazione divenendo il Buddha, il
“risvegliato”, uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti per i
devoti di fede buddhista.
La tradizione buddhista vuole che
quest’albero sia nato nello stesso momento in cui venne alla luce il
principe Siddharta Gautama.
Per sette giorni e sette notti Siddharta
resta seduto immobile nella posizione del loto, ed una volta raggiunto
il suo scopo rimane seduto ancora per lungo tempo pieno di amore e di
gratitudine per quell’albero.
L’albero non è un accessorio casuale nel
processo che porterà il Buddha a trovare la soluzione al problema della
sofferenza dell’uomo, bensì lo strumento essenziale per la conquista
della Conoscenza, il solo ed unico luogo dove poteva avvenire la sua
acquisizione.
Si dice che fu lo stesso Buddha ad indicare ai devoti l’albero come entità alla quale rivolgersi, dopo che lui avesse lasciato la vita terrena, come rappresentante a tutti gli effetti della propria persona.
Mi inchino e saluto il Re degli Alberi,
che fu venerato per sette giorni dal Maestro,
attraverso il fiume di lacrime
che sgorgavano dai suoi occhi di colore blu intenso.
Mi inchino e saluto il Re degli Alberi, ai cui piedi seduto
il Grande Veggente sconfisse Mara ed i suoi eserciti,
e conobbe le Quattro Verità e la Via.
Saluto questo Albero dell’Illuminazione, sotto cui
il Maestro distrusse tutti i malvagi nemici
e divenne il Perfetto Illuminato.
Anche io venero questo Albero,
che fu venerato dal Signore del Mondo.
Sia lode a Te , o Re degli Alberi.
che fu venerato per sette giorni dal Maestro,
attraverso il fiume di lacrime
che sgorgavano dai suoi occhi di colore blu intenso.
Mi inchino e saluto il Re degli Alberi, ai cui piedi seduto
il Grande Veggente sconfisse Mara ed i suoi eserciti,
e conobbe le Quattro Verità e la Via.
Saluto questo Albero dell’Illuminazione, sotto cui
il Maestro distrusse tutti i malvagi nemici
e divenne il Perfetto Illuminato.
Anche io venero questo Albero,
che fu venerato dal Signore del Mondo.
Sia lode a Te , o Re degli Alberi.
Mahabodhivandana
L’albero in questione è ancora vivo, o
meglio è ancora vivo un discendente, probabilmente il quinto od il
sesto, riprodotto per talea da quello precedente.
Albero secolare di Peepal (Ficus religiosa) – Bodh Gaya, Bihar.
Sempre a Bodh Gaya, a cinquanta metri
dall’Albero dell’Illuminazione, nel cuore sacro del Buddismo, un altro
albero considerato sacro da un differente culto religioso. Nonostante
ciò, alla base di questo Peepal si ergono tranquillamente le statuine di
alcune divinità Hindu (Ganesh, Shiva e Parvati, Shiva) a testimonianza
della tolleranza religiosa delle diverse culture indiane.
L’Albero della Vita o Albero Cosmico,
Albero della Conoscenza del bene e del male, Albero dell’Illuminazione
od anche Albero della Morte, in ogni caso, innegabile è la sua bellezza
ed il fascino che avvolge ogni cuore, come un richiamo sottile alla
nostra stessa natura ed alla vita. L’albero, che sembra morire d’inverno
per poi tornare a nuova vita in primavera, rappresenta oltre che
filosoficamente ed esotericamente, l’infinito ciclo di morte e rinascita
insito nell’ordine naturale delle cose.
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