giovedì 18 febbraio 2016

Storia curiosa: che ci fanno il dio egizio Anubi e scritte celtiche in un’antica grotta dell’America del Nord?


Forse una delle più grandi anomalie storiche del Nuovo Mondo è rappresentata dalla Grotta di Anubi, in Oklahoma, America del Nord. All'interno di essa, infatti, sono state ritrovate alcune raffigurazioni che sarebbero la prova della presenza misteriosa di un antico culto egizio nell'America precolombiana.

Situata in Oklahoma, nei pressi di Tulsa, la Grotta di Anubi si compone di cinque grotte apparentemente insignificanti, ma che a causa del loro contenuto sono diventate oggetto di sconcerto da parte dei ricercatori.

Le cavità, infatti, contengono delle insolite sculture che raffigurano il dio egizio Anubi, nel suo tipico aspetto di sciacallo e un’enigmatica scultura di un grande toro.

Ad alimentare il mistero, a poca distanza dalla grotta, nel 2010 è stata trovata rinvenuta una roccia arenaria lungo il fiume Arkansas, la quale raffigura una grande scultura di un toro, sullo stile delle immagini geroglifiche del bue Api, considerato divino dagli antichi egizi, molto simile a quello raffigurato nella Grotta di Anubi.

Come è possibile che icone dell’antica cultura egizia siano potute arrivare in Nord America in epoca precolombiana? In realtà, l’iconografia presenta all’interno della grotta è ancora più complessa, in quanto all’interno di essa sono stati trovati esempi di ‘Ogham‘, un’antica lingua celtica usata in Irlanda e Scozia intorno al 350 d.C.

La storia della scoperta

La scoperta della Grotta di Anubi risale al 1968, quando un giornale locale dell’Oklahoma riportò la notizia di una misteriosa grotta ricoperta di figure e segni. Dieci anni dopo, un gruppo di ricerca guidato da Gloria Farley, si recò sul posto trovando quelle che si rivelarono essere cinque grotte.

La prima grotta aveva tre pareti completamente ricoperte di scritte e petroglifi. La figura più rilevante era l’immagine canina con le orecchie a punta, con una corona sul capo e con una specie di frusta sulla schiena, molto simile al flagello regale dell’antico Egitto. Inoltre, fu rilevata la presenza di scritte in caratteri Ogham e scritte in numidico.

La Farley identificò la figura dello sciacallo con il flagello sulla schiena con Anubi, termine greco che indica il dio egizio Anpu. Frequentatore di necropoli e di caverne, egli era ritenuto abitatore del mondo sotterraneo, e quindi dio dei morti ai quali assicurava vitto e buona sepoltura.; in sciacalli amano mutarsi i trapassati.

Come spiega Edicolaweb, Anubi è generalmente raffigurato come uno sciacallo nero dalla folta coda, o come un uomo dalla pelle nera con la testa di sciacallo. Lo sciacallo è solitamente in posizione sdraiata, accosciato con la testa levata.

La raffigurazione di Anubi nella grotta dell’Oklahoma è molto simile ad un’immagine dipinta su un papiro del Nuovo Regno, databile al periodo 1580-1090 a.C., ed oggi conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi.

Esso appare in un quadro che raffigura il corso del sole e cammina al di sotto del trono cubico di Râ-Harakte. Tale forma di Dio solare raffigura un uomo dalla testa di falco, sovrastata dal disco solare e dall’ureo, il serpente sacro. Talvolta, infatti, si assimila Anubi al dio sole.

Adoratori di Mitra

Phil Leonard, esperto della Grotta di Anubi, in un’intervista rilasciata ad History Channel ha spiegato che le incisioni trovate nella grotta potrebbero essere state eseguite da antichi adoratori di Mitra e che la grotta sia stata progettata come un indicatore per gli equinozi.

Le Grotte di Anubi rappresentano le testimonianze meglio conservate dell’antico culto di Mitra, che ha attraversato tempo e distanze, dall’Impero Persiano fino a quello Romano. Il dio Sole Mitra era venerato in India prima del 2000 a.C..

Successivamente, il culto si diffuse in Persia e in Asia Minore, fino a diventare un dio ellenistico e romano, che fu adorato nelle religioni misteriche dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Non è chiaro quanto vi sia in comune fra questi tre culti.

Le origini del culto mitraico nell’Impero Romano non sono del tutto chiare e sarebbero state influenzate significativamente dalla scoperta della precessione degli equinozi da parte di Ipparco di Nicea. Mitra sarebbe la potenza celeste capace di causare il fenomeno.

In ogni tempio romano dedicato a Mitra il posto d’onore era dedicato alla rappresentazione di Mitra nell’atto di sgozzare un toro sacro. Mitra è rappresentato come un giovane energico, indossante un cappello frigio, una corta tunica che s’allarga sull’orlo, brache e mantello che gli sventola alle spalle.

Mitra afferra il toro con forza, portandogli la testa all’indietro mentre lo colpisce al collo con la sua corta spada.

Un serpente ed un cane sembrano bere dalla ferita del toro, dalla quale a volte sono rappresentate delle gocce di sangue che stillano; uno scorpione, invece, cerca di ferire i testicoli del toro.

Questi animali sono proprio quelli che danno nome alle costellazioni che si trovavano sull’equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro, quando durante l’equinozio di primavera il sole era nella costellazione del toro, periodo denominato Era del Toro.

Quando il mitraismo finalmente si diffuse tra i popoli celtici dell’Europa Occidentale e in Gran Bretagna, l’enfasi posta sulla raffigurazione di Mitra che uccide il toro fu molto grande. È interessante notare che la scultura del toro sulle rive del fiume Arkansas sembra riprodurre anche il sanguinamento, il ché da ulteriore credito alla teoria di Mitra.

Certamente rimangono molte domande senza risposta. Ammesso che i popoli celtici si siano spinti fino in Nord America, perchè costoro hanno ritenuto necessario raffigurare il dio Anubi assieme al dio Mitra? Sembra la raffigurazione di una sorta di passaggio di consegne tra divinità.

Inoltre, come esattamente l’antico popolo celtico ha raggiunto l’Oklahoma?

Certamente, questa scoperta rafforza l’idea che i vichinghi, abili navigatori, abbiano raggiunto l’America del Nord secoli prima di Colombo.


fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2016/02/16/storia-curiosa-che-ci-fanno-il-dio-egizio-anubi-e-scritte-celtiche-in-unantica-grotta-dellamerica-del-nord/

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LE GROTTE DI ANUBIS NELL'OKLAHOMA
 
La più grande scoperta di Gloria Farley


Gloria Stewart Farley nacque nel 1917 a Heavener, una cittadina dell’Oklahoma, presso il confine con l’Arkansas. Suo padre, Matthew Stewart, s’era trasferito in questa cittadina come farmacista nel 1902, quando l’Oklahoma era ancora un Territorio Indiano. Dalla casa natale, Gloria poteva ammirare, verso est, la Montagna Poteau. All’età di 12 anni fu portata su quella montagna a vedere una strana pietra, liscia, posta in piedi in un dirupo, sotto la protezione d’una parete a forma di U. Su quella tavola di pietra era incisa una riga di otto strani caratteri. Quel giorno cominciava per Gloria una lunga ricerca delle controverse tracce di rapporti tra le culture del Vecchio Mondo e l’America, avvenuti secoli prima dell’avventura di Colombo e persino avanti Cristo.

Nel 1937, a 20 anni, Gloria si sposò con J. Ray Farley e andò a vivere per 13 anni nel Missouri e nell’Ohio. Nel 1948, memore di quegli strani caratteri visti da bambina, ne inviò una copia allo Smithsonian Institute, e ricevette la risposta che essi erano stati identificati nel 1923 come rune norvegesi (cosa che anche lei aveva intuito).


Nel 1951, Gloria e Ray decisero di ritornare alla città d’origine per far crescere là i loro figli, Scott e Mark. Costruirono una nuova casa vicino alla casa natale di Gloria. In quell’anno ritornarono a vedere la “Roccia indiana” e lei la ribattezzò “La pietra delle rune di Heavener”. Era così ben protetta dagli elementi che le estremità appuntite delle rune non si erano neppure smussate. Lei scrisse la data “7 febbraio 1951” con una matita, su una zona liscia della pietra, e dopo sette anni la scritta era ancora visibile. Cominciò a cercare il significato di quei caratteri, chi li avesse fatti e quando, e intervistò parecchi vecchi residenti della zona, che le dissero che sulla Montagna Poteau c’erano state molte altre pietre incise. Purtroppo, però, la maggior parte erano state distrutte negli anni ’30 e ’40 con la dinamite, da cercatori di tesori.


Per vent’anni Gloria dedicò tutto il suo tempo libero alla ricerca di pietre lavorate, ma ne scoprì soltanto altre quattro. Trovò però altre pietre con caratteri che non erano rune, e con immagini dipinte (petroglifi). Registrò ogni ritrovamento con cura e conservò gli appunti sino al 1975, quando conobbe Barry Gell, dell’Università di Harvard, che era in grado di tradurre le scritte. Negli anni ’70 e ’80, nella sua ricerca di pietre lavorate estesa dal Vermont alla California, trovò venti diversi tipi di antiche scritture, che furono identificati e tradotti. Si trattava di tracce autografe, memorie, segnali di confine o istruzioni per chi fosse passato da quei luoghi.

Gloria andò venti volte in quella zona di grotte e nel Colorado sud–occidentale, per cercare altre tracce del passaggio di Egiziani, di Libici provenienti dal Nord Africa, di Iberi e di Celti che avevano lasciato le loro tracce nella roccia. Tra i petroglifi scoprì 34 figure di navi, diverse immagini di dei pagani e di cavalli, che essi avevano portato sin lì in tempi lontani. Trovò anche diversi oggetti, tra i quali sette monete di bronzo cartaginesi, una delle quali alla profondità d’un metro e mezzo.

Gloria Farley è stata per molti anni la principale corrispondente di Barry Fell e gli ha fornito ampio materiale di scoperte effettuate nelle zone del New Mexico, dell’Oklahoma e degli altri Stati Uniti centrali. La sua scoperta più importante, però, è stata quella delle Grotte di Anubis.

Nel 1968, un giornale dell’Oklahoma aveva pubblicato una notizia su una misteriosa grotta coperta di segni e figure. Dieci anni dopo, in un giorno di giugno del 1978, il gruppo di ricerca della Farley, guidato da un allevatore locale, andò a vedere un petroglifo d’un bufalo con le costole in evidenza, che si pensava raffigurasse un animale durante una carestia. Non sapevano ancora che quel tipo di rappresentazione era un carattere distintivo dell’arte celtica.


In quella zona trovarono cinque grotte. Tre pareti della prima erano letteralmente ricoperte di scritte e petroglifi. La figura più rilevante è un’immagine canina con orecchie a punta e folta coda, che indossa una corona e reca sulla schiena una specie di frusta col lungo manico, simile al flagello regale dell’antico Egitto. La corona si compone di due lunghi segni incurvati, come parentesi, ai lati delle orecchie, quasi congiunti alla cima. Il pastorale uncinato ed il flagello appaiono di solito incrociati sul petto del Faraone e del dio Osiride, come simboli d’autorità.

Inoltre, la Farley segnalò la presenza nella grotta sia di caratteri celtici (ogam), sia di scritte numidiche, una combinazione che si era trovata in altri due siti di quella zona con caratteristiche riferibili alla presenza degli Egizi.

Sulla parete, in alto a sinistra, c’era una figura antropomorfa con una corona raggiata, in piedi sopra un cubo: un Dio Sole. A sinistra, una finestra rotonda, intagliata nella pietra, dava accesso alla grotta numero tre. In quest’altra grotta c’era un’iscrizione ogam lunga più d’un metro, incisa sul muro di fondo.

Quell’iscrizione si rivelò la chiave d’interpretazione per l’intero sito. Fell pubblicò la traduzione: “Il sole è per sei mesi a nord, per altri sei a sud, per un periodo dello stesso numero di mesi”.

La Farley identificò lo sciacallo con il dio egiziano Anubis, che apriva ai morti le strade dell’altro mondo. Egli è generalmente raffigurato come uno sciacallo nero dalla folta coda, oppure un uomo dalla pelle nera con la testa di sciacallo. Lo sciacallo è solitamente in posizione accosciato, con la testa alzata. L’Anubis dell’Oklahoma è molto simile ad un’immagine dipinta su un papiro del Nuovo Regno, databile al periodo 1580-1090 a.C., conservato presso la Biblioteca Nazionale di Parigi. Anubis appare molto magro, con le orecchie ritte e con un flagello sulla schiena.

Sulla stessa parete appariva la figura d’un dio solare, coronato, appoggiato su una specie di cubo. Oltre ai raggi della corona del Dio Sole, vi erano altri due simboli solari. Alla sinistra del Dio Sole (per chi guarda) appariva un arco raggiante, che fu chiamato “sole nascente” o “primo sole”. L’immagine raggiante, intorno alla testa del Dio Sole, fu detta “secondo sole”. Tra il Dio Sole e Anubis c’era un ampio semicerchio con molti raggi, il “sole al tramonto” o “terzo sole”.

Nella prima visita, il gruppo aveva visto due fori profondi nella parte bassa della parete. In seguito ci si accorse che essi erano gli occhi d’una figura d’elefante, incisa in linee leggere sotto altri segni verticali sovrapposti, come se si trovasse dietro delle sbarre, con le grandi orecchie, la tromba pendente, le gambe sottili, la pancia rigonfia, e la corta coda. La dimensione delle orecchie indicava che si trattava d’un elefante africano. L’immagine era fallica, come la figura d’Anubis. Un ippopotamo, in piedi dietro l’elefante, non fu riconosciuto subito.

Nel 1982, il gruppo della Farley, nel giorno dell’equinozio d’autunno, al tramonto, scoprì una serie di effetti d’ombra che si verificavano soltanto in quel particolare momento, due volte l’anno. Mentre l’ombra di un “puntatore” di roccia si spostava, certe parti della parete erano alternativamente illuminate o ritornavano nell’ombra. Il primo simbolo ad essere illuminato fu quello del Sole Nascente, a sinistra del Dio Sole. Poi fu illuminato lo stesso Dio Sole, quindi il suo corpo, dai piedi al collo, cadde nell’ombra, mentre il sole vero scendeva nel cielo d’occidente. Quando l’ultima immagine del sole toccò: la lontana mesa (altopiano) occidentale, la testa del Dio Sole era in luce. Allo stesso momento fu illuminato il grande Sole al tramonto. L’ombra dell’indicatore era intanto diventata spuntata e arrotondata e si spostava in alto, verso destra, verso il piccolo Sole Verticale a raggi.

Nell’istante del tramonto giunse il momento culminante e accaddero simultaneamente tre cose. L’ombra del pomo puntatore toccò esattamente la curva del Sole Verticale; la testa del Dio Sole, con la corona raggiata, entrò nell’ombra; e l’intera figura d’Anubis, coda inclusa, fu illuminata. Un secondo dopo, quando il sole era sceso sotto l’orizzonte della mesa, l’intera parete era in ombra. Lo spettacolo era terminato, per altri sei mesi. Gli allineamenti avvengono soltanto al tramonto più prossimo all’equinozio. Il giorno prima o il giorno dopo, l’indicatore non si sposta esattamente da un vertice all’altro del cubo, i simboli solari non cadono in luce o in ombra in modo significativo, e il puntatore non indica esattamente le linee del Sole Verticale. All’equinozio accade qualcosa anche nella terza grotta, dove altri giochi di luce e d’ombra accadono simultaneamente.


Una scritta in lingua numidica, da destra verso sinistra, comincia tra le gambe del Dio Sole. Le lettere “Ata Laila dayan Bel, yafida nantans”, che si traducono: “Celebrate al tramonto i riti di Bel, riuniti in adorazione in quel momento”. Ciò identifica il Dio Solare con il celtico Bel e non con l’egizio Râ. Per Gloria Farley e il suo gruppo, divenne chiaro che le grotte erano un luogo di riti sacri e di adorazione per gli antichi che vi incisero scritte e figure.

Il tema dell’adorazione di Bel è ulteriormente sviluppato nella quarta grotta. Quattro righe, tra le molte iscrizioni ogam di questa grotta, sono state tradotte da Fell come “Il sole appartiene a Bel. Questa caverna nei giorni d’equinozio serve a cantare le preghiere di Bel”.

Un componente del gruppo della Farley trovò una sedia in pietra naturale, o trono, in un angolo di questa grotta: un luogo ideale per il sacerdote di Bel per sedersi con lo sguardo rivolto verso occidente e cantare le preghiere a Bel, mentre il sole tramonta, nel giorno dell’equinozio.


Nel frattempo Gloria doveva occuparsi dei figli e del marito, rimasto invalido. Nel 1980, a 63 anni, Gloria si ritirò in pensione. Corse subito in Egitto a vedere dal vivo se l’immagine del Dio Anubis, che aveva scoperto in una grotta dell’Oklahoma, corrispondesse all’originale. Era autentica. Nel 1983, Gloria rimase vedova. Lavorò a stretto contatto con Barry Fell sino alla morte improvvisa di lui, nel 1994. Trascorse undici anni a scrivere un libro su tutte le sue scoperte e glie ne offrì una bozza, nove giorni prima che lui morisse, ottenendo la sua approvazione.

Il titolo del libro è:
G. FARLEY, In Plain Sight, Chelsea, Michigan, 1994, 491 pag., ricco d’illustrazioni.
Gloria Farley è morta nella sua casa il 17 marzo 2006.


fonte: http://www.liutprand.it/articoliMondo.asp?id=188

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