venerdì 11 dicembre 2015

La mia strada e la tua


"Era un uomo dottissimo, parlava molte lingue ed era dedito al sapere, come un altro lo è all’alcool. Citava di continuo i detti di altri a sostegno delle sue proprie espressioni. Si dilettava di scienza e di arte, e quando esprimeva la sua opinione lo faceva con un crollar del capo e un sorriso che sottintendevano sottilmente come non si trattasse semplicemente della sua opinione, ma della verità definitiva. Diceva di avere le sue esperienze, che per lui erano autorevoli e conclusive.

«Anche voi avete le vostre esperienze, ma non potete convincermi - diceva - Voi andate per la vostra strada ed io per la mia. Ci sono molte vie per la verità, e noi tutti ci troveremo in essa un giorno o l’altro.» Era cordiale in un suo modo distante, ma fermo. Per lui, i maestri, anche se non veri, visibili guru, erano una realtà, ed era essenziale diventare loro discepoli. Insieme con altri conferiva lo stato di discepolo a coloro che erano disposti ad accettare questa strada e l’autorità dei maestri.

Ma tanto lui quanto il suo gruppo non appartenevano a coloro che, grazie allo spiritualismo, trovano le loro guide tra i morti. Per trovare i maestri uno doveva servire, operare, sacrificare, obbedire e mettere in pratica certe virtù: e naturalmente la fede era necessaria. Contare sull’esperienza come su un mezzo per giungere alla scoperta di ciò che è, significa cadere nell’illusione. Il desiderio, la brama condizionano l’esperienza; e affidarsi all’esperienza come mezzo per giungere alla comprensione della verità è seguire la via dell’auto-ingrandimento.

L’esperienza non può mai portare la libertà dal dolore; l’esperienza non è una risposta adeguata alla sfida lanciata dalla vita. Alla sfida si deve rispondere di nuovo, di volta in volta, perché la sfida è sempre nuova. Per rispondere adeguatamente alla sfida, il ricordo condizionato dell’esperienza deve essere messo da parte, le risposte del piacere e del dolore vanno comprese profondamente.

L’esperienza è un ostacolo alla verità, perché l’esperienza è del tempo, è il prodotto del passato; e come può una mente, che è il risultato dell’esperienza, del tempo, comprendere ciò che è senza tempo? La verità dell’esperienza non dipende da idiosincrasie e capricci personali; la verità dell’esperienza viene attinta soltanto quando ci sia coscienza senza condanna, giustificazione o forma alcuna d’identificazione.

L’esperienza non è un modo di avvicinarsi alla verità; non c’è «tua» o «mia» esperienza, ma soltanto la comprensione intelligente del problema. Senza conoscenza di sé, l’esperienza genera illusione; con la conoscenza di sé, l’esperienza, che è la risposta alla sfida, non lascia il residuo cumulativo detto memoria. La conoscenza di sé è la scoperta momento per momento dei modi dell’io, delle sue intenzioni e delle sue mire, dei suoi pensieri e appetiti.

Non ci può mai essere la "tua" esperienza e la "mia" esperienza; il termine stesso, "mia esperienza" indica ignoranza e l’accettazione dell’illusione. Ma molti di noi amano vivere nell’illusione, perché c’è in essa grande soddisfazione; è un paradiso privato che ci stimola e ci dà un sentimento di superiorità. Se ho capacità, scaltrezza, o doni di natura, divengo un capo, un intermediario, un esponente di quell’illusione; e poiché la maggioranza ama evitare ciò che e, ecco crearsi un’organizzazione con proprietà e riti, con voti e riunioni segrete.

L’illusione si veste di tradizione, mantenendo questa nel campo della rispettabilità; e come i più di noi cercano il potere sotto una forma o un’altra, si stabilisce il principio gerarchico, nascono il novizio e l’iniziato, il discepolo e il maestro, ed anche tra i maestri ci sono gradi di evoluzione spirituale. In massima parte, noi amiamo sfruttare ed essere sfruttati, e questo sistema ne offre i mezzi, sia celati, sia scoperti.

Sfruttare è essere sfruttati. Il desiderio di utilizzare gli altri per le nostre necessità psicologiche determina una certa dipendenza, e quando si dipende si deve avere, possedere; e ciò che voi possedete, possiede voi. Senza dipendenza, sottile o grossolana, senza possedere cose, persone, idee, siete vuoti, cose di nessuna importanza. Voi volete essere qualche cosa, e per evitare la paura rimordente di non essere nulla appartenete a questa o a quella organizzazione, a questa o quella ideologia, a questa chiesa o a quel tempio; così che siete sfruttato, e voi a vostra volta sfruttate.

La struttura gerarchica offre un’occasione eccellente di espansione del proprio io. Potete volere la fratellanza, ma come può esservi fratellanza se perseguite la distruzione spirituale? Potete sorridere dei titoli mondani; ma quando ammettete il maestro, il salvatore, il guru nel regno dello spirito, non assumete forse un atteggiamento tipicamente mondano? Possono esservi gradi o divisioni gerarchiche nell’evoluzione spirituale, nella comprensione della verità, nella realizzazione di Dio?

L’amore non ammette divisioni. O amate, o non amate; ma non fate della mancanza di amore un processo lungamente protratto il cui fine sia l’amore. Quando sapete di non amare, quando siete consapevoli senza scelta di questo fatto, allora c’è una possibilità di trasformazione. Ma coltivare diligentemente questa distinzione tra il maestro e il discepolo, tra coloro che sono giunti e coloro che non, tra il salvatore e il peccatore, è negare l’amore. Lo sfruttatore, che è a sua volta sfruttato, trova un eccellente terreno di caccia in questa tenebra, in questa illusione.

La separazione tra Dio o la realtà, e voi stessi è determinata da voi, dalla mente che si afferra al cognito, alla certezza, alla sicurezza. Questa separazione non può essere varcata da un ponte; non c’è rito, non c’è disciplina, non c’è sacrificio che possano portarvi al di là; non ci sono salvatore, maestro, guru, che possano guidarvi al reale o annullare questa separazione. La divisione non sta tra il reale e voi stessi; è in voi, è il conflitto di desideri opposti.

Il desiderio crea il suo proprio opposto; e la trasformazione non sta nel concentrarsi in un solo desiderio quanto nel liberarsi dal conflitto portato dal desiderio. Il desiderio, a qualunque livello dell’essere, genera un conflitto ulteriore, e a questo cerchiamo di sfuggire in ogni modo possibile, la qual cosa non fa che accrescere il conflitto tanto all’interno quanto all’esterno. Questo conflitto non può essere superato da un altro, per grande che sia costui, né da nessuna magia o rito. Questi possono farvi dolcemente addormentare, ma al risveglio il problema sarà ancora là.

La stragrande maggioranza di noi, tuttavia, non vuole svegliarsi, e così noi viviamo nell’illusione. Con la soluzione del conflitto, c’è tranquillità e solo allora la realtà può venire in essere. Maestri, salvatori e guru non hanno importanza, ma ciò che è essenziale è comprendere il crescente conflitto del desiderio; e questa comprensione viene soltanto attraverso la conoscenza dell’io e la continua consapevolezza dei moti dell’io.

La consapevolezza dell’io è ardua, e poiché noi in maggioranza preferiamo una via comoda, illusoria, portiamo in essere l’autorità, che forma e modella la nostra vita. Questa autorità può essere il collettivo, lo Stato; o può essere il personale, il maestro, il salvatore, il guru. L’autorità di ogni genere è accecante, genera assenza di pensiero; e poiché in maggioranza troviamo che pensare significa soffrire, ci diamo all’autorità.

L’autorità genera potere, e il potere diviene sempre centralizzato e pertanto fonte di massima corruzione; esso corrompe non soltanto chi detiene il potere, ma anche chi obbedisce. L’autorità nel campo del sapere e dell’esperienza perverte, tanto se investita nel maestro, nel suo rappresentante o nel prete. È la vostra vita, questo conflitto apparentemente senza fine, che conta, e non il modello stabilito o il capo.

L’autorità del maestro e del prete vi distoglie dal problema centrale, che è il conflitto nel vostro intimo. La sofferenza non può mai essere compresa e dissolta mediante la ricerca di un modo di vita. Una siffatta ricerca è un mero evitare la sofferenza, è l’imposizione di un modello, che è evasione; e ciò che viene evitato non fa che andare in suppurazione, portando più calamità e dolore. La comprensione di voi stesso, per penosa o momentaneamente piacevole che sia, è il principio della saggezza.

Non c’è sentiero per la saggezza. Se c’è un sentiero, allora la saggezza è la cosa formulata, la cosa già immaginata, cognita. Può la saggezza essere conosciuta o coltivata? È forse cosa da accumularsi, da impararsi? Se lo è, allora diviene semplice sapere, una cosa dell'esperienza, libresca. Esperienza e sapere sono la catena continua delle creazioni, onde non può mai comprendere in sé il nuovo, il vergine, il non-creato. L’esperienza e il sapere, essendo continui, aprono un sentiero alla loro propria proiezione, per cui sono continuamente costrittivi.

La saggezza è la comprensione di ciò che è di momento in momento, senza l’accumulo di esperienza e sapere. Ciò che si è accumulato non dà libertà di comprendere, e senza libertà non c’è scoperta; ed è questa scoperta interminabile che porta alla saggezza. La saggezza è sempre nuova, sempre vergine, e non ce mezzo di farne raccolta. I mezzi distruggono la verginità, la novità, la spontanea scoperta. I molti sentieri verso una sola realtà sono invenzione di una mente intollerante; sono il prodotto di una mente che coltiva la tolleranza.

«Io seguo la mia strada e tu segui la tua, ma cerchiamo di essere amici, e alla fine ci incontreremo.» Come potremo incontrarci, se voi andate a nord e io a sud? Come possiamo essere amici se voi avete tutto un gruppo di credenze ed io un altro? Se io sono un assassino multiplo e voi pieni di pace? Essere amici implica rapporti di lavoro, di pensiero; ma c’è il minimo rapporto tra l’uomo che odia e l’uomo che ama? C’è rapporto tra l’uomo che vive nell’illusione e colui che è libero?

L’uomo libero può tentare di stabilire un rapporto di qualche genere con quello che è in schiavitù; ma colui che vive nell’illusione non può avere rapporti con l’uomo che è libero. I separati, aggrappati al loro stato di separazione, cercano di stabilire rapporti con altri che sono essi pure chiusi in se stessi; ma tentativi siffatti invariabilmente generano conflitto e dolore. Per evitare questo dolore, gli scaltri inventano la tolleranza, ognuno guardando alla barriera che lo imprigiona e tentando di essere gentile e generoso.

La tolleranza è della mente, non del cuore. Parlate forse di tolleranza quando amate? Ma quando il cuore è vuoto, allora la mente lo colma con le sue paure e i suoi scaltri stratagemmi. Non c’è comunione dove sia tolleranza. Non c’è sentiero verso la verità. La verità deve essere scoperta, ma non c’è formula per questa scoperta. Ciò che viene formulato non è vero.

Dovete accingervi a navigare un mare non segnato sulle carte, e questo mare incognito siete voi stessi. Dovete salpare alla scoperta di voi stessi,ma non secondo piano o programma alcuno, perché allora non c’è scoperta. La scoperta dà gioia, non la gioia ricordata, comparativa, ma la gioia che è sempre nuova. La conoscenza di sé è il principio della saggezza, nel silenzio e nella tranquillità della quale è l’incommensurabile." (Jiddu Krishnamurti)


fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2015/11/la-mia-strada-e-la-tua.html

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