Per capire a che cosa si
riferisce tutto ciò di cui parlo, in verità, un solo
prerequisito è assolutamente necessario, ossia smettere di pensare. Ora
non dico questo con spirito antintellettuale, perché io stesso penso
molto, parlo molto, e sono una specie di mezzo erudito. Ma proprio come
parlando sempre non udrete mai ciò che gli altri hanno da dirvi e perciò
finirete per parlare solo del vostro argomento, lo stesso vale per
quelli che pensano per tutto il tempo. Quando adopero la parola
«pensare», intendo il dialogo interno, il chiacchiericcio mentale, la
continua rincorsa d’immagini, simboli, discorsi e parole dentro il
cranio. Ora, se ciò va avanti in continuazione, capite anche voi che non
si può pensare ad altro che a questi pensieri.
Perciò, come dovete smettere di
parlare per ascoltare quel che ho da dirvi, cosí dovrete smettere di
pensare per scoprire che cos’è tutta questa faccenda della vita. E, nel
momento in cui smetterete di pensare, entrerete in immediato contatto
con ciò che Korzybski chiamò, in modo suggestivo, «il mondo
impronunciabile», ossia il mondo non-verbale (qui c’è un gioco di parole tra word, parola e world, mondo,
ndt). Alcuni lo chiameranno mondo fisico, ma tutte queste parole,
«fisico», «non-verbale» ecc. sono tutte concettuali e «ciò» non è un
concetto, è (batte col bastone).
Perciò, quando vi
risveglierete a quel mondo, vi renderete improvvisamente conto che tutte
le cosiddette differenze fra io e l’altro, la vita e la morte, il
piacere e il dolore, sono tutte concettuali, e non esistono affatto. Non
esistono in quel mondo che è (batte ancora il bastone). In
altre parole, anche se colpiti abbastanza forte, la botta non farà
male, se sarete in uno stato di non-pensiero. Ci sarà una certa
esperienza, mi capite?, ma non la chiamerete «male».
Quand’eravate piccoli e venivate
picchiati e piangevate, i grandi vi dicevano «non piangere» perché non
volevano farvi male e farvi piangere nello stesso tempo. In certi casi
la gente si comporta in modo davvero strano. Ma, voi lo sapete bene, in
realtà volevano farvi davvero piangere. Lo stesso quando vi capitava di
vomitare. Vomitare va bene se avete mangiato qualche schifezza, ma
vostra madre diceva «Gesummaria!» e cosí voi vi reprimevate, imparando
che vomitare non è una bella cosa. E, ancora, quando avete visto morire
qualcuno e tutti intorno a voi hanno cominciato a piangere e a
lamentarsi, voi avete imparato che morire è una cosa tremenda. E quando
qualcuno s’ammalava, tutti diventavano ansiosi, cosí voi avete imparato
che ammalarsi è una cosa terribile. L’avete imparato da un concetto.
Prima dell’inizio di questa
conferenza, abbiamo praticato lo Za-zen, lo Zen seduto. Incidentalmente,
vi dirò che ci sono altre tre specie di Zen, oltre lo Za-zen: lo Zen in
piedi, lo Zen camminato e lo Zen sdraiato. Nel buddismo si parla di
quattro dignità dell’uomo: in cammino, in piedi, seduto e sdraiato. E si
dice:
«Quando siedi, siedi; e basta. Quando cammini, cammina; e basta. Ma, qualunque cosa tu faccia, non tentennare».
In effetti, però, potete tentennare, se sapete tentennare bene…
Quando chiesero al vecchio maestro Hiakajo che cosa fosse lo Zen rispose:
«Quando ho fame mangio, quando sono stanco dormo». Obiettarono:«Ma non è questo quel che fan tutti?».«Oh, no!» rispose«Niente affatto. Quando hanno fame non mangiano e basta, bensí pensano a un mucchio di cose. Quando sono stanchi non dormono e basta, ma sognano un mucchio di cose».
Alan Watts
Alan Watts
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