mercoledì 24 febbraio 2016

Smettere di pensare

 

Per capire a che cosa si riferisce tutto ciò di cui parlo, in verità, un solo prerequisito è assolutamente necessario, ossia smettere di pensare. Ora non dico questo con spirito antintellettuale, perché io stesso penso molto, parlo molto, e sono una specie di mezzo erudito. Ma proprio come parlando sempre non udrete mai ciò che gli altri hanno da dirvi e perciò finirete per parlare solo del vostro argomento, lo stesso vale per quelli che pensano per tutto il tempo. Quando adopero la parola «pensare», intendo il dialogo interno, il chiacchiericcio mentale, la continua rincorsa d’immagini, simboli, discorsi e parole dentro il cranio. Ora, se ciò va avanti in continuazione, capite anche voi che non si può pensare ad altro che a questi pensieri.

Perciò, come dovete smettere di parlare per ascoltare quel che ho da dirvi, cosí dovrete smettere di pensare per scoprire che cos’è tutta questa faccenda della vita. E, nel momento in cui smetterete di pensare, entrerete in immediato contatto con ciò che Korzybski chiamò, in modo suggestivo, «il mondo impronunciabile», ossia il mondo non-verbale (qui c’è un gioco di parole tra word, parola e world, mondo, ndt). Alcuni lo chiameranno mondo fisico, ma tutte queste parole, «fisico», «non-verbale» ecc. sono tutte concettuali e «ciò» non è un concetto, è (batte col bastone).

Perciò, quando vi risveglierete a quel mondo, vi renderete improvvisamente conto che tutte le cosiddette differenze fra io e l’altro, la vita e la morte, il piacere e il dolore, sono tutte concettuali, e non esistono affatto. Non esistono in quel mondo che è (batte ancora il bastone). In altre parole, anche se colpiti abbastanza forte, la botta non farà male, se sarete in uno stato di non-pensiero. Ci sarà una certa esperienza, mi capite?, ma non la chiamerete «male».

Quand’eravate piccoli e venivate picchiati e piangevate, i grandi vi dicevano «non piangere» perché non volevano farvi male e farvi piangere nello stesso tempo. In certi casi la gente si comporta in modo davvero strano. Ma, voi lo sapete bene, in realtà volevano farvi davvero piangere. Lo stesso quando vi capitava di vomitare. Vomitare va bene se avete mangiato qualche schifezza, ma vostra madre diceva «Gesummaria!» e cosí voi vi reprimevate, imparando che vomitare non è una bella cosa. E, ancora, quando avete visto morire qualcuno e tutti intorno a voi hanno cominciato a piangere e a lamentarsi, voi avete imparato che morire è una cosa tremenda. E quando qualcuno s’ammalava, tutti diventavano ansiosi, cosí voi avete imparato che ammalarsi è una cosa terribile. L’avete imparato da un concetto.

Prima dell’inizio di questa conferenza, abbiamo praticato lo Za-zen, lo Zen seduto. Incidentalmente, vi dirò che ci sono altre tre specie di Zen, oltre lo Za-zen: lo Zen in piedi, lo Zen camminato e lo Zen sdraiato. Nel buddismo si parla di quattro dignità dell’uomo: in cammino, in piedi, seduto e sdraiato. E si dice:
«Quando siedi, siedi; e basta. Quando cammini, cammina; e basta. Ma, qualunque cosa tu faccia, non tentennare»
In effetti, però, potete tentennare, se sapete tentennare bene…

Quando chiesero al vecchio maestro Hiakajo che cosa fosse lo Zen rispose:
«Quando ho fame mangio, quando sono stanco dormo». Obiettarono:«Ma non è questo quel che fan tutti?».«Oh, no!» rispose«Niente affatto. Quando hanno fame non mangiano e basta, bensí pensano a un mucchio di cose. Quando sono stanchi non dormono e basta, ma sognano un mucchio di cose».
 
Alan Watts

Alan Watts
Alan Watts

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