giovedì 31 dicembre 2015

La guerra dei semi

 
Il libero scambio di semi tra coltivatori è fondamentale da sempre per la conservazione della biodiversità. L’entrata massiccia delle multinazionali nell’agricoltura ha compromesso questo equilibrio.

Nel 1913 sul Brasile si abbatté una gravissima crisi economica: l'immissione sul mercato di gomma prodotta nello Sri lanka e in Malesia aveva provocato il crollo del prezzo del caucciù, di cui il paese aveva detenuto fino a quel momento il monopolio.

Come ricorda eduardo Galeano nel suo libro “le vene aperte dell'america latina”, verso il 1873 un certo Henry Wickham, un inglese padrone di piantagioni di caucciù in Brasile, era riuscito a far arrivare di contrabbando un certo numero di semi dell'albero della gomma al direttore del giardino botanico di Kew a londra, vicino agli archivi dei servizi segreti britannici (dove ancora oggi dobbiamo recarci se vogliamo scoprire fatti inediti della nostra storia). Quarant'anni dopo gli inglesi invadevano il mercato mondiale con il caucciù della loro colonia malese, dopo aver organizzato le nuove piantagioni con i germogli sviluppati a Kew.

Una guerra economica, con lo spostamento della ricchezza verso nuovi padroni e carestie e morti in un'altra zona, era stata combattuta senza sparare un solo colpo di cannone, ma trafugando dei semi.

Continua la guerra per rendere privata la ricchezza del mondo e si combatte con i brevetti, che impediscono l'utilizzo gratuito di saperi e colture tradizionali, che appartengono al genere umano. Dopo l'attenzione ricevuta negli anni passati dalle denunce di Vandana Shiva, il processo di privatizzazione della natura avanza rapidamente anche in Europa: alla fine del 2011 sono stati concessi dall'epO (Ufficio europeo dei brevetti) circa 2.000 brevetti su piante e 1.200 su animali, con o senza coinvolgimento di ingegneria genetica, aggirando la legislazione e con un vero golpe nei confronti della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo.

Esiste ormai un oligopolio dei semi, che impone agli agricoltori il proprio “pacchetto completo” fatto di fertilizzanti, pesticidi e sementi, per cui tre imprese controllano il 53% del mercato mondiale: Monsanto (Usa), con il 26%, Dupont pioneer (Usa) con il 18,2% e Syngenta (Svizzera) con il 9,2%. Le tre hanno un fatturato di 18 miliardi di dollari l’anno. Tra il quarto e il decimo posto compaiono Vilmorin (del gruppo francese limagrain), Winfield, le tedesche KWS e Bayer, Dow agroSciences (Usa) e le giapponesi Sakata e Takii.


Paola Baiocchi

Nessun commento:

Posta un commento